13 gennaio 2009

RECENSIONI MEDIA INDIANI: FILM A-E


AAGEY SE RIGHT (2009): **
'Aagey Se Right avrebbe tutti gli ingredienti, cast superbo incluso, per far ridere a crepapelle. Invece il film è come un'automobile lanciata a tutta velocità senza controllo. La storia procede in modo casuale. Il regista Indrajit Nattoji è avido di gag - ne vuole una al secondo e con poco lavoro - senza curarsi minimamente di costruire una trama. La pellicola è piena di giochi di parole e brevi battute intelligenti, ma non diviene la commedia acuta che vorrebbe essere. Scivola invece senza timone in una farsa grossolana. Peccato davvero, perché Kay Kay Menon, Shreyas Talpade e Mahie Gill sono buoni attori. Solo Menon riesce ad emergere malgrado i limiti della sceneggiatura. Ma la star del film è Vijay Maurya: le sequenze con Menon sono le migliori. Solo con questi due attori la pellicola sarebbe stata decisamente guardabile. Gill è deludente'.
Avijit Ghosh, The Times of India, 4 settembre 2009

AARAKSHAN (2011): **
'Enfatico, semplicistico ma importante. Prateik Babbar ha lo sguardo sempre sbalordito, ed è l'unico, fra i protagonisti di Aarakshan, ad essere genuinamente contro le quote riservate alle minoranze negli istituti scolastici statali. Gli altri sostengono la proposta governativa per ragioni diverse: sociali (il personaggio interpretato da Amitabh Bachchan riconosce il merito di raddrizzare i torti della storia), economiche (il personaggio interpretato da Manoj Bajpayee subodora il denaro che le ricche caste superiori spenderanno per gli istituti privati) e personali (il personaggio interpretato da Saif Ali Khan è un dalit). L'affabile, disinvolto, urbano Saif non appare affatto fuori luogo nel suo ruolo. Aarakshan è un dramma poco sottile, eccessivo, che sembrerebbe dunque favorevole alle quote. Ma in caso contrario, sarebbe stato bollato come favorevole al sistema castale? In questo Paese ci viene proibito di discutere i meriti e i demeriti delle quote riservate su base castale? E gli spettatori non possono nemmeno decidere quali pellicole guardare? Il personaggio interpretato da Amitabh Bachchan possiede un certo suo onore, anche se risulta troppo filmico. Ammirare un uomo onesto che non scende a compromessi e che si espone per salvaguardare ciò in cui crede, è ancora fonte d'ispirazione. Ciò non accade intorno a noi, nel mondo reale, ed è per questo che andiamo al cinema. Bachchan infonde una dignità immensa al suo ruolo, l'unico nettamente definito. Lo scaltro personaggio interpretato da Manoj Bajpayee è, al contrario, il classico villain bollywoodiano, caricaturale e di cartone. E rappresenta il peggio della commercializzazione del sistema scolastico indiano, che poi è il vero argomento di Aarakshan. Non solo la sceneggiatura ma anche la realizzazione della pellicola sembra essere frettolosa, ed il risultato è il meno soddisfacente fra gli ultimi lavori di Prakash Jha. Hip Hip Hurray (1984) è ancora di gran lunga il suo miglior film sulla gioventù indiana. Una pellicola minimalista e sensibile, al contrario di Aarakshan che si sforza di essere imponente e gradita alle masse senza riuscirci. Una buona occasione mancata, anche se alcune questioni importanti vengono comunque poste all'attenzione dello spettatore. Lo stato attuale del sistema scolastico indiano è davvero agghiacciante, ed è un serio problema, ma la storia narrata in Aarakshan non è convincente. I conflitti si diluiscono in ingenuità, le motivazioni non sono chiare, alcune trite situazioni prendono il sopravvento. La pesante commercializzazione (del sistema scolastico) denunciata dal film sembra affliggere anche l'industria cinematografica'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 12 agosto 2011

AARAKSHAN (2011): ***
'Il regista Prakash Jha è di una razza a parte. Negli anni settanta-ottanta si affermò come uno dei principali fautori del cosiddetto parallel cinema, e da allora non ha mai rinnegato le sue radici. Anzi, ha optato per una combinazione di cinema d'autore e di massa, di contenuto e di masala. Da qui l'importanza di film come Gangaajal, Apaharan, Raajneeti, nei quali, senza annoiare, vengono trattati argomenti scottanti. Aarakshan segue le medesime regole, offrendo uno sguardo incisivo sulla politica indiana delle quote riservate [agli appartenenti alle caste svantaggiate - mi scuso per la terminologia generica] e sul suo impatto sul sistema scolastico. O perlomeno questo è il tema del primo tempo, che grazie a ciò risulta davvero drammatico. I confronti sullo schermo fra i personaggi interpretati da Amitabh Bachchan e da Saif Ali Khan sono esplosivi e coinvolgenti. Saif regala una delle sue migliori performance dopo Omkara, ma nel secondo tempo il suo personaggio viene rimosso all'improvviso e in modo arbitrario, perché la pellicola abbandona completamente l'argomento principale per abbracciare una storia del tutto diversa, rappresentata con la formula tradizionale dell'eroe straordinario (Bachchan) contrapposto allo spregevole, machiavellico villain (Manoj Bajpayee). Triste. Il primo tempo funziona, il secondo - una diatriba contro la scuola privata - non porta da nessuna parte'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 11 agosto 2011

AASHAYEIN (2010): * ½
'Una scena dopo l'altra, che sia una lezione sul karma o sul carpe diem, si arriva dritti a capire che Aashayein è una serie di colpi mancati, tutti banali: il risultato è infatti ben diverso dalle intenzioni. Il pubblico sa che i personaggi sullo schermo sono malati terminali, e questo suscita immediata simpatia. Il destino non risparmia nemmeno il protagonista. Gli spettatori sorridono, gli occhi si inumidiscono, la manipolazione da parte del film è completa. Il regista è partito con un'idea ma la storia non lo ha seguito'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 27 agosto 2010

AASHAYEIN (2010): ***
'La pellicola è rimasta nel limbo per due anni, ma ciò non ne cancella le qualità. Aashayein è un piccolo, sensibile film che getta uno sguardo non falso sulle malattie terminali. L'argomento potrebbe deprimere, ma il regista Nagesh Kukunoor sceglie la via del bicchiere mezzo pieno: la paura e la disperazione sono rimpiazzate dal desiderio di spremere il bello dalla vita. Aashayein cattura l'attenzione con la sua grazia gentile e con la sua dignità. Le interpretazioni di John Abraham e di Anaitha Nair sono emozionanti e infondono credibilità al ruolo di malati terminali che celebrano la vita prima del saluto finale'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 26 agosto 2010

ACID FACTORY (2009): * ½
'Non sapevo nemmeno dell'esistenza di un film intitolato Identità sospette, da cui Acid Factory ha tratto ispirazione (e non solo nella premessa). Identità sospette, mi è stato detto, in parte a sua volta ispirato a I soliti sospetti (rifatto in hindi col titolo di Chocolate) e in parte ispirato a Le iene (rifatto in hindi con Kaante), è una pellicola del tutto sconosciuta. Se non altro Acid Factory dimostra lo sviluppo conseguito negli ultimi anni dall'industria del plagio cinematografico di Mumbai. Qui si tratta di artisti innocenti che soffrono di un blocco dello scrittore che dura tutta la vita, e che spacciano remake di film hollywoodiani per prodotti originali. Oggi il lavoro dei ricercatori è diventato molto più duro, e si deve scavare in profondità per la causa dello sviluppo creativo: un thriller filippino, Cavite, per Aamir; un classico di Almodovar, Carne tremula, per Bas Ek Pal; una commedia francese, La cena dei cretini, per Bheja Fry; un film d'azione coreano, Old Boy, per Zinda. La storia di Acid Factory si sviluppa in modo non molto diverso dal Cluedo. Auto che inseguono elicotteri che inseguono motociclette che inseguono i vostri sensi. La baraonda sembra il risultato di una fantasia irrealizzata da parte di un uomo-bambino di mostrare a getto continuo marche di fucili e di automobili, e di spappolare esseri umani. Il plagio trasforma i registi in tecnici: essi non hanno voce e si limitano a girare le scene. Suparn Varma, ad essere giusti, fa un buon lavoro come regista di spot pubblicitari. Acid Factory rimane al livello raggiunto da Tarantino dieci anni fa. Irrfan Khan è sprecato'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 10 ottobre 2009

ACID FACTORY (2009): ***
'Molto prima che Vishal Bhardwaj dedicasse un tributo a Quentin Tarantino con Kaminey, col suo cinema crudo e incisivo Sanjay Gupta aveva dimostrato la sua ammirazione per il regista italo-americano. Kaante aveva rappresentato un incontro con Le Iene per tutti gli amanti di cinema desi. Acid Factory, scritto e prodotto da Gupta, potrebbe ispirarsi al meno noto Identità sospette, ma in termini di stile, caratterizzazione e presentazione rimanda alla scuola di acuta violenza di Tarantino. Vi è lo stesso senso coraggioso di drammaticità che minaccia di esplodere ad ogni colpo di scena. Ma tristemente non accade, specialmente nel primo tempo. È questo il problema: Acid Factory centra l'obiettivo in fatto di stile, ma fallisce in drammaticità. La pellicola esordisce in modo emozionante, chiedendo una volta di più allo spettatore di mantenere il passo con la narrazione che si sviluppa in flashback e con velocità non uniforme. Ma in seguito perde gran parte del suo slancio rallentando il ritmo e cadendo nella ripetitività. L'adrenalina riprende a pompare nel secondo tempo, con Irrfan Khan che porta la narrazione sul filo del rasoio con l'insinuante, melliflua disonestà del suo personaggio. Ovviamente non possiamo dimenticare Dia Mirza che osa per la prima volta un look interamente in pelle nera e tacchi a spillo - una completa trasformazione -, anche se ci piacerebbe che la bad girl facesse di più. Quasi quanto avremmo voluto che venisse concesso più spazio al savoir-faire di Fardeen Khan. In conclusione ciò che rimane sono le acrobazie velocissime e la stilosità del look per un film sufficientemente coinvolgente che però avrebbe potuto tentare vie nuove'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 9 ottobre 2009

ACTION REPLAYY (2010): **
'Il primo tempo di Om Shanti Om di Farah Khan - un nostalgico, amabile sguardo sulla Bollywood degli anni settanta - ha ispirato parecchie pellicole successive. Action Replayy non è destinato a coloro che sono cresciuti in quel periodo, bensì a coloro che possono solo immaginare quel decennio con l'ausilio di film e moda. Quel tipo di nostalgia che non richiede realismo, ma fascinazione, evasione, zuccheroso intrattenimento. AR promette tutto questo però lo mantiene solo in piccole parti sparpagliate qua e là. E la colonna sonora è di terza classe. Akshay Kumar, la star indiana che lavora di più (con una media di quattro pellicole all'anno), è l'unico aspetto meritevole di AR, nel quale offre la migliore interpretazione della sua carriera, anche se questa affermazione ha poco significato considerando le scelte professionali dell'attore'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 4 novembre 2010

ACTION REPLAYY (2010): ** ½
'In questo periodo a Bollywood il retrò è chic. Da un punto di vista estetico, Action Replayy si guarda con divertimento. Akshay Kumar e Aishwarya Rai riportano in auge il romanticismo del passato, ed anche il linguaggio funziona. Ma l'umorismo in AR non conduce da nessuna parte. Le battute non sono molto buffe, e il rapporto fra i due personaggi principali sconfina nel giovanilismo. Il film si ispira a Ritorno al futuro, ma ci voleva una sceneggiatura più intelligente. E l'uomo comune, un po' sciocco, interpretato da Akshay, non colpisce più, semplicemente perché è stato già visto e rivisto'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 4 novembre 2010

AGYAAT (2009): **
'Agyaat è molto deludente per essere il prodotto di un regista che ha già dimostrato in passato la sua abilità nel genere horror. Agyaat è assolutamente freddo. Non mantiene alta la tensione né spaventa con le sue ripetitive fughe per la vita e con l'irritante finale che non offre alcuna spiegazione. Tutto quello che il regista si limita a fare è affidarsi alla sua telecamera e alle tracce audio per raffazzonare un po' di horror. Ma ci vuole qualcosa di più dello stormire delle foglie, del ringhio degli animali notturni e dell'ululato di una bestia per spaventare l'appassionato di cinema più esigente'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 7 agosto 2009

AISHA (2010): * ½
'Aisha si ispira al romanzo Emma di Jane Austen più o meno nello stesso modo in cui Gurinder Chadha aveva insopportabilmente adattato Orgoglio e pregiudizio in Matrimoni e pregiudizi. Se può essere di consolazione, Aisha lo fa meglio. Abhay Deol è affidabile come sempre, anche se qui spreca il suo tempo. Con Aisha si può voyeuristicamente condividere un'esperienza di lusso e di ricchezza, e sperare che quest'avventura fuori porta nasconda le insulsaggini della storia e il bla-bla dei dialoghi venduto per perfetto hinglish. Il film è freddo. Le coppie ruotano in circolo, continuano ad incontrarsi, con poco da dire o da fare'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 6 agosto 2010

AISHA (2010): ****
'Aisha è affascinante per molte ragioni. In primo luogo il film abbaglia col suo stile. Aisha è davvero una delle pellicole di fattura più squisita prodotte a Bollywood non nel genere d'azione. Gli abiti, gli accessori e le tonalità di colore sono stati attentamente coordinati. Ma il quoziente stilistico funziona perché i personaggi femminili sono veri, e quelli maschili non sono da meno. Quanto alle interpretazioni, Sonam Kapoor è grande, Abhay Deol sfodera uno charme irresistibile, e tutto il cast è all'altezza. La colonna sonora composta da Amit Trivedi è eccellente'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 5 agosto 2010

ALADIN (2009): **
'La pellicola proprio non funziona. Amitabh Bachchan e Sanjay Dutt non creano nessuna magia e offrono una delle interpretazioni più bizzarre della loro carriera. La storia d'amore non emoziona. Riteish Deshmukh deambula con l'aria stordita e con la testa confusa. L'esordiente Jacqueline Fernandez fallisce nel dimostrare di essere qualcosa di più di un viso grazioso. Il film colpisce solo per le scenografie. La storia non diverte e diviene a mano a mano più sconcertante. Gli effetti speciali sono patetici. Il duo Vishal-Shekhar ha sfornato una colonna sonora da dimenticare'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 29 ottobre 2009

ANJAANA ANJAANI (2010): * ½
'In ogni pellicola convenzionale e scontata come Anjaana Anjaani i due protagonisti prima si odiano, poi diventano amici, ed infine scivolano nell'amore eterno. Il climax si svolge di solito all'aeroporto o alla stazione. L'eroe o l'eroina corre verso il partner della sua vita. Fra il primo incontro e la sequenza all'aeroporto dovrebbe esserci una trama, delle possibili sottotrame, conflitti, altri personaggi. AA sfortunatamente non ha nulla di tutto questo. Ranbir Kapoor, la star, rimane la sola grande idea in un film nel quale non esiste una storia. Sappiamo perché questi prodotti si ripetono all'infinito: se funzionano, arricchiscono i produttori. Come al solito, solo business'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 1 ottobre 2010

ANJAANA ANJAANI (2010): ***
'La nuova coppia formata da Ranbir Kapoor e da Priyanka Chopra funziona. I loro personaggi sono riconoscibili e urbani. Le performance sono vibranti, spontanee, ricche di sfumature. Il problema risiede nella sceneggiatura e nella narrazione. Il regista sceglie il format del road movie, ma sembra tutto piatto e prevedibile. Così, malgrado la coppia protagonista faccia scintille, Anjaana Anjaani non infiamma lo schermo. Offre solo alcune piacevoli sequenze, una colonna sonora (composta da Vishal-Shekhar) piena di energia, e le brillanti interpretazioni di Ranbir e di Priyanka. Se non cercate nulla di nuovo, allora vi divertirete'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 30 settembre 2010

ANTAHEEN (2009, bengali): ****
'Tutti coloro che hanno visto Anuranan, il film di debutto di Aniruddha Roy Chowdhury, ricorderanno il regista come una nuova sensibile voce del cinema bengali. Antaheen è un seguito convincente di quel promettente debutto. È un lavoro più raffinato, non solo per la narrazione - descrive l'angoscia esistenziale urbana dell'India di oggi -, ma anche per la fotografia che raggiunge livelli di arte pura. Nel cinema contemporaneo Kolkata raramente è sembrata così bella, così esclusiva, così uber chic. Le pressioni dei sentimenti, della carriera, della solitudine metropolitana tendono ad un climax magnifico che incatena lo spettatore sino alla fine. Antaheen è uno sguardo umorale, languido ed estremamente artistico sulla vita in una grande città'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 8 maggio 2009

ANTARDWAND (2010): ***
'Prima la competizione e poi il matrimonio. Questi due semplici obiettivi definiscono da sempre le aspirazioni sociali della classe media in Bihar. L'inquietante argomento del film e la sua autenticità culturale ne compensano i difetti. I rapimenti di ragazzi e i matrimoni riparatori sono un segreto che in realtà tutti conoscono benissimo. Antardwand illumina la questione del dopo: cosa accade nella coppia e nelle loro famiglie al termine di questa agghiacciante farsa? In superficie tutto appare normale. La società approva. Antardwand è un film amaro, ma vale la pena ingoiare la pillola'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 27 agosto 2010

ANTARDWAND (2010): *** ½
'La pellicola si basa su una pratica che pare dilagante persino oggi in Bihar: il rapimento dello sposo. Davvero una trama singolare. Ma la novità del soggetto non è il solo aspetto a rendere coinvolgente Antardwand. Il regista narra la sua storia con un'autenticità e un tocco altamente drammatico che incollano lo spettatore alla sedia. Il linguaggio (il bihari al suo meglio), l'ambientazione semiurbana che cattura località pittoresche oltre Patna, i personaggi vivi e il tenace attaccamento al realismo, dotano Antardwand di un richiamo originale. Un film che proviene dritto dalle profondità dell'"altra" India, l'India al di fuori delle metropoli al neon, l'India traboccante di Persone (Non) Come Noi. È un'ambientazione bizzarra ma credibile. Antardwand vanta alcune raffinate interpretazioni, e si è meritato il National Award per il miglior film a tema sociale'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 26 agosto 2010

ATITHI TUM KAB JAOGE? (2010): * ½
'La premessa in qualche modo rimane valida, ma l'umorismo sporadico a mano a mano si appanna e la storia si riempie di canzoni di terza classe. Tutti tendono a strafare. Nella montagna di gag, solo una o due funzionano'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 5 marzo 2010

ATITHI TUM KAB JAOGE? (2010): ***
'Sottile. Non sguaiato. Divertente e leggero. ATKJ è piuttosto diverso dalle ultime isteriche commedie bollywoodiane che soffocano lo spettatore con il loro bisogno disperato di far ridere. Il film non cerca di convincervi che la vita è tutta una risata. Crea invece situazioni e personaggi pieni di calore che si guadagneranno il vostro sorriso perché riconoscibili e familiari. Paresh Rawal guida la spiritosa brigata disegnando un perfetto Chachaji. Ajay Devgan è misurato e piacevole. Konkona Sen Sharma realistica'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 4 marzo 2010

BAND BAAJA BAARAAT (2010): **
'Se nei sobborghi occidentali di Mumbai vi imbattete in un gruppo di giovani che lavorano nel cinema, vi sembrerà di assistere ad un incontro di studenti universitari di Delhi. Di questi tempi pare che chiunque operi nell'industria cinematografica provenga dalla capitale. Shah Rukh Khan è stato il catalizzatore, non in termini di creatività bensì quanto a volontà di trasferirsi a Bollywood. Pochi fra loro sono diventati registi (Dibakar Banerjee, Imtiaz Ali, eccetera), molti sono sceneggiatori, e molti ingrossano le fila dei giovani assistenti alla regia. Delhi è il luogo dove sono cresciuti e che conoscono meglio. E ciò ispira i film di Mumbai. Ripetutamente. Accade anche nel caso di Band Baaja Baaraat. La colonna sonora offre un mix pesante di bhangra. I dialoghi sono in hindi colloquiale, molto comune al nord. Anushka Sharma è incredibilmente a proprio agio. Le sfumature sono scritte in modo intelligente, anche se poi la realizzazione è una completa parodia. Ma non ve ne curerete. È questo il mondo conosciuto dai Non-Resident Indian di Bollywood, e il realismo inizia dove il divertimento finisce. O finisce dove il divertimento inizia. BBB è un'altra favola che ruota attorno all'eroe macho e alla sua spumeggiante compagna. Così eccovi una commedia romantica, laddove una commedia e basta avrebbe funzionato. Non c'è nessuna alchimia proverbiale fra i due protagonisti'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 10 dicembre 2010

BAND BAAJA BAARAAT (2010): ***
'Film dopo film, Delhi viene raffigurata con un delizioso ventaglio di colori. I cineasti tentano di comprendere cosa renda la capitale indiana - un amalgama di culture e comunità - così carismatica. Band Baaja Baaraat sembra un intelligente studio sociologico su Delhi, con umori, momenti e personaggi che in modo frizzante ne catturano la vita. I protagonisti sono caldi e vibranti. Se si considera la pellicola un'amabile, sentita rappresentazione di Delhi, allora BBB cattura l'attenzione del pubblico. Sfumature ed emozioni riconoscibili spillano dalla sceneggiatura e dai dialoghi. Ma se si considera il film una storia d'amore new age, allora BBB diviene in qualche modo goffo e grezzo, soprattutto perché la coppia protagonista non illumina lo schermo di passione. Però i due attori possiedono una spontaneità che disarma, specialmente Anushka Sharma che offre la sua migliore interpretazione. La colonna sonora di Salim-Sulaiman non è indimenticabile, malgrado l'effervescenza del bhangra-beat di Delhi. Forse BBB non incendierà il botteghino e non entrerà nella lista dei vostri titoli preferiti, eppure è una pellicola che coinvolge'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 9 dicembre 2010

'Il protagonista è una triste parodia dei personaggi interpretati in passato da Amitabh Bachchan. Il contegno e l'abbigliamento vistoso cozzano con la sua età (e con quella di chiunque altro, per la verità). Anche il poliziotto (Sonu Sood) sembra una versione povera del Bachchan degli anni settanta. La traccia comica può occasionalmente far sorridere. In base alla statistiche, circa il 70% degli indiani è nato dopo Sholay, e quindi ha poca dimestichezza con le battute scritte per il ruolo classico di Bachchan, l'affascinante angry young man di Deewaar. Negli anni settanta le sceneggiature erano irrilevanti: il personaggio bastava. Sfortunatamente anche il regista Puri Jagannadh è un fan imperturbabile e accecato di Bachchan, e con Bbuddah Hoga Terra Baap ha realizzato un lungo tributo al suo attore protagonista. Ma a questo angry young man manca qualcosa'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 1 luglio 2011

Bbuddah Hoga Terra Baap è un divertente recital di Amitabh Bachchan. Non curatevi del titolo, di sicuro uno dei peggiori della sua filmografia, e guardate oltre l'ingannevole sfumatura pulp: finirete con l'assaporare una pellicola che mostra ampiamente il perché Bachchan sia il più grande intrattenitore che l'industria cinematografica indiana abbia mai prodotto. BHTB non è il miglior film di Bachchan e non può essere paragonato ai suoi classici, tuttavia è davvero piacevole, e l'attore non cessa mai di meravigliare con la sua gamma di istrionismi. A dispetto dell'età, cattura l'attenzione con le scene d'azione, i camei comici, le canzoni romantiche, i duelli sensuali, i lampi emotivi, l'audacia, e il suo chiassoso gusto sartoriale. Bachchan torreggia sullo schermo come un colosso. BHTB presenta certamente delle lacune, ma possiamo ignorarle con facilità'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 1 luglio 2011

BHEJA FRY 2 (2011): * ½
'Bheja Fry, il sorprendente successo commerciale del 2007, funzionò per diversi motivi. Un buon attore (Vinay Pathak) a bordo. Un personaggio (Bharat Bhushan) adorabile e pestifero nella sceneggiatura. Una trama (grazie all'originale francese La cena dei cretini). Bheja Fry 2 è fiacco e arriva tardi. L'attore protagonista è lo stesso, ma nel frattempo ha interpretato il ruolo dell'uomo comune o del sempliciotto in molti film, e ora Bharat Bhushan sembra stiracchiato e più fastidioso di quanto la parte non richieda. Ecco la ragione: il sequel ha costretto i produttori a crearsi una trama propria, ma non ci sono riusciti. Così gli attori non hanno una sceneggiatura sulla quale basarsi. Pare dunque che solo il plagio funzioni'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 18 giugno 2011

BHEJA FRY 2 (2011): ***
'Finirete col rimanere leggermente delusi dal sequel, soprattutto perché Bheja Fry era scintillante. Qui l'umorismo è più rilassato, si ride meno, e il tango fra Vinay Pathak e Kay Kay Menon non mostra la stessa sintonia che scoppiettava fra Pathak e Rajat Kapoor nel prequel. Ma concedetevi un po' di tempo e lasciate che i personaggi prendano forma. Non impiegherete molto a realizzare che Bharat Bhushan è tuttora il matto più simpatico del mondo. Bheja Fry 2 possiede inoltre un fattore addizionale: l'interessante cameo di Amole Gupte, attore che si sta costruendo una nicchia tutta sua'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 16 giugno 2011

BHINDI BAAZAAR INC. (2011): ** ½
'Bhindi Baazaar Inc. tenta di offrire un quadro realistico di vita vissuta nella sordida Mumbai, ma impiega troppo a prendere una direzione, ed è ingombrato da cianfrusaglie disordinate e slegate che dovevano essere tagliate. Ciò che funziona è l'autenticità dell'ambientazione e il corso cangiante degli eventi'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 16 giugno 2011

BODYGUARD (2011): * ½
'Il climax: si sa cosa succederà. L'eroe di mezz'età, mezzo nudo, flette i bicipiti gonfi, mostra il torace scolpito e depilato, gli addominali quasi perfetti, prima di picchiare il villain. È ciò che gli appassionati della vecchia Bollywood chiamerebbero il momento culminante. Che si è in parte già visto perché la scena, inevitabilmente, era finita nel trailer. Stesso discorso per i dialoghi che sono la trappola del film. E poi c'è la colonna sonora, che inizia con un brano idealmente bhangra, continua con una canzone melodica dai toni alti e dalla voce nasale, sedativa, che induce a meditare su un amante reale o immaginario, ed ecco l'item number da accogliere con fischi e schiamazzi. Queste sono le principali ragioni per cui la metà dei deretani del nord dell'India si alloca sulle poltroncine dei cinema per il blockbuster del super Khan, la proposta per l'Eid del 2011. La formula è nota, naturalmente. Ma i risultati forse non sarebbero gli stessi se l'inesplicabile Salman Khan non fosse parte dell'equazione. Non conta cosa l'attore faccia, tanto venderà. Non cercate logica nel pubblico tribale. È già successo con Rajendra Kumar negli anni sessanta, con Rajesh Khanna poco dopo, con Akshay Kumar più recentemente, eccetera. Può essere una breve fase. La fatica inevitabilmente si avverte, anche in Bodyguard, ma per ora Salman è salvaguardato e protetto dal box office. Per quanto riguarda il film, cosa volete sapere? Faccia dura, occhi orgogliosi nascosti da lenti scure, gambe larghe, braccia roteanti, camicia attillata, calzoni attillati. L'eroina guida la parata modaiola e ridacchia. Ecco cosa la superstar dovrebbe fare in futuro: i remake di tutti i recenti blockbuster tamil di Rajinikanth, perché è questo che il supereroe da cartone animato Salman sta diventando per il pubblico hindi, il Rajinikanth dell'eccitabile nord. E provate a pronunciare una parola contro quei due in internet. Verrete adeguatamente messi al corrente delle fatali conseguenze della pura blasfemia. Lo so: fa paura. Una guardia del corpo, per favore. Grazie'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 31 agosto 2011

BODYGUARD (2011): ** ½
'I film di Salman Khan sfidano quasi sempre la logica, e, noncuranti della qualità, al botteghino seguono delle norme proprie. Tutto ciò di cui hanno bisogno perchè le folle si accalchino, applaudano e sfiorino l'isteria è il marchio di fabbrica, il tocco di Salman Khan: un Salman ad alto tasso di testosterone, un Salman dai movimenti pelvici, un Salman onnipotente, un tornado umano, impacciato in amore, e sì, in primo luogo un Salman a torso nudo. Shakerate e il risultato è assicurato, il botteghino suona a festa, e al diavolo la storia. È accaduto di nuovo: Bodyguard è stato accolto da una folla tumultuosa, ma il baccano non può coprire il fatto che in Bodyguard non succede nulla. Il primo tempo è estremamente ripetitivo. La storia d'amore è rappresentata in modo infantile, le conversazioni telefoniche sono interminabili. E come se ciò non bastasse ad annoiare a morte, ecco l'altrettanto zoppicante vena comica. La pellicola emette scintille solo nelle scene d'azione. I combattimenti sono coreografati benissimo. Dal punto di vista delle interpretazioni, Bodyguard non ha molto di cui vantarsi. Salman è al suo solito, Kareena ha visto giorni migliori. Del resto corteggiare un cellulare per la maggior parte del tempo non deve costituire un ruolo troppo stimolante. Il film, un remake di un successo del cinema del sud, finirà col diventare un blockbuster, anche se è perlopiù una spacconata'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 1 settembre 2011

BODYGUARD (2011)
Ciò che funziona in Bodyguard è che, a differenza delle pellicole più esagerate di Salman Khan, l'umorismo qui non scade nella farsa grossolana, e l'atteggiamento non è chiassoso né crasso. Salman è sempre il glorificato eroe in topless nel climax, però il suo personaggio è piacevolmente misurato. La storia non è nuova ma almeno non va fuori tema, ed è leggera per la maggior parte della narrazione, a differenza delle versioni tamil o malayalam. Il popolare regista del sud Siddique ha diretto tutte le edizioni, e sembra a suo agio nel realizzare la terza. In Bodyguard elabora maggiormente l'elemento sorpresa nel climax, nel senso che, malgrado la scena sia prevedibile, non diventa troppo melodrammatica. Il ritmo è veloce, la musica è energetica, l'azione è stilizzata e il montaggio è ruspante. Salman Khan è convincente e figo. Bodyguard è un decente prodotto commerciale'.
Gaurav Malani, The Times of India, 31 agosto 2011

BOL (2011, film pachistano in urdu): *** ½
'Osservate l'intrattabile vecchio di Lahore rappresentato in Bol. I suoi antenati erano di Lucknow, località con cui anche lui viene identificato. Può succedere solo in Pakistan, dove gli immigrati post-partizione sono ancora considerati stranieri. Il mestiere del vecchio è antico: prescrivere medicine preparate in casa. I pazienti sono scarsi, i figli da mantenere troppi. E tutte femmine, ormai grandi, non istruite, addomesticate con la forza, impotenti. Mezzo morto, il vecchio spera ancora in un maschio. Il suo intelletto, la sua medioevale visione del mondo, la sua compassione (o la sua mancanza di compassione), sono dettati da una fede cieca solo nella religione. Il vecchio è indubbiamente disprezzabile, eppure vi è qualcosa nel suo personaggio che lo fa emergere: l'interpretazione di Manzar Sehbai, che infonde nel ruolo convinzione, nobiltà innata, completa empatia fisica. Difficile immaginare un attore indiano, a parte forse Naseeruddin Shah, che potrebbe fare altrettanto. Il vecchio parla poco e crea una certa aura attorno a sé. È un uomo, e quindi si ritiene violento per natura. L'unica che ha il coraggio di sfidarlo è la sua primogenita (meravigliosamente interpretata da Humaima Malick), che lo accusa di aver ucciso e non cresciuto otto figli. La metafora è corretta almeno per uno di loro. Il vecchio uccide suo figlio, ormai adulto, senza provare vergogna. Questo è il conflitto centrale nel primo tempo. La vita continua. In Bol ogni tragedia appare come una nuova opportunità da esplorare. Da questo punto di vista la sceneggiatura è strutturata in modo libero, come un romanzo in espansione, un tour de force letterario. Di rado il pubblico viene a conoscenza delle possibilità di un film. Con Bol succede. Forse dipende dal luogo di origine. Per la maggior parte degli indiani il lato apolitico del Pakistan contemporaneo rimane un mistero. Dopo l'indipendenza Lahore sfortunatamente cedette i suoi talentuosi cineasti a Bombay. Bol è un raro prodotto di prima classe che spalanca una finestra sul Paese. Si può osservare da vicino lo stato delle donne pachistane appartenenti alle classi medio-basse. E ricorda molto l'Arabia Saudita. Ritengo sia questa la tragedia generata dalla traiettoria che il Paese prese dopo l'indipendenza o comunque a partire dalla fine degli anni settanta. Si percepisce ancora un legame culturale con l'India, se non altro grazie a Bollywood. Nel film una ragazza prende il nome Meena da Meena Kumari e cita un dialogo indimenticabile tratto da Pakeezah. La storia narrata da Shoaib Mansoor non è solo un triste uncino che aggancia le miserie del Pakistan. È triste in generale, ma anche altamente appassionante e avvincente. Bol è sicuramente da consigliare'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 2 settembre 2011

BOL (2011, film pachistano in urdu): ****
'Bol racconta i problemi di una famiglia di classe medio-bassa di Lahore: povertà, ortodossia, potere repressivo dettato dal pregiudizio sessuale. Il punto più alto del film è rappresentato dal conflitto fra la figlia maggiore e il padre legato alle tradizioni. Il regista Shoaib Mansoor sta rapidamente diventando il portabandiera del nuovo cinema pachistano. Aveva già catturato l'attenzione internazionale con Khuda Kay Liye, acclamata diatriba sul fondamentalismo e sul razzismo in un mondo post 11 settembre. Mansoor torna ora con Bol, un altro incisivo atto d'accusa contro la discriminazione sessuale. La pellicola è una prova di forza, sia in termini di recitazione che di narrazione. La sceneggiatura è scioccante e ricca di colpi di scena. Humaima Malick è il ritratto perfetto della figlia ribelle che osa discutere col padre e persino adottare misure drastiche per garantire che la giustizia prevalga. Manzar Sehbai è magnifico nel ruolo del tiranno che tenta disperatamente di preservare l'onore della famiglia nel rispetto di moribonde tradizioni. La forza della caratterizzazione del suo personaggio risiede nel fatto che non diviene mai la quintessenza del villain malgrado il suo comportamento. Va riconosciuto al regista il merito di non aver creato eroi positivi e negativi: il biasimo è destinato alla vecchia mentalità sociale e alla cieca ortodossia. Bol è un film da non perdere: attuale, provocatorio, serio'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 1 settembre 2011

BREAKAWAY (2011, film indo-canadese in lingua inglese, titolo indiano SPEEDY SINGHS): **
'Speedy Singhs non è propriamente una pellicola bollywoodiana. I produttori hanno ingaggiato un attore occidentale ben noto, Rob Lowe, e una star canadese, Russell Peters (che ripete le stesse vecchie logore gag ormai da 22 anni), esaurendo così il denaro a disposizione. La realizzazione di SS è amatoriale, trascurata, molto sul tipo 'film per NRI [Non-Resident Indian]'. Anupam Kher interpreta il solito ruolo da rigido padre indiano residente all'estero. A parte poche battute divertenti, la sceneggiatura è generica, ma almeno la pellicola è breve. Solo i personaggi sullo schermo si sorprendono di quanto accade in SS, il pubblico ovviamente no. Gli spettatori sono così avanti che potrebbero già essere fuori dalla sala...'
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 23 settembre 2011

BREAKAWAY (2011, film indo-canadese in lingua inglese, titolo indiano SPEEDY SINGHS): ***
'Speedy Singhs è un'intelligente piccola sorpresa. È un film allegro che fa sorridere col suo sottile umorismo, la sua sceneggiatura ricca di battute argute, la sua abilità nel gestire un nugolo di relazioni, e con le raffinate sfumature delle sue interpretazioni. Ma il cuore di SS è costituito dai numerosi rapporti fra i personaggi. Un po' più di pepe non avrebbe guastato, tuttavia la pellicola regala un buon intrattenimento'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 22 settembre 2011

BREAK KE BAAD (2010): ***
'Deepika Padukone è istintivamente naturale. Break Ke Baad ripropone l'intero scenario delle pellicole hindi romantiche e urbane, nelle quali il protagonista è una sorta di giovane eroe femminilizzato che graziosamente e pigramente bilancia l'impetuosa nuova eroina. E alla fine diventa adulto. Questi film esplorano le aspettative umane e le complicazioni proprie delle storie d'amore, per poi tornare al format delle anime gemelle che si ameranno per sempre: l'equilibrio viene così furbescamente ricostituito. Intellettualizzare oltre porterebbe pochi frutti. BKB è in gran parte irresistibile oltre che abbastanza sovversivo'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 26 novembre 2010

BREAK KE BAAD (2010): ***
'Break Ke Baad riesce a catturare l'attenzione del pubblico perché si esprime in un tono del tutto differente. È una storia d'amore, ma vi è anche una misurata sottotrama che parla direttamente allo spettatore. I personaggi sembrano attinti dal nostro circolo di amici. La performancee di Imran Khan è contenuta ed efficace. Deepika Padukone è disinvolta, e nel climax regala forse la migliore interpretazione della sua carriera. Il film presenta una parte centrale terribilmente lenta, e in alcuni punti sembra che non conduca da nessuna parte, ma lo spiritoso scambio di battute fra i protagonisti in qualche misura colma questa lacuna. I dialoghi sono intelligenti, la conversazione divertente. Nulla di drammatico, solo freschezza: BKB è l'altro lato, l'altro gusto del romanticismo'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 26 novembre 2010

BUMM BUMM BOLE (2010): *
'BBB ha tratto da Children of heaven un lungo spot pubblicitario per l'Adidas. L'argomento è per un pubblico adulto, perché solo gli adulti possono simpatizzare per l'innocenza dell'infanzia. I bambini preferiscono storie sugli adulti. Come tutte le pellicole hindi di Priyadarshan, anche BBB è di difficile collocazione. Il regista ha visto nel semplice, piacevole soggetto dell'originale iraniano una potenziale trama sul terrorismo, e la delicata poesia è scomparsa. Gli iraniani hanno catturato milioni di appassionati di cinema non malgrado ma a causa della censura imposta nel loro Paese: gli ostacoli li hanno stimolati a diventare più creativi. Ogni anno regalano freschezza asiatica alla scena cinematografica internazionale. Gli indiani no. I produttori di BBB avrebbero fatto meglio a risparmiare fatica e denaro limitandosi a doppiare Children of heaven in hindi'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 14 maggio 2010

BUMM BUMM BOLE (2010): ***
'Priyadarshan una volta di più svela le sue sfaccettature. Accantonando le solite commedie, ultimamente non molto divertenti, il regista dirige la versione desi dell'apprezzato film iraniano Children of heaven. Riesce a catturarne il calore e l'intensità? In parte. BBB è guardabile, sia dagli adulti che dai ragazzi, almeno sino a quando segue la storia dei piccoli protagonisti (e i due giovani attori interpretano perfettamente i loro ruoli, senza sembrare troppo precoci come spesso accade nel cinema indiano). Ma l'argomento del terrorismo è del tutto ingiustificato e finisce con l'essere una nota stonata'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 13 maggio 2010

CHAALIS CHAURAASI (2012): ***
'È da un pezzo ormai che i dance bar di Mumbai sono stati chiusi per legge, ma pare che Bollywood debba ancora registrare questo fatto, forse perché costituiscono il set ideale per ambientare un item number o uno scontro fra criminali e polizia. In Chaalis Chauraasi abbiamo però un bar con orchestra, il tipo di locale che ha rimpiazzato i dance bar. Qui ritroviamo i protagonisti di CC. Non sappiamo come si siano incontrati. Appartengono al ventre molle della città e, dirigendosi verso la meta, prendono estese deviazioni in una notte che sembra non finire mai. La storia è sviluppata in tempo reale. Tutti hanno una missione comune. Ciascun personaggio è a modo suo bizzarro. I nomi sono anche più strani. Il festino di sangue non snerva nessuno. La narrazione non è completamente lineare. Lo stile determina la situazione. Diverse crime story sono state generate così (vedi Tarantino) e ambientate a Londra o a Los Angeles. CC accende una cadente, notturna Mumbai, ed è un piacere ammirarla. Naseeruddin Shah è ruvido e audace. Atul Kulkarni regala forse la sua migliore interpretazione. È dura sostenere una tale farsa per troppo tempo, ma CC ci riesce abbastanza, e il divertimento non si smaglia mai. Indubbiamente sono gli attori che rendono credibile il ridicolo. Per la maggior parte del film si gode davvero la corsa, ed è già molto'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 13 gennaio 2012

CHAALIS CHAURAASI (2012): *** ½
'Un film poco pubblicizzato può anche rivelarsi un successo, dimostrando che le leggi di Bollywood sono sbagliate. Soprattutto quando vanta un cast di attori veterani che non hanno nulla a che fare con la figura dello stucchevole hero. Naseeruddin Shah, Kay Kay Menon, Atul Kulkarni, Ravi Kishan e Zakir Hussain bastano, in Chaalis Chauraasi, a condurre ed arricchire una trama poco elaborata ma ricca di colpi di scena imprevedibili e difficilmente riscontrabili nelle solite commedie. L'idea è di rubare un macchinario per stampare soldi falsi, per farne dio sa cosa. Non ci sono né un piano né un'esecuzione del piano. Ciascun personaggio va per conto suo, con i suoi sogni e le sue ambizioni. Ad esempio, il Pinto interpretato da Menon è un ladro di automobili di lusso, ma ciò che desidera è una classica Fiat vintage. Quindi ruba tutte le Fiat rimaste in circolazione a Mumbai per poi distruggerle. La ragione? In città ci deve essere solo una Fiat: la sua. Con CC godetevi un nuovo, fresco genere di commedia'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 12 gennaio 2012

CHALA MUSSADDI OFFICE OFFICE (2011): * ½
'Pare che essere un uomo comune sia un crimine in un Paese congenitamente corrotto il cui sogno ad occhi aperti è quello di diventare, un giorno, sviluppato. Chala Mussaddi ne è una valida cronaca. La singolare intesa sullo schermo fra le figure di padre e figlio offre un'adeguata dose di risate. La trama potrebbe sembrare sciocca, ma non è solo frutto di fantasie. Molti casi simili sono accaduti davvero. CM tenta di essere arrabbiato, frustrato e divertente, senza riuscirci. Office Office è stata un'amatissima serie televisiva. In CM la storia genera risonanza ed empatia. La differenza giace solo nel mezzo di comunicazione. La televisione, gomma da masticare gratuita per il cervello, di rado richiede allo spettatore una grande attenzione. Il pubblico distratto è di certo più magnanimo. CM, proiettato al cinema, non gode di vie d'uscita visibili. La sceneggiatura è interamente episodica, come fosse un programma televisivo. Gli scenari sono ripetitivi. Gli attori forzano la recitazione. La colonna sonora è rumorosa. Si prova empatia nei confronti del protagonista, o almeno lo si vorrebbe. Si comprende il messaggio: la democrazia è forse sia il problema che la sua unica soluzione plausibile. Ma cosa ne direste di un film migliore?'
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 5 agosto 2011

CHALO DILLI (2011): * ½
'Vinay Pathak, bravo attore, da Bheja Fry in poi recita purtroppo sempre lo stesso ruolo, quello del tipo eccessivamente amichevole e fastidioso. Le città di provincia indiane sono diventate la nuova Svizzera per Bollywood. Chalo Dilli è un intruglio banale, stiracchiato, forzato, e di certo non è divertente'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 30 aprile 2011

CHALO DILLI (2011): *** ½
'La storia può anche essere semplice, lineare, disseminata di prevedibili colpi di scena. Inoltre ricorda qua e là Jab We Met, e ciò adombra l'originalità della sceneggiatura. Ma in Chalo Dilli c'è molta anima, soprattutto nel climax, e le lacune vengono dimenticate. La narrazione induce dolcemente lo spettatore a vivere il viaggio che si racconta sullo schermo. Lara Dutta e Vinay Pathak sostengono il film con la loro spontaneità'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 28 aprile 2011

CHANCE PE DANCE (2010): ***
'Cominciate a contare: quante volte avete visto o sentito la storia di qualcuno che abbandona la sua città natale con un bagaglio pieno di sogni da realizzare nella Maximum City, Mumbai? Innumerevoli. Ed è proprio per questo che il film sdrucciola: la sceneggiatura non offre nulla di nuovo. Ma ciò che lo rende accettabile è la passione che Shahid Kapoor infonde nel suo personaggio: c'è sincerità, c'è autenticità, c'è spontaneità. Aggiungeteci l'effervescenza di Genelia D'Souza e otterrete un mix adeguato di divertimento e di fantastici passi di danza. Sebbene dobbiamo confessare che la colonna sonora non è all'altezza, soprattutto considerando che CPD è un musical'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 14 gennaio 2010

CHASE (2010): **
'Chase è un thriller che difetta proprio in tensione, allentata a metà film, soprattutto a causa di una storia inconsistente, di una recitazione priva di lustro e di un montaggio debole. La trama è affollata e tocca troppi temi: terrorismo, corruzione, romanticismo, patriottismo, polizia, mafia... Tutto ciò mentre il nostro eroe giace in coma e l'infermiera danza seminuda davanti a lui per terapia. Potremmo dissentire, ma non importa. Il trattamento funziona e l'eroe risorge a mostrare i bicipiti in una serie di sequenze d'azione vecchio stile. No, Chase non va da nessuna parte e potrebbe solo finire in un vicolo cieco'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 29 aprile 2010

CHOWRASTA (2009, bengali): * ½
'La trama è interessante, il film è in larga parte recitato con sincerità e competenza, ma non avvince: le quattro storie narrate si riducono a vignette, mentre la sceneggiatura divaga troppo. E la verbosità certo non aiuta'.
Shashi Baliga, Hindustan Times, 17 aprile 2009

CHOWRASTA (2009, bengali): ***
'Il regista riesce a creare un'atmosfera ipnotica e a coinvolgere lo spettatore in un gioco di emozioni che si rivela con pigro charme. Darjeeling è meravigliosamente raffigurata sullo schermo'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 16 aprile 2009

CITY OF GOLD (2010): **
'La pellicola è ambientata in un chawl [caseggiato popolare] di Mumbai, una delle infami, squallide costruzioni cittadine composte da piccole stanze. I chawl ospitano di solito centinaia di persone, stipate in numero di una mezza dozzina per stanza. Il bagno è in comune. City of gold vorrebbe raccontare la storia di Bombay e la sporca verità che si nasconde dietro la metropoli dorata. La vicenda si svolge presumibilmente nel 1982, quando le manifatture tessili di Bombay furono chiuse per due anni. Il film ne fa una generica trivializzazione, tralasciando di analizzare ambienti e contesti. Violenza e catarsi sono il punto essenziale. Le pellicole bollywoodiane degli anni settanta erano prodotte così. Alcuni le hanno sopravvalutate considerandole una risposta liberatoria al generale disincantamento della gioventù indiana nei confronti del fallimentare sistema politico, prima e dopo l'Emergenza di Indira. In realtà erano solo dei furbi film d'azione e di rabbia'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 23 aprile 2010

CITY OF GOLD (2010): ****
'Mahesh Manjrekar reinventa completamente se stesso con City of gold, un documento incisivo, intenso, non apologetico, emozionante, di ciò che la crescita di Mumbai ha effettivamente comportato. Un'intera generazione di operai sta ancora combattendo una battaglia persa, che dura da 28 anni, contro i datori di lavoro che hanno arbitrariamente chiuso le fabbriche, senza curarsi della legalità e senza preoccuparsi dei risarcimenti. E un'intera generazione di ragazzi, figli di quei lavoratori, ha abbracciato il crimine creando l'infame ventre molle di Mumbai: la malavita organizzata. L'ampia tela di Manjrekar osa catturare questa battaglia socio-economica che ha sgomentato la città negli anni ottanta. E lo fa con un'abilità e un'intensità che scuotono. Il punto di forza del film è nel cast, anche se privo di star. Manjrekar ricava dai suoi attori delle interpretazioni fra le più raffinate ammirate negli ultimi tempi. Seema Biswas è assolutamente indimenticabile. Ma sono Naru e il suo gruppo a meritarsi l'applauso. Congratulazioni a Manjrekar per aver creato un Deewaar postmoderno'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 23 aprile 2010

COFFEE HOUSE (2009): ½
'Corruzione. Divisioni. Le compulsioni commerciali del consumismo. Idealismo romantico contro pragmatismo. Coffee House piuttosto ambiziosamente porta avanti crociate multiple, offrendo soluzioni rapide. La storia ha buone intenzioni, ma la sceneggiatura confusa, i personaggi stereotipati, il montaggio irregolare ed alcune orrende interpretazioni rendono il film troppo noioso persino per essere odiato. Solo Ashutosh Rana, Harsh Chhaya e Vinod Nagpal riescono in qualche modo a spiccare. La mezza stella è per loro'.
Shashi Baliga, Hindustan Times, 17 aprile 2009

COFFEE HOUSE (2009): ***
'Coffee House narra grandi sogni di cambiamento e valorizza il potere dell'uomo comune. È un piccolo film, ma significativo e per nulla pretenzioso. Ispirata alle vicende del noto attivista teatrale Safdar Hashmi, che morì di morte violenta negli anni novanta, la pellicola mostra i coraggiosi tentativi di Ashutosh Rana e del suo gruppo teatrale di strada di cambiare il sistema e renderlo più responsabile e umano. Il Caffè dove i personaggi si incontrano quotidianamente è testimone del mutamento profondo delle idee riguardanti la società, la politica e l'etica, ma diviene anche una vetrina dei problemi dell'India contemporanea. Il film convince soprattutto per le interpretazioni da parte di attori non famosi ma di grande talento, come Ashutosh Rana, Harsh Chhaya, Vinod Nagpal e Sakshi Tanwar. Coffee House ha sostanza e anima'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 9 aprile 2009

DELHI BELLY (2011): ****
'Delhi Belly in slang significa diarrea del viaggiatore. La pellicola ha poco a che vedere con Delhi e poteva essere ambientata ovunque. Vijay Raaz per una volta è calmo e misurato. I personaggi non hanno grande rilevanza. A differenza di precedenti produzioni di Aamir Khan, in DB non vi sono né un robusto sottotesto, né poesia profonda. Non dovete pensare, né desidererete farlo. Il nocciolo di DB è la sua esilarante trama situazionale che sfiora spesso i confini di una deliziosa profanità, e ciò grazie ad una brillante sceneggiatura e ad una regia ad effetto. I personaggi ostentano un genuino look da zombie, personaggi a cui le cose semplicemente accadono, senza che essi facciano nulla per provocarle. E ne succedono davvero tante in 98 minuti, alcune volgari, alcune ispirate. Vi è una piacevole onestà in un film intelligente e pazzo che non si ferma mai. Alla fine Aamir Khan irrompe sulla scena, con una parodia danzereccia fra Travolta e Elvis the Pelvis. L'item number era chiaramente non necessario per i monosala. I titoli di coda compaiono sullo schermo. Ed è qui che Aamir merita di essere, proprio in cima, per aver scommesso su un prodotto che speriamo possa ispirare una buona defecazione nei cinema (le rivoluzioni seguiranno). Super divertimento. Massimo rispetto'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 1 luglio 2011

DELHI BELLY (2011): ****
'Delhi Belly diverte in modo intelligente. Ma chi è il vero eroe del film? È Akshat Verma, che ha regalato a Bollywood una delle sceneggiature più brillanti degli ultimi anni? DB è una commedia che rappresenta un piacevole cambiamento, perché ben diversa dall'ordinaria, puerile sfrenatezza comica offerta dalle pellicole hindi. In DB l'umorismo è tutto situazionale, abilmente inserito nella sceneggiatura. Oppure l'eroe del film è il regista, Abhinay Deo, che racconta, in un modo realistico che funziona a meraviglia, una storia condita con gli eventi più insoliti? Per fortuna Abhinay non ha provato alcun desiderio di scioccare o meravigliare o provocare attacchi di risate isteriche, semplicemente perché le situazioni narrate sono così bizzarre da scioccare e meravigliare per loro natura. O l'eroe del film sono le interpretazioni, tutte raffinati esempi di una recitazione misurata ma che colpisce alla grande? Imran Khan regala, ad oggi, il meglio di sè. Vir Das offre senza sforzo la sua solita, competente, clownesca performance, rubando la scena. Vijay Raaz è uno spasso. E per finire, l'eroe del film è forse la censura indiana, che ha mostrato grande maturità nel consentire la distribuzione di DB senza imporre tagli? Per la prima volta abbiamo una pellicola nella quale i personaggi parlano in un linguaggio reale. La sceneggiatura trabocca di parolacce e imprecazioni che aggiungono divertimento al film, tanto quanto la colonna sonora. DB è un buon esempio di come cineasti lucidi e sfrontati, che mettono in comune il loro talento, possano creare un prodotto che vale i soldi del biglietto e che riscrive tutte le antiquate regole dell'industria cinematografica hindi. Godetevelo!'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 1 luglio 2011

DESI BOYZ (2011): * ½
'Le canzoni si susseguono una dopo l'altra senza alcun legame col film. Viene da chiedersi perché i produttori non realizzino semplicemente degli album e dei video musicali interpretati da star del cinema. Perché si preoccupano di finanziare pellicole intenzionalmente stupide al solo scopo di veicolare una colonna sonora? Le canzoni sopravvivono. I film di rado. I cineasti stessi non si curano troppo dei personaggi, perché dovrebbero farlo gli spettatori? La formula espressa in Desi Boyz potrebbe essere quella di una pellicola post-2000 di David Dhawan. Capita che sia suo figlio il regista di DB. Le generazioni cambiano. Anche il pubblico. Ma alcune idiozie vengono ancora riciclate. Ce lo meritiamo. Quindi che sia così'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 25 novembre 2011

DESI BOYZ (2011): *** ½
'Ciò che rende divertente Desi Boyz è la scoppiettante sintonia condivisa da John Abraham e Akshay Kumar. Il loro cameratismo è speziato e perfetto. Il regista esordiente Rohit Dhawan racconta la sua storia con una vena leggera. Sembra che abbia appreso il mestiere dal padre, David Dhawan, senza mai cadere in eccessi. La narrazione procede in modo vertiginoso, condita con una sceneggiatura vivace e con brevi battute spiritose sparse qua e là. La colonna sonora di Pritam è ricca di verve. Deepika Padukone e Chitrangada Singh sono deliziose. Impossibile staccare gli occhi dallo schermo. Divertitevi con DB: una commedia non insensata perché sostenuta da una trama'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 24 novembre 2011

DHOBI GHAT (2011): *** ½
'Prateik Babbar è incommensurabilmente naturale. Monica Dogra disinvolta. Aamir Khan, accettando un ruolo così sommesso, ha compiuto una mossa ammirevole per una superstar, anche se, per la stessa ragione, forse non era adatto. Dhobi Ghat dura circa 90 minuti e non prevede intervallo. La trama è minimalista. La drammaticità è solo nelle emozioni espresse. L'esecuzione è abile. Kiran Rao, sicura in modo supremo per un'esordiente, sposa davvero il mondo dei suoi personaggi. Le storie si incrociano. Lo spettatore è catturato da quanto vede. Bombay è al centro dell'attenzione del film. È probabilmente la sola città al mondo nella quale così tante classi si amalgamano in un fiume comune di dispiaceri, bellezza, speranze, ciascuno ignaro dell'effetto che provoca ogni giorno sugli altri. DG è viscerale, un omaggio di prima classe alla metropoli'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 21 gennaio 2011

DHOBI GHAT (2011): *** ½
'Qual è il tratto che qualifica una metropoli se non la moltitudine di persone che vi abita? L'indice di alienazione di chi vi giunge da luoghi differenti per conquistare il proprio spazio. Tutte anime perdute, bramanti, solitarie. Dhobi Ghat è un coinvolgente film sull'angoscia urbana. Le esperienze vissute sullo schermo dai quattro protagonisti possono essere diverse fra loro, ma presentano un aspetto in comune: la disperata ricerca di un'ancora di salvezza. DG segna il sensibile debutto di Kiran Rao, ed è una pellicola fortemente impregnata di umori e di anima. La regista utilizza i personaggi con intelligenza per dissezionare il tanto chiacchierato spirito di Mumbai, senza mai diventare querula. Il punto di forza del film è la sobria eleganza. Il quartetto scivola dentro e fuori dai fotogrammi, inseguendo sogni e aspirazioni. Aamir Khan con la sua interpretazione enuncia l'arte della discrezione. Monica Dogra e Kriti Malhotra alternano abilmente forza e vulnerabilità. Prateik Babbar è irresistibile, anche se un po' troppo chic per il suo ruolo. Ma alla fine è il quinto personaggio a stagliarsi, con i suoi colori e i suoi imprevedibili mutamenti: Mumbai, la maximum city. La fotografia cattura Mumbai in tutte le sue originali sfumature: nero, grigio, soleggiato, ombroso, caotico, desolato. DG è un esempio di intelligente cinema d'autore, un'ode lirica alla malattia contemporanea della metro-eccentricità'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 20 gennaio 2011

'Completamente priva di contesto, la pellicola perde terreno imbonimento dopo imbonimento: la bonomia indo-pachistana, l'idea di un'indianità superiore alla cultura occidentale, la retorica del potere alle donne, il delirio per il cricket, le aspirazioni di provincia. Sedetevi e stupitevi. DBH è stato interamente concepito attorno all'attrice protagonista. Lei è dignitosa, come sempre, ma cos'è questo film?'
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 19 settembre 2009

DIL BOLE HADIPPA! (2009): ***
'Il cuore di Dil Bole Hadippa! è sicuramente al posto giusto, ma la pellicola non riesce a sedurre il pubblico: non è una commedia romantica accattivante né un vero film sportivo. DBH fallisce nel costruire tensione drammatica. Peggio: le canzoni - poco allettanti - interrompono il flusso narrativo. Comunque la pellicola ha i suoi buoni momenti, ed anche gli attori fanno del loro meglio. DBH è stato concepito come veicolo di ritorno sullo schermo per Rani Mukherjee, e il film le offre ampie opportunità di mostrare le sue doti: commedia, dramma, danze... Rani fa tutto, e recita con lo stesso abbandono che l'ha resa cara a milioni di spettatori. Ma a volte sembra troppo ansiosa di impressionare favorevolmente il pubblico. Shahid Kapoor è sobrio ed efficace'.
Avijit Ghosh, The Times of India, 18 settembre 2009

'Ajay Devgan è attualmente al top della forma, ma non si crea un'intesa fra i tre attori protagonisti che sembrano recitare in film separati. La pellicola non è né cattiva né buona. E alla fine l'indifferenza annoia'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 28 gennaio 2011

'Madhur Bhandarkar prova a cambiare direzione. Si prende una pausa dal cinema più serio per passare ad una commedia romantica. Con quale risultato? In parte buono: Dil Toh Baccha Hai Ji ha il cuore al posto giusto, ma il tono è un po' debole, brioso solo ad intermittenza. L'intreccio diventa ripetitivo, la lunghezza del film è un po' eccessiva, e l'umorismo spesso viene a mancare'.
The Times of India, 27 gennaio 2011

DO DOONI CHAAR (2010): ****
'Questo film intrattiene in modo fenomenale, ed offre interpretazioni brillanti da parte di alcuni dei migliori attori in circolazione, oltre a rappresentare un sorprendente, sicuro debutto per il regista. Affidatevi a Do Dooni Chaar e non rimarrete delusi'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 9 ottobre 2010

DON 2 (2011): * ½
'I panorami sono stupendi. Ma vorremmo vedere oltre. Dopotutto Don 2 è un film, non un immobile in vendita. Don è un gangster solitario che agisce per se stesso. Di solito sceneggiature di questo tipo nascondono retroscena atti a catturare la simpatia dello spettatore. Don 2 no. Boman Irani ha lo sguardo sempre arcigno. Le sequenze d'azione, malgrado gli sforzi, sembrano disperatamente derivative, e rivelano il desiderio di assomigliare a quelle delle pellicole hollywoodiane ad alto budget. I confronti sono inevitabili. Mission: Impossible - Protocollo fantasma è interpretato dallo Shah Rukh Khan americano. Don 2 dal Tom Cruise indiano. Entrambi intorno alla cinquantina, stanno vivendo fasi simili nelle loro carriere. Entrambi hanno conquistato la loro quota di fan di sesso femminile devote ai film romantici e strappalacrime. Entrambi cercano pubblico fra i ragazzi e fra i giovani, lanciandosi in scene d'azione più o meno sensate. Ci si può avvicinare a prodotti come M:I 4 o Don 2 seguendo allegramente la corrente, senza preoccuparsi della plausibilità. Fatelo oppure no. Il primo Don era un remake del Don del 1978. Farhan Akhtar, fra i più talentuosi registi indiani, aveva reinterpretato una vecchia intelligente storia adattandola ad una scala visuale contemporanea. La sceneggiatura tesa di Salim-Javed possedeva una trama vincente. Quella di Don 2 solo sottotrame, stiracchiate e aggiunte via via l'una all'altra. Ma è dura procedere con vacua inventiva, e Don 2 sembra non finire mai'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 23 dicembre 2011

DON 2 (2011): ****
'Don è tornato col suo caratteristico savoir faire. Don 2 è un classico action/crime thriller che lascia senza respiro. La trama, soprattutto, è finemente costruita, e ogni colpo di scena va a comporre un complesso puzzle. Muovendosi dalla Thailandia alla Malesia a Zurigo a Berlino, il film vi sfida a saltare a bordo e condividerne la velocità, seguendo con attenzione le imprese del suo fascinoso protagonista. Il punto di forza di Don 2 è il modo in cui Shah Rukh Khan delinea il suo personaggio: arrogante, svelto, vizioso, selvaggio, temerario. Shah Rukh rimane sempre al comando e non perde mai l'equilibrio, nemmeno durante le sequenze drammatiche o d'azione. E le scene d'azione costituiscono l'altro punto di forza di Don 2. Gli inseguimenti, i combattimenti, le distruzioni, le irruzioni, le fughe sono tutte realizzate con un'abilità che rivaleggia con il meglio di Hollywood. Semmai alla pellicola manca un certo quoziente emotivo, e alle relazioni umane è concessa scarsa possibilità di crescere. I dialoghi sono brillanti. La colonna sonora mediocre'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 22 dicembre 2011

DUM MAARO DUM (2011): ***
'Le storie dei personaggi principali vengono raccontate separatamente, come spesso accade nei film contemporanei. La sceneggiatura è ben scritta, almeno sino all'intervallo. I dialoghi sembrano mutuati dalla pubblicità. Con un montaggio più teso DMD sarebbe stato migliore, ma la pellicola è comunque in larga parte godibile'.
Mayank Shekhar, Hindustan Times, 22 aprile 2011

DUM MAARO DUM (2011): *** ½
'Quando Abhishek Bachchan ricopre ruoli da poliziotto la sua performance funziona sempre. In Dum Maaro Dum l'attore conferisce un taglio definito al suo personaggio con il linguaggio del corpo, la resa dei dialoghi, l'indolente zelo e l'atteggiamento laconico. Ma il film è arricchito da un insieme di ottime interpretazioni che infondono vita a personaggi credibili e molto godibili. E ancor più la stilizzazione e la narrazione drammatica rendono DMD stimolante, malgrado si avverta la necessità di un ritmo più teso. Le pause però sono seguite da bruschi colpi di scena. Un coinvolgente poliziesco nel quale non mancano battute furbe. Goa è rappresentata nella sua grandezza e nelle sue miserie con colori splendenti. La colonna sonora di Pritam è energetica. Il regista Rohan Sippy offre una prodotto vivace e avvincente fino ai titoli di coda'.
Nikhat Kazmi, The Times of India, 21 aprile 2011

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