30 novembre 2011

ADAMINTE MAKAN ABU



Il film che ha conquistato festival nazionali e internazionali, National Awards ed è stato selezionato a rappresentare l’India alla prossima edizione dei Premi Oscar, si apre e si chiude in soli 105 minuti e nasce dalla creatività di un agente di viaggi che sogna il cinema, un regista debuttante che ha aspettato con pazienza il momento giusto, e i fondi, per ridare vita alle sue ambizioni. A giudicare dai tanti riconoscimenti tempestivamente ricevuti (e dai pareri pressoché unanimi dei critici) si tratta di un ingresso trionfale.

TRAMA
Abu (Salim Kumar) e la moglie Aishumma (Zarina Wahab) sono anziani e vivono da soli nella loro casa in periferia, il figlio Sattar dopo aver lasciato il Kerala per inseguire una brillante carriera a Dubai è scomparso dalle loro vite dimenticandoli completamente. Pur essendo amareggiati dalla nostalgia e dalla mancanza di mezzi economici, i due continuano a sognare di poter partire per il pellegrinaggio a La Mecca e realizzare così il loro più grande desiderio.

Albe e tramonti nella campagna, autobus congestionati nei parcheggi delle città, le lunghe attese di Abu, uomo dagli occhi vitrei e dalla pelle scura,  venditore ambulante di essenze e libri sacri ormai stanco di camminare accompagnato dal suo ombrello e dalla valigia di prodotti, le ansie e le paure di Aishu, la moglie che non ha mai smesso di preoccuparsi quando lui tarda anche solo un’ora nel tornare a casa. La vita dei protagonisti è scandita dai ritmi regolari della preghiera, si perde il senso del tempo, le notti e i giorni si assomigliano.
Abu e Aishu condividono un rapporto profondissimo che negli anni non ha fatto che consolidarsi, i due sono stati fedeli compagni, sono invecchiati insieme e continuano a dividere le emozioni, le insonnie, lo stesso entusiasmo, gli stessi sogni. Li unisce ancora una volta il pensiero di poter coronare le proprie vite intraprendendo Il Viaggio della Fede. Per portare avanti una nobile causa i due sono costretti a passare attraverso i cavilli della burocrazia, pagare mazzette per veder confermato il passaporto e vendere la mucca e il vitello a cui erano affezionati, le necessità materiali iniziano a scontrarsi con la motivazione spirituale e l’ansia di riuscire a partire li spinge a decisioni sbagliate. Il crescere delle aspettative della coppia ci mostra come sognando qualcosa così tanto si finisca per venir assorbiti dal desiderio, recarsi a La Mecca diviene un’esigenza interiore ma anche un evento capace di completare la loro esistenza, un progetto che li stringe l’uno all’altra, una forza che aiuta a non sentire il dolore o la nostalgia del passato. Piccoli gesti d’affetto rivelano che l’unione tra i due non si è indurita con il passare degli anni ma ha mantenuto la tenerezza, la  spontaneità giovanile. Superare insieme le delusioni diviene meno amaro, lottare  per lo stesso obiettivo una gioia ancora più grande.
Mentre due villaggi si contendono la salma di un uomo virtuoso appena scomparso Abu va a ricercare l’anima del suo amico nei luoghi che lui amava e nei quali si sentiva più vicino a se stesso, il ricordo e lo spirito di Ustad accarezzano le spighe del grano che ondeggiano al vento quasi a suggerire che la presenza del divino può trovarsi in ogni luogo e in ogni cosa. Il film svolta poi verso una strada alquanto fatalista, leggendo i segnali che gli provengono dal mondo esterno il protagonista cerca di capire se è  predestinato o meno a realizzare il suo sogno. Gli eventi e la natura incitano nuove azioni o mettono in guardia rispetto a inaspettati o spiacevoli eventi futuri. Le immagini infondono vita nel paesaggio, nei campi e nelle piante, le tonalità fredde e l’uso ricorrente dei long shots catturano nella pellicola l’intensità della solitudine.Frustrati dal mancato raggiungimento della quota richiesta dall’agenzia i due scelgono di abbattere l’albero che fa ombra alla loro casa per ricavare denaro dal legno; non riuscendo a preservare una vita che doveva essere protetta Abu sente di aver compiuto un’azione sbagliata al fine di raggiungere uno scopo personale.
Adaminte Makan Abu sotto la sua atmosfera pacata nasconde una frenesia espressiva e un brulicare di pensieri, non ci si cala nel personaggio ma gli si vorrebbe stare accanto, tendergli la mano. Il film intero sembra il montaggio di una serie di attimi, situazioni che il regista  non spiega ma suggerisce, abbiamo solo pochi secondi per cogliere i significati delle immagini e delle espressioni. I flashback , veloci e non invasivi, non si diramano nella storia ma lanciano sensazioni rapide, frammenti di ricordi sufficienti a ricostruire il passato della coppia o a colmare con la propria immaginazione ciò che non viene mostrato.  E’ stato difficile per Salim Ahmed riuscire a portare avanti questo progetto perchè nessuno era pronto a  finanziare un debuttante che proponeva un film non - commerciale dai temi delicati e inconsueti. La storia si ispira a situazioni reali che il regista ha notato durante la sua esperienza al pubblico, centinaia di persone gli sono passate davanti desiderose di poter ottenere i mezzi per partire. Il film con la sua dolcezza è un antidoto all’islamofobia che ci mostra uno spaccato di vita quotidiana liricamente cantanto e capace di proporre una realtà domestica guidata dalla fede profonda, dall’amore coniugale, dal senso di responsabilità personale e dal rispetto della vita.

Il mio giudizio sul film : ***** 5/5


ANNO : 2011

LINGUA : Malayalam

TRADUZIONE DEL TITOLO : Abu figlio di Adamo

REGIA : Salim Ahmed


CAST
Salim Kumar ………………………. Abu
Zarina Wahab …………………….. Aishumma
Tampy Antony …………………. Ustad
Suraj Venharammud ……………………. Hyder
Mukesh ……………………….. l’agente di viaggi


COLONNA SONORA: Ramesh Narayan

PLAYBACK SINGERS : Shankar Mahadevan, Ramesh Narayan, Hariharan, Sujatha, Madhusree Narayan, Srinivas


QUALCOS’ALTRO:

Salim Kumar è un attore prevalentemente attivo nell'industria cinematografica del Kerala e impegnato soprattutto in commedie e ruoli di supporto. Adaminte Makan Abu segna il passaggio dell'artista in una nuova fase della sua carriera. Salim , nato nel 1968, è stato invecchiato da truccatori e costumisti per potersi calare nel personaggio di Abu. La sua performance nel film gli ha regalato il primo National Award, in ex aequo con Dhanush  (Aadukalam).

Zarina Wahab è stato il volto della madre di Rizwan Khan nel film di Karan Johar My Name is Khan / Il mio nome è Khan.

Abu, il protagonista, è un venditore di Ittar, profumi a base non alcolica ricavati dalla lavorazione di petali di fiori (normalmente rosa e gelsomino). I Nizam di Hyderabad furono tra i maggiori estimatori, e diffusori, del prodotto in India.  

Tra i numerosi premi e riconoscimenti attualmente conquistati : National Awards (Best Film, Best Actor, Best Cinematography, Best Background Score) , Kerala State Film Awards (Best Film, Best Actor, Best Screenplay, Best Background Score), Asia Vision Film Awards (Best Outstanding Indian Film, Best Actor).
Articoli di Cinema Hindi sull'assegnazione e premiazione dei National Awards 2011.

Adaminte Makan Abu è stato selezionato dal Film Federation of India per partecipare all'Edizione 2012 dei Premi Oscar nella categoria Miglior Film Straniero. Clicca qui per maggiori info.


25 novembre 2011

THAT GIRL IN YELLOW BOOTS

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia a settembre del 2010, That Girl in yellow boots, dopo aver partecipato a diverse rassegne, è uscito nelle sale ad un anno dalla prima proiezione, nel settembre del 2011.

TRAMA

Una ragazza inglese, Ruth (Kalki Koechlin), è a Mumbai in cerca del padre, Arjun Patel, che abbandonò la famiglia dopo il suicidio della figlia maggiore.

RECENSIONI

The Times of India ****
Non cercate mai qualcosa di prevedibile nella filmografia di questo originale regista che di rado vi deluderà. Perchè Kashyap tenta davvero di spingere le frontiere del cinema indiano contemporaneo, e crede genuinamente nel produrre pellicole nuove, diverse, consistenti. Ma Anurag ama anche scioccare il suo pubblico. La ricerca del padre scomparso da parte del personaggio interpretato da Kalki Koechlin è una storia triste e donchisciottesca di amore e nostalgia, con un climax che sconcerta. Ed è anche una sordida e tragica storia di incesto e di abusi sessuali, atti intrinseci di una società che ancora non sa come trattare le donne. Ma a colpire è soprattutto l'idioma cinematico di That girl in yellow boots. Il mondo della protagonista è chiuso, soffocante, buio. Kashyap presta la stessa attenzione agli aspetti tecnici e alla sceneggiatura (e allo sviluppo dei personaggi), e ciò rende i suoi film un'esperienza artistica e salutare. Da menzionare l'interpretazione di Kalki: l'attrice scivola letteralmente nel ruolo, ed esprime in modo naturale l'angoscia di un'anima sola e perduta.
Nikhat Kazmi, 01.09.11
La recensione integrale.

Hindustan Times **
Kalki Koechlin è un talento straordinario, l'ovvia musa del regista. Il suo personaggio è intrigante. La scenografia e le location sono ispirate e contemporanee in modo intelligente. La sceneggiatura talvolta si compiace nell'essere terra terra, ed è vivificata dal meraviglioso lavoro operato da Rajiv Ravi, il direttore della fotografia. Purtroppo la storia, debole e rigorosamente breve, non si combina bene. Molte domande rimangono senza risposta. Ma il mistero principale viene risolto, e solo allora si intuisce quanto il film sia migliore rispetto al suo scarno spunto. Peccato. Kashyap ultimamente sembra in gran forma. I suoi lavori come produttore includono Aamir, Shaitan, Udaan. Le sue due precedenti fatiche come regista sono state Dev D e Gulaal. In confronto, That girl in yellow boots è rapido, insoddisfacente, meno ambizioso.
Mayank Shekhar, 02.09.11
La recensione integrale.

Diana ***
E' impressionante la realtà di Mumbai mostrata da Kashyap, il mondo ai margini in cui si muove Ruth. I burocrati a cui la ragazza si rivolge sono sboccati e corrotti, il suo padrone di casa la ricatta, il fidanzato, Prashant, è un tossicodipendente e il gangster a cui Prashant deve del denaro pretende che lei ripaghi il debito.
Se il fondale sconcerta, il focus è sulla protagonista. Ruth, una straordinaria Kalki Koechlin, ha un passato tragico – il suicidio della sorella e l’abbandono del padre – lavora in uno squallidissimo “centro massaggi”, senza un permesso di soggiorno. Eppure la ragazza è forte, sopravvive da combattente in un ambiente ostile e, decisa, cerca le risposte di cui ha bisogno.
Un film molto personale per Kashyap e, forse proprio perché sentito, è il suo lavoro più faticoso.
Anurag sceglie di scioccare piuttosto che di sviscerare il soggetto. La regia è da fuoriclasse, come sempre, ma il film lascia in qualche modo insoddisfatti.  La storia è molto amara, lo squallore mostrato è avvilente e  la brevità della pellicola impedisce una trattazione più esauriente. Quasi un corto, That girl in yellow boots, sembra un'opera minore. Una pagina di diario.

Il bello:
- Il talento dietro la macchina da presa di Anurag Kashyap.
- La bravura di Kalki Koechlin.

Il brutto:
- Il senso dell'intero film è legato molto (troppo) al segreto svelato nel finale.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Ruth - Kalki Koechlin
Prashant - Prashant Prakash
Chittiappa - Gulshan Devaiya
Divakar  - Naseruddin Shah
Lynn - Kumud Mishra 
Divya - Divya Jagdale
Cameo di Makrand Deshpande e di Rajat Kapoor

Scritto da Anurag Kashyap e Kalki Koechlin

Diretto da Anurag Kashyap

Prodotto da Anurag Kashyap

Musiche di Naren Chandavarkar

Distribuito da IndiePix Films

Anno 2011

CURIOSITA'

- Durante la promozione del film Kalki girava spesso con indosso gli anfibi gialli di Ruth.
Ecco alcune immagini qui, qui e qui.

- That girl in yellow boots è stato realizzato in 13 giorni.

- Kalki Koechlin ha dichiarato di essersi  immedesimata nel personaggio: "sono cresciuta come donna dalla pelle chiara in India, ero sempre quella strana. C'era una sensazione di emarginazione che ne conseguiva; finivo per estraniarmi perchè ognuno mi trattava come una ragazza bianca e quindi considerata facile"
L'articolo integrale.

- That girl in yellow boots nel 2010 ha partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia, al Toronto International Film Festival, e al South Asian International Film Festival a New York.
Nel 2011 è stato proiettato al London Indian Film Festival.

- Un assaggio della bella colonna sonora di That girl in yellow boots.

- All'undicesimo minuto circa, una ragazza canticchia San Sanana dal film Asoka. Un video che vale sempre la pena di riguardare.

Il sito ufficiale del film.

16 novembre 2011

BOL

Un tuffo a Lollywood (il suffisso mutuato da Hollywood non risparmia nemmeno il cinema pakistano e, questa volta, viene adattato a Lahore, sede dell'industria cinematografica del Pakistan) con Bol.

TRAMA

Zainab (Humaima Malik) è in prigione, colpevole di omicidio. Prima di essere giustiziata chiede di poter raccontare la sua storia. E' la più grande di cinque figlie femmine in una famiglia modestissima di Lahore. Il padre, Hakim Sahib (Manzar Sehbai), è l'unico sostegno, mentre le donne, confinate tra le mura domestiche senza la possibilità di studiare o di rendersi indipendenti, diventano un peso. Quando arriva il tanto desiderato erede maschio, la levatrice confida ad Hakim che il bimbo è ermafrodita.

RECENSIONI

The Times of India ****
Bol racconta i problemi di una famiglia di classe medio-bassa di Lahore: povertà, ortodossia, potere repressivo dettato dal pregiudizio sessuale. Il punto più alto del film è rappresentato dal conflitto fra la figlia maggiore (Humaima Malik) e il padre legato alle tradizioni (Manzar Sehbai). Il regista Shoaib Mansoor sta rapidamente diventando il portabandiera del nuovo cinema pachistano. Aveva già catturato l'attenzione internazionale con Khuda Kay Liye, acclamata diatriba sul fondamentalismo e sul razzismo in un mondo post 11 settembre. Mansoor torna ora con Bol, un altro incisivo atto d'accusa contro la discriminazione sessuale. La pellicola è un tour de force, sia in termini di recitazione che di narrazione. La sceneggiatura è scioccante e ricca di colpi di scena. Humaima Malik è il ritratto perfetto della figlia ribelle che osa discutere col padre e persino adottare misure drastiche per assicurare che la giustizia prevalga. Manzar Sehbai è magnifico nel ruolo del tiranno che tenta disperatamente di preservare l'onore della famiglia nel rispetto di moribonde tradizioni. La forza della caratterizzazione del suo personaggio risiede nel fatto che non diviene mai la quintessenza del villain malgrado il suo comportamento. Va riconosciuto al regista il merito di non aver creato eroi positivi e negativi: il biasimo è destinato alla vecchia mentalità sociale e alla cieca ortodossia. Bol è un film da non perdere: attuale, provocatorio, serio.
Nikhat Kazmi, 01.09.11
La recensione integrale.

Hindustan Time ***1/2
Osservate l'intrattabile vecchio di Lahore rappresentato in Bol. I suoi antenati erano di Lucknow, località con cui egli stesso viene identificato. Può succedere solo in Pakistan, ove gli immigrati post-partizione sono ancora considerati stranieri. Il mestiere del vecchio è antico: prescrivere medicine preparate in casa. I pazienti sono scarsi, i figli da mantenere troppi. E tutte femmine, ormai grandi, non istruite, addomesticate con la forza, impotenti. Mezzo morto, il vecchio spera ancora in un maschio. Il suo intelletto, la sua medioevale visione del mondo, la sua compassione (o la sua mancanza di compassione), sono dettati da una fede cieca solo nella religione. Il vecchio è indubbiamente disprezzabile, eppure vi è qualcosa nel suo personaggio che lo fa emergere: la performance di Manzar Sehbai, che infonde nel ruolo convinzione, nobiltà innata, completa empatia fisica. Difficile immaginare un attore indiano, a parte forse Naseeruddin Shah, che potrebbe fare altrettanto. Il vecchio parla poco e crea una certa aura attorno a sè. E' un uomo, e quindi si ritiene violento per natura. L'unica che ha il coraggio di sfidarlo è la sua primogenita (meravigliosamente interpretata da Humaima Malik), che lo accusa di aver ucciso e non cresciuto otto figli. La metafora è corretta almeno per uno di loro. Il vecchio uccide suo figlio, ormai adulto, senza provare vergogna. Questo è il conflitto centrale nel primo tempo. La vita continua. In Bol ogni tragedia appare come una nuova opportunità da esplorare. Da questo punto di vista la sceneggiatura è strutturata in modo libero, come un romanzo in espansione, un tour de force letterario. Di rado il pubblico viene a conoscenza delle possibilità di un film. Con Bol succede. Forse dipende dal luogo di origine. Per la maggior parte degli indiani il lato apolitico del Pakistan contemporaneo rimane un mistero. Dopo l'indipendenza Lahore sfortunatamente cedette i suoi talentuosi cineasti a Bombay. Bol è un raro prodotto di prima classe che spalanca una finestra sul Paese. Si può osservare da vicino lo stato delle donne pachistane appartenenti alle classi medio-basse. E ricorda molto l'Arabia Saudita. Ritengo sia questa la tragedia generata dalla traiettoria che il Paese prese dopo l'indipendenza o comunque a partire dalla fine degli anni settanta. Si percepisce ancora un legame culturale con l'India, se non altro grazie a Bollywood. Nel film una ragazza prende il nome Meena da Meena Kumari e cita un dialogo indimenticabile tratto da Pakeezah. La storia narrata da Mansoor non è solo un triste uncino che aggancia le miserie del Pakistan. E' triste in generale, ma anche altamente appassionante e avvincente. Bol è di sicuro da consigliare.
Mayank Shekhar, 02.09.11
La recensione integrale.

Diana ****
Uno dei temi centrali di Bol è la sessualità. Nelle società più chiuse e repressive, è vissuta come un tabù e spesso si esprime con atteggiamenti sessuofobici, morbosi, o prevaricatori e violenti.
Hakim Sahib vive nell'arretratezza culturale. Agisce rigidamente secondo il suo credo, in difesa del decoro e della propria onorabilità. I suoi principi, però, lo spingono a comportamenti inaccettabili che ricadono drammaticamente sulla sua famiglia.
Hakim è una figura molto affascinante, interessantissima. E' un uomo che ama i suoi figli.  Un fatto che diventa chiarissimo nella seconda metà della storia, quando il film cresce. Quando Hakim, dopo essersi macchiato, senza esitazioni o pentimenti, del più terribile dei reati, scende a compromessi con la propria fede e accetta un patto ancora più terribile.
E' l'amore di un genitore che non sa amare, l'amore più pericoloso e distruttivo.
Shoaib Mansoor mette in luce con talento, intelligenza e profondità di analisi i danni provocati dall'ottusità religiosa e dall'ignoranza. Un film intenso ed esemplare. Un inno alla libertà.

Il bello:
- Le interpretazioni dei protagonisti. I più bravi: l'eccellente Manzar Sehbai, Humaima Malik, un volto bellissimo ed espressivo, e Shafqat Cheema.

- Il dialogo tra Hakim e Meena: "Non c'è nessun altro uomo che si occupi di loro" dice il vecchio.
"E qui non c'è nessun'altra donna" risponde lei, prostituta e unica fonte di reddito di una famiglia in cui sono tutti uomini.

- L'idea che una giovane donna nonostante sia cresciuta in un clima repressivo possa sviluppare una mentalità moderna, una personalità indipendente e combattiva.

Il brutto:
- Sudhish Kamath, nella sua recensione del 3 settembre 2011, pubblicata su The Hindu, scrive: "nonostante le sue mancanze (i primi e gli ultimi cinque minuti), Bol è una voce coraggiosa dal Pakistan che merita di essere ascoltata".
E' vero, il film è così buono che l'inizio, in particolare, e il finale, che sono più deboli, non risultano all'altezza del resto. Bol non è impeccabile, ma rimane una pellicola ampiamente al di sopra della media.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Zainab - Humaima Malik
Hakim Sahib - Manzar Sehbai
Mustafa - Atif Aslam
Meena - Iman Ali
Ayesha - Mahira Khan
Chowdhary - Shafqat Cheema
Suraiya - Zaib Rehman
Saifi - Amr Kashmiri

Scritto e diretto da Shoaib Mansoor

Prodotto da Shoman Productions

Musiche di Shoaib Mansoor, Atif Aslam, Sarmad Ghafoor e Sajjad Ali

Distribuito da  Geo Films e Eros International Ltd.

Anno 2011

CURIOSITA'

- Shoaib Mansoor è il regista del pluripremiato Khuda Kay Liye. Di Bol ha detto: "avendo avuto una vita fortunata, penso spesso ai motivi per cui sentirmi grato. La lista sembra sempre non avere fine, ma invariabilmente finisce con una cosa...che sono nato uomo. Niente al mondo mi spaventa di più del pensiero di essere donna o eunuco in un paese come il Pakistan, dove l'oscurantismo ha radici profonde. E' triste che rivendichiamo, pieni di orgoglio, che i diritti del genere femminile siano garantiti dalla nostra religlione, eppure quando mi guardo intorno, nei paesi musulmani sottosviluppati, in generale, e nel Pakistan, in particolare, trovo che la situazione sia esattamente all'opposto. Tragicamente la nostra interpretazione e l'applicazione della religione sembrano iniziare e finire con le donne. Lasciando da parte il cinque percento di un elite, istruita e che vive in città, le donne sembrano essere il terreno (il campo di battaglia), dove attuare una forma medievale di religione".
L'articolo integrale.

- In Pakistan, Atif Aslam è una famosa star del pop. Ha cantato anche in diversi film bollywoodiani, come Ajab Prem Ki Ghazab Kahani, e persino in un film americano diretto da Ramin Bahrani, Man Push Cart, presentato in prima mondiale a Venezia nel 2005 e vincitore di un Fipresci Critic's Award al London Film Festival 2005. Questo è il suo debutto come attore.
Per Bol ha scritto ed interpretato Aaj Bol Do e Hona Tha Pyaar.
- Questo film ha stabilito un nuovo record d'incassi in Pakistan: è diventato il  più visto durante la prima settimana d'uscita, superando il precedente successo di My Name is Khan.
- Bol sarà proiettato il prossimo dicembre a Firenze nell'ambito del River to River Florence Indian Film Festival 2011. Un'occasione da non perdere!

Il sito ufficiale del film.

12 novembre 2011

DEIVA THIRUMAGAL



Potersi gustare un nuovo film del talentuoso A.L. Vijay , regista del bellissimo Madrasapattinam, è già un motivo sufficiente per abbandonare di colpo qualsiasi altra occupazione, l’autore che ci aveva deliziati con un kolossal sontuoso sullo sfondo dell’indipendenza indiana cambia rotta e dirige un film intimo dalla complessa impalcatura emotiva. Anche se fortemente ispirato alla pellicola hollywoodiana I Am Sam, Deiva Tirumagal non si presenta semplicemente come un remake ma sviluppa una storia diversa a partire dalle linee tracciate dal film con Sean Penn. Vikram sovrasta con la sua interpretazione naturale e il suo aspetto subisce una metamorfosi che lascia ammutoliti.

TRAMA
Krishna (Vikram) dopo aver perso la propria compagna si trova a dover crescere da solo la sua bambina , le donne del villaggio si offrono di aiutare il giovane padre disabile che non sa come prendersi cura della neonata. Nila (Sarah), la piccola, cresce felicemente nella località montana coccolata da tutti i membri della comunità fino a che il nonno e la zia non vengono a reclamare la sua custodia. Krishna, ingannato dal suocero e barbaramente abbandonato, troverà l’appoggio di Anuradha (Anushka) un’avvocatessa che prende a cuore la sua causa.


Pieno di pause ma non lento, vivace ma non logorroico. Il film mantiene un buon equilibrio e si plasma sulle emozioni, sulla tenerezza senza appesantirsi o cedere a lacrime facili. Per lasciarci un profilo accurato il regista si prende tutto il tempo che vuole, ci trascina fuori o dentro il mondo di Krishna, uomo-bambino impulsivo, affettuoso ma incapace di accettare le convenzioni e riconoscere i cattivi istinti. Vijay sceglie cosa dirci e cosa no, ci fa entrare nella casa e nell’immaginario del protagonista celando però   l’identità della moglie Bhanu (della quale non riusciamo a vedere nemmeno il volto) e quella che è stata la sua vita prima della nascita di Nila.
Affidare o non affidare la custodia della figlia di cinque anni ad un uomo disabile, a volte incapace di prendersi cura di se stesso senza l’aiuto di nessuno? Dopo aver fatto luccicare gli occhi degli spettatori con scene dolcissime il regista fa un passo indietro, diventa un po’ cinico e la storia si chiude con una domanda, lasciandoci con il dubbio se solo l’amore e la dedizione di Krishna per la sua piccola siano o no sufficienti a garantirle una crescita serena. Nel trattare un argomento così delicato il film oscilla tra il realismo e la fiaba, scansando comunque eccessi di stravaganza nella narrazione. Ciò che ne prende vita è un composto visivo degno di nota le cui immagini sono brillanti e le locations rifugi nel verde, un prodotto capace di guadagnarsi recensioni positive sia per i suoi contenuti che per la qualità formale.
I flashback sono stati usati con maestria,  malgrado la tecnica del racconto a ritroso sia tra le più inflazionate nell’universo cinematografico la riunione di ricordi intervallati al presente si è saputa intersecare nel modo giusto garantendoci di creare una chiara panoramica degli eventi senza rinunciare all’effetto sorpresa. Tra i momenti che creano piacevoli intervalli ricreativi: le fasi di improvvisazione di un racconto che si compongono nella mente di Krishna preoccupato sul come aiutare la figlia negli impegni scolastici (l'assemblamento disordinato di tutti gli elementi fantastici assimilati negli anni crea un composto adorabilmente fantasioso) e la visualizzazione del brano "Vizhigali Oru Vannavil" dove la pioggia si trasforma in vernice mentre Anuradha vaga indisturbata nei sui pensieri.
Se Anushka Shetty si dimostra un’attrice sempre più completa e matura Vikram continua a stupire ed aggiunge questa performance perfetta ad un curriculum già ricco di gioielli. Il protagonista si muove sotto molteplici sguardi femminili: le attenzioni protettive della moglie del capo che gli insegna come accudire la neonata e lo tranquillizza nelle sue paure; la spontanea vitalità della piccola Nila, intuitiva e scaltra ma rispettosa per la diversità del padre; la determinazione e i capricci di Swetha, donna in carriera che fa la voce grossa ma non ha chiarezza d'idee;  l’intelligenza e la capacità di immedesimazione di Anuradha la quale si trova a riconsiderare la propria etica e la propria vita alla luce del nuovo incontro.
Fuggendo da conclusioni scontate il film evita di far nascere una storia d’amore tra l’avvocato e il suo cliente, a scaldare la loro intesa non sarà un’attrazione fisica ma l'ammirazione per i rispettivi messaggi: la generosità e la perseveranza in Anuradha e la capacità di amare e perdonare in Krishna. Dubito che la scelta di Sarah, la piccola attrice il cui volto somiglia moltissimo ad Anushka Shetty, sia stata casuale, il lei il personaggio ricorda qualcosa che aveva dimenticato e si rivede in lei,  dalle attenzioni che vorrebbe ricevere alla sua perduta spontaneità. La ragazza non cerca di diventare la compagna dell’uomo che l’ha ispirata quanto sogna di poter pensare ancora come sua figlia Nila e continuare a credere che un rapporto di totale fiducia e amore  sia possibile.  



Il mio giudizio sul film : **** 4/5


ANNO : 2011

LINGUA : Tamil

TRADUZIONE DEL TITOLO : figlia di Dio

REGIA : A.L. Vijay


CAST
Vikram ……………………………. Krishna
Anushka Shetty………………………… Anuradha
Sarah ……………………… Nila
Amala Paul ……………………. Shweta
Sachin Kedhekar …………………. Rajendran
Karthik Kumar ………………………. Karthik
Santhanam ………………………. Vinod
Nassar ……………………….Bashyam


COLONNA SONORA : GV Prakash Kumar alla sua terza collaborazione con L.Vijay dopo Kireedam e Madrasapattinam

PLAYBACK SINGERS : Vikram, Shringa, Saindhavi, GV Prakash Kumar, SP Balasubrahmanyam, Maya, Rajesh, Kalyan, Haricharan, Navin Iyer



QUALCOS’ALTRO:

Main Aisa Hi Hoon (2005) con Ajay Devgan è stato un precedente remake di I am Sam in lingua hindi.

Il motivetto “Pa pa papa” riprende un brano dal classico Disney Robin Hood

Amala Paul è stata la fantastica eroina di Mynaa, village movie tamil gudicato Miglior Film dell’anno durante la passata edizione dei Filmfare Awards South.

Il film è stato accolto positivamente sia dai critici che dal pubblico, dopo essere stato doppiato in lingua telegu (Nanna) ha incontrato un ottimo successo anche in Andhra Pradesh.

Deiva Thirumagan ( figlio di Dio) è stato sostituito a fine riprese con Deiva Thirumagal (figlia di Dio) a seguito di una rivendicazione di copyright da parte della Sivaji Production che aveva già acquistato i diritti sul titolo per uno dei loro progetti futuri.

SITO UFFICIALE DeivaThirumagal.com

Qualche informazione in più su Vikram e Anuskha Shetty nelle sezioni: I VOLTI MASCHILI DEL CINEMA TAMIL, I VOLTI FEMMINILI DEL CINEMA TELEGU

09 novembre 2011

LOVE BREAKUPS ZINDAGI

Dia Mirza e il regista Sahil Sangha si sono innamorati. Pieni di entusiasmo, insieme a Zayed Khan, hanno fondato la Born Free Entertainment Pvt Ltd e prodotto il loro primo film Love Breakups Zindagi. Purtroppo sentimenti sinceri e le migliori intenzioni spesso non bastano.

TRAMA

Jai (Zayed Khan) e Naina (Dia Mirza), rispettivamente fidanzati senza troppo entusiasmo, si incontrano durante un lungo weekend di festeggiamenti nuziali. Allo stesso matrimonio partecipano Govind (Cyrus Sahukar), amico divorziato di Jai, e Sheila (Tisca Chopra), affascinante ed indipendente trentotenne single. Sorpresa: alla fine delle due ore e trenta di film, tutte e quattro i protagonisti troveranno l'amore.

RECENSIONI

The Times of India **1/2
Aspettare e guardare, sì. Ma che succede se l'attesa diventa senza fine e non c'è molto da vedere, dato che la trama continua a girare, in cerchi ripetuti, intorno alle vite di un gruppo di persone confuse.
Non proprio un perfetto debutto come regista per Sahil Sangha e come produttori per Dia e Zayed, Love Breakups Zindagi, per questo trio, andrebbe considerato un passo verso qualcosa con maggior sostanza e originalità.
Nikhat Kazmi, 07.10.2011
La recensione integrale.

Hindustan Times **
Torniamo ai quattro protagonisti. Si continua a vedere così tanto di loro, ben sapendo che cosa accadrà dopo.
Lo sceneggiatore deve riempire i vuoti; uno Shah Rukh Khan che invecchia, portato lì per un cameo, non può aiutare. "Le relazioni sono confuse. Possono essere irritanti. Speriamo che le nostre siano differenti" riflette l'eroe, ad un certo punto. Questo è vero anche per i film romantici. Se non avrete aspettative troppo alte, sarete soddisfatti.
Mayank Shekhar, 07.10.2011
La recensione integrale.

Diana **
Se Mere Brother Ki Dulhan è una commedia romantica classica, attualizzata, piacevole e riuscita senza essere ardita o rivoluzionaria, con Love Breakups Zindagi si ritorna alla preistoria.
Ricordando la poesia di W.H. Auden, O Tell Me The Truth About Love, i protagonisti di Love Breakups Zindagi  sono alla ricerca, con molta meno ironia dello scrittore angloamericano, della verità sull'amore. Che cosa scoprono? Che trovata l'anima gemella le domande esistenziali, i dubbi, le perplessità e le preoccupazioni, all'improvviso non contano più niente.
Il primo tempo è piacevole, nel secondo l'assenza di spunti nuovi, sia nei contenuti che nella narrazione, cominciano a pesare, fino all'epilogo in cui tutti si abbracciano in lacrime. Un film fuori tempo massimo.
Peccato per la buona volontà di Zayed Khan e Dia Mirza che sono belli e in grande forma, ma che non hanno saputo scegliere una storia se non originale almeno fresca e spiritosa.
Il cameo di Shah Rukh Khan, sempre affascinante, anche se duole dirlo è sommamente inutile oltre che sprecato.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Jai - Zayed Khan
Naina - Dia Mirza
Govind - Cyrus Sahukar
Sheila - Tisca Chopra
Arjun - Satyadeep Mishra
Dhruv - Vaibhav Talwar
Gayatri - Auritra Ghosh
Radhika - Pallavi Sharda
Ritu - Umang Jain
Special Appearance di Farida Jalal, Boman Irani, Shabana Azmi, Shahrukh Khan e Ritesh Deshmukh

Scritto e diretto da Sahil Sangha

Prodotto da Dia Mirza, Zayed Khan e Sahil Sangha

Musiche di Salim-Sulaiman

Coreografie di Remo D'Souza e Rajeev Goswami

Distribuito da Sahara Motion Pictures e Born Free Entertainment Pvt Ltd

Anno: 2011

CURIOSITA'

- In occasione della prima del film, il cast di Love Breakups Zindagi ha venduto di persona i biglietti in un cinema di Mumbai. Guarda il video.

- Qualche immagine del making di Love Breakups Zindagi, precedute dagli auguri di alcune delle personalità più importanti dello show business made in India. Video.

- Il film ha vinto un 'Hero to Animals' Award della PETA India, per una scena molto carina in cui Zayed e Dia salvano un cucciolo di cane. Dato che difficilmente la produzione festeggerà altri riconoscimenti, complimenti per questo premio!
L'articolo integrale di Bollywood Hungama.

Il sito ufficiale del film.

08 novembre 2011

MAHAL



Una storia di ossessioni dalle atmosfere macabre, uno strano triangolo sentimentale nel quale tutti i personaggi compiono azioni orribili nei confronti della persona che dicono di amare, una soffocante catena di autodistruzioni dove l’unico vero colpevole resta impunito. Mahal, melodramma agitato e oscuro, è un film che appare molto più giovane della sua reale età anagrafica ( è stato girato nel 1949) l’ultimo prodotto della fabbrica dei sogni Bombay Talkies, già avviata verso un totale declino, e il primo successo del regista Kamal Amrohi (Pakeezah) conosciuto per la sua attrazione morbosa verso le suggestioni e il mistero.

TRAMA
Shankar (Ashok Kumar) acquista ad un’asta pubblica uno splendido palazzo abbandonato e scopre guardando un dipinto che il vecchio proprietario gli somigliava in modo impressionante. L’uomo, incuriosito dalla serie di coincidenze che lo legano alla residenza decide di non abbandonare il luogo e spera di poter avere contatti con il fantasma che lo abita, una ragazza meravigliosa (Madhubala) in cerca del suo amato.


Atmosfere da romanzo gotico, candelabri che oscillano, arredamenti coloniali, giardini moghul, twist imprevisti e una trama soddisfacente, Mahal è un triller che non incute timore ma crea tensione, attesa e sensazioni opposte di meraviglia e disagio, ricrea un mondo decadente e confuso i cui tratti sono cupi, spettrali, i profili maschili deboli e disorientati, i personaggi femminili forti ma contradditori e letali.
La mano di Kamal Amrohi si avverte dai dettagli, immagini che devono creare sospetto e suggerire che gli eventi non andranno nella direzione in cui la storia fino a quel punto sembra portarli. Una mobilissima cinepresa spazia tra gli ambienti, mostra Madhubala fluttuare, riprende foglie che danzano sul pavimento, si nasconde tra le fessure delle finestre, spia le reazioni dei personaggi e svanisce a comando. Le immagini sono macabre seppur deliziosamente eleganti tanto da sembrare scatti d’autore, se si bloccano per guardarle una ad una ci si rende conto della sofisticata ricercatezza della fotografia, della cura dei set e degli sfondi.
In Mahal vengono introdotti quelli che saranno motivi ricorrenti nella filmografia, breve ma intensa, di Amrohi: il destino come forza motrice degli eventi, le strane casualità, gli elementi della natura che prendono vita e veicolano premonizioni, gli amanti frustrati dagli insuccessi dei propri tentativi che fuggono in luoghi isolati, l’aristocrazia decadente e il paesaggio ostile, lunghi primi piani agli sguardi intensi degli interpreti, le esibizioni ammiccanti delle cortigiane. Kamal Amrohi, sempre enigmatico, tradisce il pubblico e continua a celare, sussurra all’orecchio per poi depistare, si ha sempre la sensazione che ci stia mostrando solo in parte e che aldilà di ciò che viene inquadrato ci sia molto di più da conoscere, ma ciò non ci è dato di fare.
Sovrannaturale o bluff? Reincarnazioni e spettri inquieti o fitti ricami tessuti dagli umani? Il film propone vari meccanismi in grado di plagiare e controllare la mente, dalla bellezza magnetica all’attrazione per il mistero, dalle tecniche per spingere qualcuno a compiere i gesti più assurdi o disperati. Si assiste ad una costruzione e sparizione dell’alter-ego del protagonista, uccisione anche fisica attraverso colpi di pistola sul dipinto che ricorda a Shekhar quello che lui vorrebbe essere ma non è e ciò che vorrebbe inseguire quando invece è imprigionato. La reclusione diviene un tema onnipresente, dalle mura del palazzo alla cella, dalla remota capanna montana alla gabbietta degli uccellini (immagine che diverrà il simbolo del suo capolavoro Pakeezah). La mancanza di libertà conduce a scelte ed azioni sbagliate, davanti a limiti Shekhar non sa se arrendersi e rinunciare alla sua (o sue) identità oppure perseverare nella ribellione ma cadere vittima dei desideri ossessivi.
Anche se il film mostra alcuni vuoti nella seconda parte e una sovrabbondanza di canzoni, la maestria del regista (e di un già promettente Bimal Roy , qui curatore del montaggio) traspare in ogni scena. La classe del protagonista Ashok Kumar e la bellezza di Madhubala sono abbaglianti e perfettamente catturate dalla pellicola in bianco e nero. Il brano “Aayega Aanewala” , richiamo attraverso la quale il fantasma comunica con il suo amato , ispirerà altri film dal tema fantasmi e vite precedenti come Madhumati e Neel Kamal ed ha lanciato come playback singer una giovanissima Lata Mangeshkar.


Il mio giudizio sul film : ***1/2  3,5 /5


ANNO : 1949

TRADUZIONE DEL TITOLO : Palazzo

REGIA : Kamal Amrohi


CAST :
Ashok Kumar ………………….. Shekhar
Madhubala ……………………. Kamini
Vijaylaxmi…………………………… Ranjani
Kanu Roy ………………………. Srinath


COLONNA SONORA : Kemchand Prakash
PLAYBACK SINGERS : Lata Mangeshkar, Rajkumari

05 novembre 2011

CHILLAR PARTY



Chillar Party è un film energico e non melenso capace di risvegliare l’opinione pubblica sulla piaga del lavoro minorile a partire da una tenera storia di bambini narrata in modo semplice e studiata per non eccedere in alcuna direzione. Il messaggio di fondo è energico e progressista : non è mai troppo presto per imparare ad essere cittadini, ed esseri umani, migliori. Se per gli adulti dare un giro di chiave al proprio appartamento significa non interessarsi a quello che c’è fuori che i fautori del cambiamento siano i giovani e i giovanissimi. “Esperienza è solo il nome che gli uomini danno ai propri errori” (O.Wilde).


TRAMA
In una comunità di Mumbai un gruppo di ragazzini cresce insieme tra partite di cricket, giochi e Tv fino a che non arriva una grossa novità: un loro coetaneo viene assoldato per il lavaggio giornaliero delle macchine. Fatka e il suo cane Bhidu vivono e dormono nel giardino della palazzina in una vecchia auto abbandonata, i due vengono inizialmente presi di mira dalla comitiva ma ben presto le barriere saranno infrante. La nuova amicizia inizierà a preoccupare i genitori e un fantomatico politico corrotto infastidito dal loro esempio di coesione sociale.


Diverse sensazioni si alternano, dalla tenerezza alla simpatia di alcune gag fino alla parodia dei grandi al potere, ovvero i genitori e il politico, entrambi eccessivamente capricciosi e preoccupati. Vince il punto di vista dei bambini ma nemmeno gli adulti si annoieranno, Chillar Party è un film che potrà convincere oppure no ma difficilmente la sua visione si dimostrerà tempo sprecato. Seguendo lo schema iniziale di Golconda High School il film presenta con rapidità i piccoli protagonisti dando subito in mano allo spettatore delle caratteristiche accattivanti di immediato riconoscimento, scene briose e molto veloci che introducono l'eroe, il suo mondo quotidiano e il perché del suo soprannome. L’idea mi era già piaciuta nel divertente sport movie telegu ma anche qui la stessa tecnica ha funzionato a meraviglia.
Il film, oltre a sfatare il mito che i bambini siano completamente buoni, innocenti e inesperti,  mostra anche quanto gli adulti a volte siano ridicoli e infantili nelle loro fissazioni. I ragazzini appartengono a diversi contesti sociali e culture e compongono il quadro di un’India middle class in miniatura. Influenzato dall’ambiente che lo circonda ciascuno di loro sembra già incedere nei vari vizi,  pigrizie o manie dei genitori, gli appartamenti diventano micro-mondi dentro le quali ogni famiglia vive secondo le proprie regole e possibilità. Il gruppo  abbandona momentaneamente i giochi per impegnarsi in progetto che gli sta a cuore, lottare per ammettere nella propria colonia un cane giudicato randagio ma indirettamente portano soluzioni alternative a ben altri problemi: lo sfruttamento del lavoro minorile e l’impossibilità d’integrazione per un ragazzino orfano e abbandonato a se stesso: Fatka, angry young boy sempre imbronciato e con la voce da uomo. Pochi sguardi saranno sufficienti ad eleggere Irrfan la vera star di Chillar Party.

Il mio giudizio sul film : *** 3/5

Da guardare per :
Trovare un film per bambini ricco di spunti educativi la cui storia è fresca e simpatica.
Punti deboli:
La scelta del talk show finale come chiusura della lotta tra il Chillar Party e il politico frustrato.



THE TIMES OF INDIA  recensione positiva di Gaurav Malani

HINDUSTAN TIMES  recensione di Mayank Shankar, giudizio al film ** 2/5


ANNO : 2011

TRADUZIONE DEL TITOLO : Il gruppo dei pochi spiccioli (trad. Chillar = resto che si riceve in monetine)

REGIA : Vikash Bahl / Nitesh Tiwari

PRODOTTO DA : Salman Khan e Ronnie Screwvala


CAST :
Irrfan Khan …………………. Fatka
Sanath Menon ……………… Arjun
Chinmai Chandransshu ………… Lucky
Rohan Grover ……………… Akram
Aarav Khanna …………… Aflatoon
Vishesh Tiwari ……………. Second Hand
Vasant Desai ……………….. Silencer
Shreya Sharma …………………. “Thootpaste”
Divji Handa ………………………… Shaolin
Ranbir Kapoor ……………… apparizione speciale nel video di "Tai Tai Phiss"


COLONNA SONORA : Amit Trivedi

PLAYBACK SINGERS : Aarman Malik, Amitabh Bhattacharya, Mohit Chahuan, Amith Trivedi, Gaurika Rai

SITO UFFICIALE DEL FILM : CHILLARPARTY.NET


QUALCOS’ALTRO:

Il giovanissimo attore che interpreta Fatka  ha lo stesso nome di una star indiana,  Irrfan Khan, fino all'inizio delle riprese del film ha vissuto in uno degli slums di Mumbai,  pare che parte dei proventi del film sia stata devoluta in suo nome e che ora la sua famiglia possegga una casa.

Chillar Party ha ben due padrini d’eccezione, Salman Khan, che ne è produttore, e Ranbir Kapoor, che regalato al film una sua bizzarra item song girata a scopo promozionale. Video del Making of.

Shriya Sharma è l'unico volto già noto al pubblico, la ragazzina ha recitato in altri film tra cui  The Blue Umbrella e Thoda Pyaar Thoda Magic


Simpatici video dal Making of del film : Strategie di conquista suggerite dai piccoli del cast (Impressing the girl, kiddy style)  e La marcia di protesta (Chaddi March).

Gli auguri da parte di Aamir Khan (video), l'intervista di Bollywood Hungama ai piccoli attori e Salman Khan (video), Sallu messo in difficoltà dai ragazzini (video), spot promozionale di Utv (video).

04 novembre 2011

I AM KALAM


Dopo essere stato presentato a Cannes nel 2010, la scorsa estate è uscito finalmente nelle sale I am Kalam, diretto da Nila Madhab Panda ed interpretato dall'esordiente tredicenne Harsh Mayar.

TRAMA

Per aiutare la famiglia, Chhotu (Harsh Mayar), ancora bambino, viene portato a lavorare in un punto di ristoro, sulla strada per Delhi, di proprietà di Bhati (Gulshan Grover). Chhotu, intelligente e curioso, impara velocemente. Mentre serve l'hotel, antico palazzo di quella che era la famiglia reale, incontra il principino Ranvijay (Hussan Saad). I due, nonostante la diversa estrazione sociale, diventeranno amici.

RECENSIONI

The Times of India ***1/2
I am Kalam è illuminante, intelligente, attuale e pure piacevole. Soprattutto trabocca di cuore ed anima, e tocca lo spettatore col suo semplice messaggio: ogni bambino al mondo ha diritto alle stesse opportunità, specialmente in materia di istruzione. IAK è un film per ragazzi quasi perfetto che si rivolge anche ad un pubblico adulto. La pellicola colpisce in modo particolare per il tono. Malgrado tratti temi seri, vi è una onnipresente leggerezza a permeare la narrazione. E alla fine è lo spirito di chi non molla del giovane protagonista che torreggia e che crea un commovente ritratto di speranza e coraggio. Il film centra alla grande il suo bersaglio grazie alle interpretazioni realistiche. I due giovani attori sono eccellenti, e Harsh Mayer non ha conquistato il National Award per niente. Altrettanto impressionante è Gulshan Grover, che qui offre, ad oggi, la sua performance più misurata. IAK forse non incendierà il botteghino, ma di certo vi emozionerà. Anche se è stato selezionato in diversi festival, ciò non significa che la pellicola sia destinata ad un pubblico di nicchia.
Nikhat Kazmi, 04.08.11
La recensione integrale.

Hindustan Times ***
Harsh Mayer si è meritato il National Award. I am Kalam non è un film moralistico nè melodrammatico, bensì una favola intima e dolce che tocca gli argomenti della differenza di classe, della povertà, dell'infanzia e dei sogni, e che non perde mai di vista una narrazione plausibile e coinvolgente. E ciò aiuta. Il protagonista è davvero incantevole, proprio come la pellicola.
Mayank Shekhar, 05.08.11
La recensione integrale.

Diana ***1/2
Una bella storia, con un bel protagonista. Chhotu è un bambino adorabile, non tanto per la sua  capacità e velocità di apprendere quanto per quello che esprime. La sua vivacità, la curiosità, il suo genuino e pulito desiderio di imparare, incantano. La naturale propensione di Chhotu verso ciò che è bello, buono e quindi giusto, riconcilia con il mondo.
I am Kalam è un film con uno sguardo positivo sull'umanità, una pellicola semplice e tenerissima.

Il bello:
- I meravigliosi scenari del Rajasthan. Merito del direttore della fotografia Mohana Krishna, lo stesso di Ishqiya, e si vede!
(Grazie ad Atif per il prezioso chiarimento).

- I tavolini sono sulla sabbia e si cucina sotto un tendone. Tra pentole e chai, arrivati ai titoli di coda, si ha una gran voglia di palak paneer.

Il brutto:
- Piccole ingenuità di cui ci si scorda subito.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Chhotu - Harsh Mayar
Prince Ranvijay - Hussan Saad
Bhati - Gulshan Grover (Knock out)
Laptan - Pitobash
Lucy - Beatrice Ordeix
la madre di Chhotu - Meena Mir
Rani Sa - Garima Bharadwaj
Raja Rudra Pratap Singh - Sanjay Chauhan
Ranvijay's Servant - S.D. Chouhan

Scritto da Sanjay Chauhan

Diretto da  Nila Madhab Panda

Prodotto da Santanu Mishra

Musiche di Abhishek Ray, Madhuparna, Papon, Susmit Bose e Shivji Dholi

Distribuito da Smile Foundation e Centuryply

Anno: 2011

CURIOSITA'

- I am Kalam è stato presentato per la prima volta al 63° Fetival di Cannes. Successivamente ha partecipato a molte altre manifestazioni nazionali ed internazionali, tra cui il nostro Giffoni Film Festival 2010, aggiudicandosi numerosi riconoscimenti come la menzione speciale al Cinekid Int'l Film Festival di Amsterdam o il Best Feature Film by Young Giury al Int'l Film Festival of India (IFFI) a Goa.
Inoltre Harsh Mayar ha vinto il prestigioso National Film Award come Best Child Artist 2011.
La premiazione si è tenuta il 9 settembre a Delhi. (L'articolo di Cinema Hindi).
Vedi anche:
     - La 54esima edizione del British Film Institute London Film Festival e la dodicesima edizione del Mumbai Film Festival, tenutesi ad ottobre 2010.
     - L'Indian Film Festival of Los Angeles 2011 dello scorso aprile, dove I am Kalam vinse come Best Feature Film by Audience Choice.
     - La prima edizione dell'Indian Film Festival The Hague a L'Aia e il Seattle South Asian Film Festival  dello scorso ottobre.

- Harsh Mayar, sembra che prima di recitare vivesse in uno slum di Delhi, così come i protagonisti bambini di Slumdog Millionaire, Rubina Ali e Azharuddin Mohammed Ismail, a Mumbai.
Sempre in Slumdog Millionaire, il personaggio di Jamal Malik adolescente è interpretato da Tanay Chheda, un ragazzino, ora quindicenne, che vanta già una filmografia di tutto rispetto: nel 2006 è nel cast di Don - The Chase Begins Again, nel 2007 in Taare Zameen Par e nel 2010 interpreta Rizwan bambino in My Name Is Khan.
Altri giovani volti dal promettente debutto sono stati il meraviglioso Darsheel Safary di Taare Zameen Par, che quest'anno ha recitato nel meno fortunato (e, sembrerebbe, meno interessante) Zokkomon, Partho Gupte di Stanley Ka Dabba, i ragazzini di Chillar Party, Irrfan Khan, Sanath Menon, Rohan Grover, Divji Handa, Vishesh Tiwari, Aarav Khanna, Vedant Desai, Chinmai Chandranshuh, Shriya Sharma, e Dwij Yadav di Nanhe Jaisalmer (trasmesso lo scorso agosto su Rai Uno con il titolo E' tempo di sognare).

- I Am Kalam è uscito in India ad agosto. Una speciale proiezione si è tenuta il 29 luglio a Delhi alla presenza di A. P. J. Abdul Kalam, presidente dell'India dal 2002 al 2007, rappresentato nella pellicola come esempio e fonte di ispirazione del piccolo Chhotu.

- Gulshan Grover, il 18 agosto a New York, ha vinto un award come Best Actor al New York City International Film Festival 2011, per il suo ruolo da protagonista nella produzione americana Desperate Endeavors. Il film drammatico, sul tema dell'immigrazione dal subcontinente, diretto da Salim Khassa e ambientato nella New York del 1973,  era già valso un riconoscimento a Gulshan Grover in occasione dello Houston Film Festival 2011. Il trailer di Desperate Endeavors.

Il sito ufficiale del film.