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05 marzo 2019

D A N G A L



Doveva essere un film a tema sportivo. Doveva essere un film imperniato sulla storia vera di due magiche figure femminili. Invece Dangal narra sostanzialmente un'ossessione maschile. 
La pellicola è piacevolissima da guardare, non fraintendetemi. Il primo tempo è molto divertente, il secondo regala una serie di prove sportive realistiche e coinvolgenti. La critica ha esultato. I media indiani hanno sottolineato l'aspetto (secondo loro) femminista. Dangal ha incassato cifre astronomiche. In Cina pare abbia attirato, solo on line, ben 400 milioni di spettatori. 
Aamir Khan è eccellente, una delle migliori performance della sua carriera. Il divo non esita a mostrarsi imbruttito, invecchiato e ingrassato (meritandosi un applauso a scena aperta), e si concede interamente al ruolo. Le due giovanissime attrici, Suhani Bhatnagar e soprattutto la stupefacente Zaira Wasim, affiancano Aamir alla pari, dando vita ad un trio indimenticabile. 

La sceneggiatura, a cui ha collaborato il regista Nitesh Tiwari, risulta però troppo sbilanciata a favore del protagonista, e i personaggi sono unidimensionali. 
Prendiamo Mahavir: sappiamo solo della sua ossessione, e non ci viene mostrato altro. Confesso che ho provato un certo disagio nei suoi confronti. L'uomo non si cura di nascondere la delusione per il mancato figlio maschio e quindi di ferire più volte i sentimenti della moglie e delle figlie. Ed ecco che di colpo le due figlie maggiori acquistano valore in quanto strumenti per la realizzazione del suo sogno. Nessuna preoccupazione per la loro incolumità o per il loro rendimento scolastico. Non parliamo poi delle loro aspirazioni: il padre considera le ragazze una sua proprietà, non riconosce loro alcuna individualità o autonomia. Non esita ad estirpare crudelmente la loro femminilità. Come uno schiacciasassi, tritura la personalità delle figlie e impone le sue decisioni e la sua volontà, senza mai ascoltare la loro opinione nè quella della moglie. Vero: chiede solo un anno delle loro vite. Ma è la brutalità e l'arroganza del suo comportamento ad orripilarmi. Le ragazze, a prova conclusa, continuano ad allenarsi e a vincere, anche se, nel film, sembra più per compiacere Mahavir, al quale viene comunque attribuito tutto il credito per le loro medaglie. 
La sceneggiatura perdona con troppa leggerezza la sua condotta, preferendo ammantare il personaggio di una luce eroica. E si guarda bene dall'offrirci il punto di vista delle ragazze: cosa pensano, cosa sognano per se stesse, cosa fanno quando non si allenano?
Propinarci Dangal come un manifesto contro la discriminazione di genere è davvero discutibile. Mahavir risparmia alle figlie un matrimonio precoce e un destino predeterminato dalle convenzioni sociali solo in ossequio alla propria ossessione, e non certo per amore paterno o in segno di rottura contro la mentalità maschilista imperante.

E veniamo agli inevitabili confronti. 
Sultan è una splendida pellicola di intrattenimento puro che parla di wrestling. Sfiora anche qualche tema sociale. Vanta una sceneggiatura ben calibrata, un robusto Salman Khan e uno dei personaggi femminili più insoliti ed efficaci. 
Chak De! India è forse il mio film sportivo preferito, insieme a Iqbal. Ottima sceneggiatura, narrazione inattaccabile, stratosferica performance di Shah Rukh Khan, significativa presenza femminile. Una delle opere più progressiste nel panorama del cinema popolare indiano degli ultimi anni. 
Sultan intrattiene, decisamente. Chak De! India intrattiene e rompe gli stereotipi, decisamente. Dangal intrattiene e tenta di rompere qualche stereotipo, ma a mio parere è decisamente inferiore ad entrambi.

TRAMA

Mahavir, ex-campione nazionale di wrestling, vive con la sua famiglia in un villaggio dello Stato dell'Haryana. Un giorno scopre con grande sorpresa che le figlie maggiori, Geeta e Babita, hanno malmenato due sfortunati coetanei. Ecco che Mahavir ha un'illuminazione.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* I fantasioni consigli elargiti da tutto il villaggio per concepire un maschio. Qui sì che gli sceneggiatori si sono divertiti a satireggiare.

ASSOLUTAMENTE DA DIMENTICARE

* L'inutile rivalità fra Mahavir e l'allenatore della nazionale indiana femminile di wrestling.

RECENSIONI

Rediff: **** 1/2
"The villain in Dangal is the mindset. (...) Aamir Khan plays this phenomenal character, both fascinating and flawed, a winner utterly sure of his beliefs who bends the world around him to his will. It is the performance of a lifetime, and Khan - incredibly buff when young, proud and paunchy when old - is sensational as he shows them the moves and imparts knowledge to the girls. With his wrist resting on his hip like a too-full teapot, his Phogat seems always to be thinking, planning, focussing. He knows what he's doing. Eschewing vanity and leading man cliché, Khan shows us commitment to the part. (...) This is by far the most credible an Indian sport film has ever felt, with even the commentators getting in on the action, giving most of us a tutorial in how to watch the sport. (...) India needs to watch this film for the way it puts the 'her' in 'hero'."
Raja Sen, 22.12.16

Mid-Day: ****
"It's a movie about female empowerment. The fact that it is set in rural Haryana (the part of India lowest on most female-centric indices, and I hope people watch it there), makes the subject all the more rich, and timely. (...) Your eyes hardly ever waver from the screen for 160 minutes, while you mildly laugh, go teary eyed, and on occasion even bite your nails, thoroughly enthralled as much by the intricacies of wrestling as a sport - that this film so wonderfully introduces us to - as some key moments, turning points, and inspired performances both by the girls (when they're kids, and when they grow up), and the old father, that's Aamir, wholly controlling the viewer's emotions in a dark hall, like a consummate puppeteer".
Mayank Shekhar, 09.01.17

Cinema Hindi: *** 1/2
Punto di forza: Aamir Khan, Zaira Wasim e Suhani Bhatnagar
Punto debole: la disonestà del finto messaggio femminista

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Aamir Khan - Mahavir Singh Phogat
* Zaira Wasim - Geeta 
* Suhani Bhatnagar - Babita
* Fatima Sana Shaikh - Geeta adulta
* Sanya Malhotra - Babita adulta
* Ritwik Sahore - Omkar, cugino di Geeta e Babita
* Aparshakti Khurana - Omkar adulto

Regia: Nitesh Tiwari
Colonna sonora: Pritam
Traduzione del titolo: "Dangal is a Hindi word used for wrestling competition. The word is as such used for wrestling and the entire setup where the wrestling happens, too, but it most commonly refers to a competition, where you often wrestle numerous people to win a pre-declared prize". BollyMeaning
Anno: 2016
Awards: fra gli altri, il National Film Award per la migliore attrice non protagonista a Zaira Wasim (meritatissimo!).

CURIOSITA'

* Mahavir Singh Phogat ha allenato quattro figlie e due nipoti (figlie del fratello di Mahavir, morto assassinato). Sono tutte diventate campionesse di wrestling a livello nazionale e/o internazionale. 
* Aamir Khan ha dovuto guadagnare 30 chili di peso per il ruolo.
* Aggiornamento del 17 febbraio 2024: Suhani Bhatnagar purtroppo è deceduta oggi a soli 19 anni a seguito di una malattia.
* Riferimenti a Bollywood: Sholay, Dilwale Dulhania Le Jayenge.

GOSSIP & VELENI

* Il Natale è tradizionalmente (fra le altre cose...) una data fortunata per i film di Aamir Khan.
* Dangal ha dato il via ad un feroce gossip riguardante la presunta relazione fra Aamir Khan e Fatima Sana Shaikh. I due hanno interpretato anche Thugs of Hindostan.

02 marzo 2019

DEAR ZINDAGI



Il cinema ama rappresentare i casi neurologici gravi. Il genere thriller ci spaventa e contemporaneamente ci conforta: la patologia dello psicopatico non ci tocca, noi non siamo serial killer. Più rare, più complesse da realizzare (e meno confortanti) sono le pellicole che indagano quei problemi mentali, diffusi e sfumati, che possono toccare anche noi.
Dear Zindagi appartiene a questa ristretta cerchia. Kaira, la sfortunata protagonista, soffre di una comorbilità di disturbi della personalità. La sfera affettiva è compromessa. Kaira è incapace di manifestare i suoi sentimenti. È seduttiva e promiscua. Teme l'abbandono e fugge. Inoltre non controlla la rabbia, e alterna in modo rapido euforia a leggeri stati depressivi. Salta da un progetto all'altro, si muove continuamente, si annoia facilmente. Si comporta da immatura. È inflessibile. Esige il controllo sulle cose e sull'ambiente. Shopping compulsivo e dipendenza da smartphone/social completano il quadro. In larga parte inconsapevole del proprio stato, Kaira si rivolge ad un terapeuta solo per curare l'insonnia.

È incredibile come Gauri Shinde sia riuscita a creare un personaggio così dettagliato e preciso, e a rappresentarlo in modo così efficace nel limitato arco di tempo di un film. La sua sceneggiatura è delicatissima e minuziosa. 
Alia Bhatt è magnifica. Magnifica. Interpreta con abbandono e generosità infinita un personaggio sgradevole, scomodo, complicato. Alia è sostenuta da una regia attenta, ed è affiancata da un team di attori molto diligenti. Shah Rukh Khan è sobrio e insostenibilmente affascinante. Accetta di buon grado di restare defilato e cedere il passo ad Alia, ma è comunque impossibile ignorarlo: sai che c'è, che è lì da qualche parte sul set, e l'occhio lo cerca di continuo.

Dear Zindagi non è banale, è verboso (è la natura dell'argomento a richiederlo) ma non cade mai nella dissertazione clinica, e Kaira non è caricaturale. DZ è quel genere di pellicola che ti scuote e apprezzi più nei giorni successivi che non durante la visione, perchè il tono lieve e ingannevolmente rassicurante ne cela valore reale e sottigliezze.

TRAMA

Kaira vive a Mumbai e lavora nel cinema. Di botto perde appartamento, due fidanzati, e un ingaggio da urlo. Avvilita, torna dai genitori a Goa. Kaira avverte in modo confuso che qualcosa non va. Litiga con la famiglia. Non dorme. Ed ecco che entra in scena Jug.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* La sfuriata di Kaira a casa dei genitori
* Il racconto a Jug del suo trauma infantile (grandissima Alia)
* Il dolore del distacco da Jug, a terapia conclusa (forse il punto più alto del film)

RECENSIONI

Rediff: ****
"Any on-screen depiction of a patient-therapist dynamic is inevitably oversimplified, as basic psychology is made universal and palatable, and issues are sorted with simplistic ease. What separates the good portrayals from the weak are, I believe, a lack of obviousness, relative realism in the dialogue, some evident (and some hidden) insight, and, most importantly, the feeling that the character is actually learning something right in front of our eyes. (...) Shinde scores on these fronts, cannily focussing on a dyspeptic protagonist whose default setting is to be rubbed the wrong way. (...) This linen-clad therapist, a twinkly-eyed man who tinkers with bicycles and plays kabaddi with waves on the beach, is too good to be true, right from the get-go. He talks, she listens and we, leaning forward, eavesdrop. That is all this darling little film does, and all it needs to do. He is played, with a knowing smile and easy grace, by Shah Rukh Khan, and there is a dashing effortlessness to his charm. We have rarely seen Khan not angling for a girl, and he shines here as he exhorts his young charge toward revelation while backing away from conversational - and cinematic - spotlight. Modesty might not be a colour familiar to him, but Mr. Khan wears omniscience lightly and majestically. (...) The preternaturally talented Bhatt plays Kiara with defiant pluck, a shy girl overcorrecting for her insecurity, lashing out before she's lashed at. There are times the performance appears showy, but the actress brings such a raw, earnest vulnerability to her highly flawed character that she remains compelling throughout. (...) The supporting cast is uniformly solid. (...) The writing is what really shines, restrained and easy. (...) Shinde might be the most celebratory feminist among our mainstream filmmakers, her heroines far from being defined or restrained by men. Dear Zindagi is a lovely picture, made with finesse and heart, and one that not only takes some stigma off the idea of seeking therapy, but - in the most natural of ways - goes a long way in making a viewer think of the people who matter most. The single smartest trick in this film, however, may well be the primary casting decision. Because a good therapist is a superstar".
Raja Sen, 25.11.16

Mid-Day: ***
"Don't know whether the script's been through several redrafts, or there were too many second thoughts while shooting or editing this film. Throughout, it does seem like the filmmakers are holding back from saying something more. Or they just say it, and step back anyway, making it look ever so slightly clumsy, and patchy in parts then. (...) This film, at its core, is very much an 'indie', as it were - a very talkie/ conversational sort of feature, perhaps preachy, (...), but mostly quiet, even indoorsy. (...) It just appears as if the film's unable to find a point, place a nail there, and just hammer it in. Which was so not the case with Shinde's masterstroke, English Vinglish (2012). This film, instead, touches upon a whole bundle of stuff, often only saying or suggesting it, rather than even showing it".
Mayank Shekhar, 27.11.16

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: Alia Bhatt e Shah Rukh Khan, la sceneggiatura
Punto debole: la terapia (troppo semplicistica)

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Alia Bhatt - Kaira
* Shah Rukh Khan - Jug
* Ira Dubey - Fatima
* Yashaswini Dayama - Jackie
* Kunal Kapoor - Raghuvendra
* Ali Zafar - Rumi
* Rohit Saraf - Kiddo
* Angad Bedi - Sid
* Aditya Roy Kapur - cameo

Regia e sceneggiatura: Gauri Shinde
Colonna sonora: Amit Trivedi
Traduzione del titolo: zindagi significa vita
Anno: 2016

RASSEGNA STAMPA (aggiornata al 20 agosto 2022)

* Alia Bhatt: Last actor standing, Raja Sen, Mint, 20 agosto 2022: '“In Alia I saw the restlessness, the raw hunger, the impatience, the charm and the potential to portray Kaira,” Shinde says. “When she heard the script the character truly resonated with her, and I could believe that. Frankly, it’s also a lot of how I have been, impatient and restless, and one recognises those traits in another instantly. It was very important for me that Kaira was a young, ambitious professional. (...) Also, her uniqueness and self-challenging attitude to choose something that not many women had been doing so far. I hadn’t seen many female DoPs (directors of photography). I thought Alia’s delicate, small-built physical structure holding this big, fat camera is even more striking.” Bhatt spent time with DoP Laxman Utekar to understand the camera and acquaint herself with its operations, “to not simply look authentic but for it to become a part of her. (...) It is probably a god-given - or genetics-given - gift, (...) but she is not just sitting on it. She seems to be taking this gift and deepening it, growing it and honing it constantly. Those delicate shoulders have certainly been ready to take on more”.'

CURIOSITA'

* Riferimenti a Bollywood: Sholay, Salman Khan, English Vinglish.
* Riferimenti all'Italia: pasta al ragù; Rumi pronuncia in italiano la frase Vorresti fuggire con me; Jug cita l'opera italiana.

GOSSIP & VELENI

* Ali Zafar nel 2018 è stato accusato di abusi a sfondo sessuale.

22 settembre 2016

SARBJIT



Dimentichiamo per un attimo la vicenda di cronaca e gli eventi. Lasciamo sospeso il difficile convivere di due nazioni vicine divise da una palese inimicizia e un muro di filo spinato. Sarbjit è un titolo ma soprattutto un nome,  parola che velocemente riporta alla mente una storia drammatica e ancora non del tutto chiara. Un film che racconta di un uomo e di una condanna, del dolore dei suoi familiari, delle lacrime che non conoscono né lingue né frontiere, della disperata ricerca di risposte. Pur collegandosi ad un'identità specifica potrebbe parlare della vita e la fine di qualcun altro, del tormento di chi resta a casa ad aspettare un ritorno che non avverrà mai, del silenzio di chi è stato abbandonato in situazioni disumane in altri momenti della storia e in altri angoli del pianeta. La sofferenza è una maledizione che si ripete ogni giorno.


TRAMA 
Sarbjit (Randeep Hooda) vive con la sua famiglia in un villaggio del Punjab al confine con il Pakistan. Dopo aver bevuto un po' troppo attraversa la frontiera senza rendersene conto e viene identificato come una spia e il responsabile di due attacchi terroristici. La sorella Dalbir (Aishwarya Rai) inizierà a combattere per la liberazione raccogliendo prove della sua vera identità.


Omung Kumar, autore di Mary Kom, si cimenta nuovamente in una biografia e tira fuori dagli archivi un caso scottante sul quale non si è fatto ancora luce. Il punto di vista scelto dal regista è quello della sorella di Sarbjit, Dalbir Kaur, che si è battuta fino all'ultimo per provare l'innocenza del fratello e lo scambio di identità che l'uomo avrebbe pagato con la vita. Dei maltrattamenti e delle torture in carcere parlava anche Visaranai, il film tamil di Vetrimaraan in concorso lo scorso anno al Festival di Venezia (e selezionato per gli Oscar 2016... all the best!). In quel caso erano le mura di una stazione di polizia del Tamil Nadu, ad assorbire le grida disperate di quattro innocenti presi dalla strada con lo scopo di chiudere in fretta un caso. In Sarbjit lo stesso topic diventa più difficile da elaborare perché si va a mettere sale su una ferita sempre aperta, le relazioni difficili tra India e Pakistan, e il quesito sull'innocenza di un uomo che (anche se che probabile) non è stata del tutto dimostrata. 

Dell'intero film difficilmente dimenticherò la lenta preparazione della scena in cui il protagonista incontra la famiglia dopo anni di reclusione. Il regista traccia lentamente un cerchio con le dita che si stringe sempre più fino a immobilizzare come l'abbraccio di un boa. Ci mostra cosa avviene in un ambiente e poi nell'altro, prima con delicatezza poi con vigore, un'estenuante rimbalzare di emozioni terribili. La tensione cresce attraverso piccoli gesti, dettagli e oggetti. La sequenza preparatoria è girata con maestria e nonostante i temi siano strazianti (inevitabilmente) il livello del film si eleva anche da un punto di vista stilistico. 

Proiettato per la prima volta al Festival di Cannes una volta uscito nelle sale in India ha ottenuto un riscontro tiepido ed è stato criticato principalmente per eccessi di melodramma. Dato il tema non è affatto semplice raccontare con fredda lucidità e rigore. Il regista pare in continuo dilemma e ad un certo punto inizia ad essere percepibile:  dire troppo o troppo poco? Calcare alcuni aspetti o altri? Come evitare di stereotipare i buoni e i cattivi? Lasciare o meno un dubbio su come si siano svolti gli eventi? Qualche passo meno traballante l'avrebbe reso un film migliore. 

Ma Sarbjit ha anche portato per la prima volta sullo schermo Aishwarya Rai e Randeep Hooda, lei la diva in fase di ritorno e di sperimentazione, lui l'inarrestabile scalatore del successo, l'attore che zitto zitto e piano piano sta diventando uno dei miracoli degli ultimi anni.  Due protagonisti e due interpretazioni: una buona e una stratosferica. 
Aishwarya Rai è una persona forte, si vede e si sente. Il personaggio di Dalbir non le appartiene ma la sua vitalità di donna, prima che di attrice, la spinge nel modo giusto e riesce a fare un lavoro più che degno. Unico appunto, l'eleganza di Aishwarya è difficile da sedare, una caratteristica ultraterrena che nemmeno il miglior regista può mettere in ombra, a poco servono i costumi, il make up e anche uno studiato linguaggio del corpo. E questa era la buona.
Ma passiamo alla stratosferica.  Randeep Hooda ha avuto un coraggio titanico a firmare questo film e portarlo avanti con estrema professionalità. Un tema spinoso, un ruolo difficile da interpretare che non si presta né ad incontrare la popolarità né i grandi numeri del botteghino. Contrasti, opinioni discordanti, dibattiti. Ma soprattutto una prova non facile da un punto di vista fisico e psicologico. E lui regge tutto sulle spalle come Atlante. Nel ritrarre con estrema dedizione un uomo che perde ogni giorno un pezzo di se stesso, e della sua dignità, ci mostra ciò che è in grado di fare. Praticamente tutto.

Non è facile guardare un film così. Perchè poi come è possibile "guardare" così tanto dolore e restare fermi, pensare ad altro o ricordarsi che in fondo è solo un prodotto cinematografico? Non si può fuggire dalla realtà. Ciò che Randeep Hooda ha magistralmente finto per il grande schermo è stata l'esperienza reale di qualcuno, che si chiami Sarbjit o con mille altri nomi, che sia colpevole, innocente, spia o preso per caso, è davvero troppo. La violenza fa male e porta altro male, sempre. Non è mai giustificata qualsiasi sia la radice, la causa e la mano che la infligge. 


 Il mio giudizio sul film ***  3/5
 (***** 5/5 a Randeep Hooda per la miglior performance della sua carriera)


 ANNO 2016

 REGISTA : Omung Kumar 

CAST: 
Randeep Hooda ........... Sarbjit 
Aishwarya Rai ........... Dalbir 
Richa Chadda .......... Sukhpreet
Darshan Kumar .......... Awais Sheikh

COLONNA SONORA : Jeet Ganguly / Amaal Mallik /Tanish Bagchi / Shail - Pritesh/ Shashi Shivam 

03 agosto 2016

BAAGHI



In genere mi piace parlare solo di film belli, quelli che mi hanno tenuta sveglia la notte, che mi hanno fatta sorridere o anche venire il mal di stomaco. Il mondo del cinema Indiano è stupendo ma ogni tanto capita di trovare in giro anche una sòla, tipo il paccone famiglia di yogurt avariato al supermercato. Quello che pensi sia un'ottima offerta ma ti accorgi che è scaduto da un mese dopo aver buttato via lo scontrino. A quel punto non resta che aprire il secchio e fargli fare un bel volo. Baaghi puzza meno di acido ma segue la stessa sorte. Una confezione ingannevole, un inutile spreco di tempo e denaro.


TRAMA
Lei (Shraddha Kapoor) è carina, ingenua e rapita dal villain di turno, il classico belloccio filo-malavitoso che ha tempo da perdere per inventarsi problemi dove non esistono. Poi arriva il macho che fa le capriole tra una zampata e un pugno (Tiger Shroff) e un padre della sposa sciocco e avido di denaro. Quante novità. Non manca nessuno, c'è lo scemo del villaggio per amico e risponde all'appello anche il bimbo malato in attesa dei soldi per curarsi. Ma soprattutto cattivi, cattivi e cattivi a rotta di collo. Quelli con la faccia taylor made da cattivo, quelli che li guardi in faccia, non hai alcun dubbio e pensi : Questo è proprio cattivo.


Baaghi è prevedibile ai limiti dello sconforto. E' un film che si sfoglia come l'album delle medie, vai avanti e non sai se ridere o piangere. Riguardo una foto in cui avevo quattordici anni e un bel po' di chili di troppo. Non è cambiato niente, penso, poi leggo la data di nascita sul documento e dico, eh no! Stessa cosa per questo film. Sarebbe andato benino come contemporaneo di Judwa  ma tra le uscite del 2016 magari era meglio evitare. Tutto fa acqua. Dove lo guardi è un colabrodo. Si propone come ipotetico remake di Varsham ma solo a sentir avvicinare questi due titoli mi si accapona la pelle. Il film telugu a cui dice di ispirarsi a suo tempo ha fatto la fortuna di Prabhas e di Trisha nel mondo delle cinematografie del Sud. Di anni ne sono passati ma resta un prodotto raffinato, anche se nostalgico. Mentre Baaghi è semplicemente sfigato.

Un capitolo a parte Tiger Shroff. Qualcuno salvi questo innocente dai film del cappero! Dategli uno straccio di script ma soprattutto toglietegli le molle ai piedi!!! Continuano a costruirgli personaggi poco interessanti, a tratti pure ridicoli e lui si fa in quattro ma è tutta fatica sprecata. In Baaghi non ha le scarpe, ha due ammortizzatori, è agile come un giunco ma quando è troppo è troppo, probabilmente l'hanno svezzato sul set de La Foresta dei Pugnali Volanti. Eppur Tiger è un ragazzo niente male, ha degli occhi dolci che tradiscono una sensibilità marcata, piuttosto che fare il supereroe (e il verso a Hrithik Roshan) a tutti i costi dovrebbe cercare un ruolo più serio e tranquillo, tirando fuori  la sua personalità. E magari pure quella dolcezza nello sguardo che nasconde a suon di bicipiti oliati.

Il lato positivo è che guardando Baaghi mi sono sfasciata dalle risate. Insomma capita di vedere un film brutto ma così brutto è raro. Un pizzico di lucidità ogni tanto può tornare a tutti, quì neanche l'ombra. Coerenti nel delirio e nella noia fino all'ultimo. I dialoghi, soprattutto quelli della prima mezzora, sembrano scritti durante un concerto di Umbria Jazz, alla decima birra seduti sulle scalette del duomo. All'inizio è irritante, alla fine quasi comico. Ma soprattutto avrò gli incubi sulle parrucche. Se per poco ero distratta dalla bellezza del paesaggio del Kerala sono dovuta tornare bruscamente alla realtà dopo la sfilata di improbabili acconciature sintetiche con le quali i costumisti hanno castigato i poveri attori in seconda. Magari gli sono cadute in testa per sbaglio. Il fantomatico killer cinese non sarebbe stato più minaccioso senza il caschetto pixie con ciuffo alla Maria de Filippi? E per il padre era proprio necessario un gatto morto (grigio) in testa? Anche le comparse di trenta anni fa si sarebbero rifiutate di farsi conciare in quel modo. Spero li abbiano pagati il doppio.

Il mio giudizio sul film : *

ANNO: 2016

TRADUZIONE DEL TITOLO : Ribelle


REGIA : Sabbir Khan

CAST :

Tiger Shroff........ Ronny
Shraddha Kapoor ................ Siya
Sunil Grover ............ il padre di Siya
Sudheer Babu ............. Raghav

COLONNA SONORA : Meet Bros, Amaal Mallik, Ankit Tiwari, Julius Packiam, Manj Musik




30 luglio 2016

FAN

 
diretto da Maneesh Sharma, con ShahRukh Khan.
Siamo a metà strada, qualche uscita importante è ancora attesa, ma viene voglia di sbilanciarsi e affermare che Fan è il miglior film dell'anno.
Non quello dalla sceneggiatura più inattaccabile, non quello che ha incassato di più e probabilmente nemmeno quello che sarà più premiato. Ma il più potente e il più sorprendente. Quello che non si fa dimenticare, quello che ci ha fatto pensare, ripensare e ricredere. Quello che ha portato qualcosa di nuovo.
Quello che stavolta non ce n'è per nessun altro.

LA TRAMA
Il giovane Gaurav è un fan della superstar Aryan Khanna da tutta la vita. Si pettina come il suo idolo, si veste come lui, si muove come lui, ne imita la voce e lo impersona nelle feste del quartiere di Delhi in cui è cresciuto e vive.
In occasione del compleanno di Aryan, Gaurav ha la possibilità di partire per Mumbai, il suo sogno è quello di incontrare la star e fargli gli auguri di persona.
I conti con la realtà però non saranno indolore, né privi di conseguenze per nessuno dei due protagonisti.

SECONDO ME ***** 5/5
Pare che Maneesh Sharma, regista di Band Baaja Baaraat e di Ladies Vs Ricky Bahl, nonché produttore di Dum Laga Ke Haisha, abbia cominciato a pensare a Fan un giorno che era in visita a Mannat, colpito dalla quantità di persone assiepate sotto casa di SRK, in attesa di scorgerne un frammento. Una moltitudine che sicuramente fa una certa impressione.
La passione degli indiani per il Cinema non è da sottovalutare e ancora meno lo è l'amore che dimostrano per i loro divi. Qualcosa che non ha paragoni al mondo e che si può accostare, giusto per rendere l'idea, al fanatismo suscitato dalle star musicali internazionali, neanche quelle di oggi, che nessuna reggerebbe il confronto, ma quelle di una volta, come Elvis o i Beatles. Per questo motivo lo script di Fan che affronta il tema del rapporto star-fan è un'intuizione piuttosto brillante, un'idea semplice come un uovo di Colombo, ma anche di grande attualità. E' un argomento che interessa tutti (chi non ha provato almeno una volta una passione vera, profonda, carnale per un cantante o un attore?) e che apre a diverse riflessioni.
Fan è un film complesso e cupo perché Maneesh Sharma è rimasto fedele alle sue intenzioni di riflettere su un fenomeno, di mostrare qualcosa, di svelare una verità. Ed è un film che colpisce emotivamente, che coinvolge, che, come fosse uno specchio, rimanda allo spettatore il riflesso di se stesso. Perché Gaurav Chandna è un folle, ma prima di oltrepassare quel confine, prima di scivolare al di là, lui era uno di noi.
Il confine, il limite, si trova ben prima di arrivare all'aggressione fisica. Forse già nell'illusione di avere una connessione con il proprio idolo. Oppure nella pretesa che egli aderisca all'immagine che abbiamo di lui.
La fama la si deve davvero all'amore dei propri ammiratori o è il frutto del talento, del lavoro di qualcuno messo in luce dall'occasione giusta e da un po' di fortuna, in modo che il mondo possa accorgersi di lui?
Tutti sono in grado di immaginare che cosa significhi essere un fan. Il film si concentra su Gaurav, sui suoi stati d'animo, è facile, fino ad un certo punto, provare empatia per lui.
Più difficile è capire che cosa ci sia dietro ad Aryan Khanna. Non sono in molti a sapere che cosa significhi essere una star venerata universalmente.
E chi è il divo fra i divi? Maneesh stesso ha dichiarato che la storia di Fan è nata pensando a SRK e che non sarebbe stata realizzata se non con lui.
Per costruire Aryan sono state usate immagini storiche della carriera di SRK. Il fatto che non sia stato ideato un personaggio del tutto nuovo offre un ulteriore piano di profondità. Aryan sembra vero. Di più: sembra SRK.
L'attore ha dichiarato: "He’s more real, more grounded, more practical, less mad and probably less compassionate in his dealings than me. He’s scarily real, and I’m not like that at all" (Open *) e che si tratta di un protagonista totalmente inventato, ma di fatto la vita e la carriera di SRK sono parte del film.
In una sequenza che sicuramente entrerà a far parte della storia del Cinema, SRK interpreta Gaurav  che imita Aryan mentre sullo sfondo scorrono le immagini tratte dai film e dalle performance live di SRK stesso. Impossibile non pensare allo stato di super star dell'attore e non interrogarsi sul suo personale rapporto con la fama, i suoi fan e la sua immagine pubblica.
Che impressione abbiano questi semidei delle persone che li seguono con tanta dedizione e fervore, forse ce lo indica il fotogramma del viso trasfigurato di Gaurav  che urla  sotto casa di Aryan. Di certo è una scena inquietante quanto emblematico ed indimenticabile.
In un bell'articolo di Paromita Vohra pubblicato su The Indian Express, nel contesto di un discorso più ampio in cui è analizzato il ruolo di SRK nella società indiana, l'autrice scrive di "uccisione del vecchio fan": " The star advises the fan to live a full life of love, work, family and community. By symbolically killing the old fan, is SRK killing an old self? Is he hoping for a new gaze that he can meet, so he may renew himself?" (*), come a voler confermare la tesi della corrispondenza tra personaggio e persona.
E mentre da una parte Fan toglie ogni illusione che ci si possa mai avvicinare veramente a qualcuno che si conosce solo attraverso uno schermo, dall'altra suggerisce che ci stia raccontando qualcosa di SRK, che il protagonista vero sia lui e non Khanna. Ma è un inganno.
Prima della diffusione del trailer, si immaginava che Fan fosse una commedia d'intrattenimento, qualcosa di spiritoso che avrebbe mostrato le simpatiche stravaganze di un fan appassionato. Nonostante Maneesh Sharma, secondo me intelligentemente e coerentemente rispetto al pubblico a cui si rivolge, abbia inserito diverse scene, in particolare d'azione, che riportano l'intera pellicola alla dimensione di entertainment movie, questa è tutt'altro che una commedia. Nessuno si aspettava un tale livello di serietà e di dramma.
E nessuno si aspettava questo ShahRukh Khan.
La sua infatti è un'interpretazione pazzesca. Al di là della trasformazione fisica.
Pur non essendo la prima volta che l'attore stupisce  con le sue capacità, sembra proprio che i doppi ruoli lo stimolino (come in Duplicate, come in Don, come in Rab Ne Bana Di Jodi), è riuscito una volta di più a spostare l'asticella. E chi si era dimenticato di lui, chi ha pensato che non sapesse più recitare, che non fosse più quello di una volta, ha avuto una risposta forte e chiara. Più forte e più chiara di quanto fosse possibile indovinare.
Il trailer di Fan è uscito il 29 febbraio scorso suscitando un certo clamore. Molti colleghi di SRK e tutta la film fraternity hanno voluto complimentarsi e commentare. Anurag Kashyap, centrando meravigliosamente il punto, ha tweettato: "next year awards Best Actor, Actor in a negative role, debutant, booked #srk #fan..(*)
Raja Sen, critico senza cuore (scherziamo Sen, ti vogliamo bene, soprattutto perché Fan ti è piaciuto!), ha scritto: "Shah Rukh Khan is jawdroppingly good in Fan, both as the 25-year-old young admirer and as the jaded but determined ageing movie star. It is an immensely brave performance demanding stunning commitment, and he shines."(*).
E SRK risplende davvero.
Fan è l'evento dell'anno. E' un film che non si può evitare, che discuterete da mille prospettive, perché ha mille angolazioni.
Guardatelo, vi lascerà sconvolti, vi lascerà tristi, vi toglierà qualcosa. Poi però vi sentirete grati.

Il brutto:
- L'incontro-scontro tra Gaurav e Sid è il passaggio più debole del film.
- Fan non ha fatto un grande incasso, non è entrato nel famoso 100 crore club. Molti hanno analizzato e fornito diverse plausibili cause, come la mancanza di una protagonista femminile o di numeri musicali. Una, la più interessante è stata suggerita dallo stesso SRK, secondo il quale la motivazione di Gaurav, quella di ricevere le scuse da parte di Aryan, fosse un po' debole: "We reduced the guy's (Gaurav Chandna) passion for his icon (Aryan Khanna) by asking for a very small thing in return for the destruction of his life. He asked him for a 'sorry'; he should have asked him for his life. He should have said, "You killed the fan in me, I want to kill the star in you." 'Sorry' wasn't strong enough a plot point to base the whole film on as Gaurav's character was destroyed. Or maybe the film just wasn't good enough. It became purposeless. And it got rejected."(The Huffington Post) (*)
Io aggiungerei che Fan, per certi versi, è una visione disturbante, è un film che assesta qualche pugno. Non tutti la prendono bene.

Il bello
- La canzone e il video Jabra, che non compare nel film. Cantata tra l'altro in 11 lingue, dall'arabo al telegu. Ecco la mashup version.
- SRK che corre e si arrampica  per le strade di Dubrovnik in smoking: SI SI SI (quando lo chiameranno per fare 007???)
- La lotta tra Gaurav e Aryan, in cui Gaurav finisce con il viso schiacciato contro il finestrino di una macchina (perché mio marito ne è rimasto entusiasta).
- Shahrukh Khan, Shahrukh Khan, Shahrukh Khan.
Per come ha sopportato il disagio di recitare sotto le inevitabili e fastidiose applicazioni, per come è riuscito nonostante quelle ad essere espressivo.
Per uno dei suoi ruoli migliori di sempre. Per questo film che per magia è come se fosse il primo. E invece arriva dopo tanti che sarebbero già più che abbastanza.
Per come è stato capace di essere qualcosa che conosciamo e qualcosa di nuovo, una conferma ed una sorpresa. Ancora.

CURIOSITA'
- Fan è il primo film con SRK senza canzoni.
- Alcune sequenze inserite nel film durante la scena in cui Gaurav vede Aryan per la prima volta, sono state realmente girate sotto la casa di SRK, il giorno del suo compleanno.
Gli interni della casa di Aryan invece sono un set e non sono stati filmati all'interno di Mannat.
- Per diventare Gaurav, SRK si è sottoposto ad estenuanti sessioni di prove che si sono protratte per mesi. Durante le riprese il look definitivo, combinazione di make up e applicazione prostetiche, oltre che di un lavoro di vfx in post produzione, ha richiesto delle sedute di 4, 5 ore al giorno.
Per cambiare un volto amato da venticinque anni, perché fosse lo stesso ma di un altro, è stato chiamato il plurivincitore di Oscar Awards Greg Cannon. The making of Gaurav.
- Nel dvd/bluray di Fan c'è uno speciale dedicato al fenomeno dei fan, intitolato Tu Nahin Samjhega (tu non puoi capire), frase cult di Kuch Kuch Hota Hai, pronunciata anche da Gaurav.
- Le prime parole sussurrate da Gaurav imitando Aryan sono: dil se, altro film con SRK.

(*) Grazie a CinemaHindi per tutte le segnalazioni e gli aggiornamenti


26 luglio 2016

kabali



primo. la supersuperstar rajinikanth non si discute. è una fede. un assioma vivente. nella topten divina lui è oltre - verso l’alto. è il supersuperdio che il dio (a voi la scelta) al numero uno se guarda in su può vedergli al massimo le mutande. in un giorno sereno.

secondo. la filmografia della supersuperstar rajinikanth segue - impone - un’estetica sua propria. con leggi proprie. mica una cosetta improvvisata al momento in cucina. un’estetica consolidata nel tempo. sacra e incontestabile.

terzo. i devoti della supersuperstar rajinikanth sono infiniti. e infinita è la venerazione. se non sei devoto non puoi capire quindi superfluo che stia qui a spiegarti. amen.

ciò premesso kabali risulta un tantino complicato da recensire. pellicola di intrattenimento con velleità sociali. piacevole ma non indimenticabile.

applauso:
all’aura supersuperdivina di rajini. al look naturale privo del solito candeggio. al personaggio che condivide l’età anagrafica con l’attore. ad alcuni lampi di buona recitazione. a radhika apte – anche se sprecata. ad alcuni comprimari. al finale inaspettato. alla colonna sonora. ai sottotitoli pure per le risate e i sospiri (uno su tutti: *nostalgic sigh*).

però:
la sceneggiatura è piatta ripetitiva e allentata. colpi di scena posticci. antagonista di cartone. troppi spazi morti. si potevano approfondire temi appena accennati (sfruttamento dei lavoratori tamil in malesia. identità e orgoglio culturali. divisioni castali. disagio minorile. emancipazione femminile) e rendere la narrazione più articolata. capitemi: non snaturare l’intrattenimento. arricchirlo. non mancano spunti umoristici nè emozioni. perchè non moltiplicarli in 150 – centocinquanta – minuti di film?
c’era un direttore artistico nel cast tecnico? davvero?
sangue a fiumi. vi avviso.


comunque:
quarto. la proiezione di un film con la supersuperstar rajinikanth è un evento di proporzioni epiche. ossia: gli sfigati vanno semplicemente al cinema (capirai). i devoti celebrano. persino nell’anestetizzata milano. al beltrade (santi tutti. vi amo) come a chennai. eccheccazzo. nel buio della sala  esplode un boato – maschile - quando sullo schermo appare a caratteri cubitali la prima S. applausi e cori da stadio a scandire lettera per lettera:

S U P E R S T A R


un’esperienza che consiglio.

eLLeSSeDì

15 luglio 2016

SULTAN

diretto da Ali Abbas Zafar, con Salman Khan, Anushka Sharma, Kumud Mishra, Anant Sharma, Amit Sadh e Randeep Hooda (cameo).

Settimana scorsa è successa una cosa eccezionale: uno dei film programmati per Eid, occasione in cui tradizionalmente escono le pellicole più attese dell'anno, i blockbuster annunciati, quelli che tutti fremono per vedere e che faranno il botto, è stato distribuito, non solo in tutto il mondo, come sempre, ma anche in Italia.
Questa incredibile novità, che al pensiero ancora i battiti del cuore accelerano, la si deve a due giovani indiani, Jogi e Uday, che studiano a Milano e che, con un non comune spirito d'iniziativa, tanta passione e forse un po' d'incoscienza, hanno compiuto l'impresa.
Dopo aver fondato l'associazione Italy Indian Cinemas - IIC, venerdì 8 luglio hanno riempito il Cinema Beltrade di Milano con un sold out che riecheggia piccolo ma gigantesco quelli che certamente si sono registrati nelle sale di tutta l'India.
Jogi e Uday non si fermano (perché dovrebbero? Sono riusciti dove nessun grande distributore ha osato), Sultan è in replica il 16 e il 17 luglio, sempre al Beltrade di Milano. E la settimana successiva  è atteso in cartellone niente meno che Kabali con la super star tamil Rajinikanth.
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE.

LA TRAMA
Aakash Oberoi è il fondatore di un campionato di MMA (arti marziali miste) di scarso successo. Per evitare il fallimento, Aakash, consigliato dal padre, è alla ricerca di un campione che porti lustro all'imminente prossima edizione del torneo e ne salvi le sorti. Il prescelto è Sultan Ali Khan, imbattuto campione di wrestling ritiratosi dallo sport, che però rifiuta decisamente la proposta di Aakash.
Qual è la storia di Sultan? Che cosa lo ha allontanato dai combattimenti quando era all'apice del successo?

SECONDO ME **** 4/5
Il film si apre con la folla che inneggia: Sultan, Sultan, Sultan, ma potrebbero benissimo scandire Salman, Salman, Salman.
Gridano Sultan e nella mia testa risuona Salman.
Lui arriva, prima inquadrato di spalle, poi mentre afferra una manciata di terra, "the son of soil" recita la title song, infine nell'arena con indosso i suoi muscoli e degli slip neri. Ed è credibile, e regge la scena, e strappa gli applausi nel film e fuori.
Sono i suoi quasi trentanni di carriera, il suo status di superstar ma soprattutto il suo carisma innato che gli permettono una così gloriosa entrata in scena. Il migliore degli inizi.
Rohit Vats per Hindustan Times ha scritto: "Zafar further breaks the film into three distinct acts, and the actor excels in each of them. From playing a done-and-dust homegrown wrestler to a wonder-boy of freestyle fighting, you see Salman put up a performance like never before". La recensione completa.
Salman Khan e la sua interpretazione sono il cuore del film ma negli ultimi anni il divo non solo è diventato il re del botteghino ma è capace di mettere le mani su copioni piuttosto validi, di intrattenimento ma tutt'altro che sciocchi o banali.
Sultan è esattamente questo, un film d'intrattenimento con un buon script che contiene elementi di prevedibilità ma non meno godibile (ammesso che l'imprevedibilità nel cinema sia un valore, a questo proposito si sono visti anche di recente sforzi per stupire che dimostrerebbero il contrario).
La costruzione della trama è buona, la narrazione scorrevole,  la storia d'amore tra i due protagonisti è risolta con leggerezza e humor senza imbarazzanti scene che costringano un attore cinquantenne che corteggia una trentenne a prendersi troppo sul serio.
Anushka Sharma, con un bel personaggio tra le mani, aggiunge intensità  e spessore. I comprimari sono tutti bravi, in particolare si distinguono Kumud Mishra e Anant Sharma per naturalezza ed ironia.
I dialoghi, scritti da Ali Abbas Zafar, che dirige e che è anche autore della storia, sono vivaci, efficaci, a volte persino significativi e d'impatto.
Le musiche di Vishal–Shekhar sono indispensabili, belle, trascinanti ed emozionanti.
La prima parte del film, la più leggera, è molto divertente, spiritosa. Quando si passa al dramma la cosa diventa ancora più interessante, Salman mostra nella sua interpretazione qualcosa di nuovo.
Qualcuno ha pensato a Rocky, a me è venuto in mente The Wrestler, film del 2008 con Mickey Rourke, ma al di là dei paragoni, Sultan ha la dignità di un film a sé, il ritratto di un uomo solo, sconfitto dalla vita che lotta contro se stesso  in cerca di una qualche redenzione, non lascia davvero indifferenti.

Sultan è proprio il film che si spera di trovare per le feste come Eid o Diwali, gustoso, soddisfacente, grasso nei contenuti e nella durata, ricco di scene comiche, di canzoni, ma anche con qualche spunto più serio.
Zafar va incontro alle aspettative del pubblico come ormai pochi sanno fare, cioè con gusto ed intelligenza. Salman, che si offre sempre generosamente, motiva una volta di più il suo incredibile successo.
Un ottimo lavoro, una pellicola che infiammerà i botteghini e che abbiamo già voglia di rivedere.

Il brutto:
- Se proprio vogliamo trovare qualcosa, la questione dell'autonomia delle donne affrontata parzialmente attraverso il personaggio interpretato da Anushka è appunto solo accennata. Forse avrebbe meritato un maggior approfondimento.

Il bello:
- Il cameo di Randeep Hooda, perché è vero che quest'anno lo mettono dappertutto anche quando non c'entra e qui c'entra meno che altrove. Ma sul serio vogliamo pensare che Randeep infilato in un'usurata felpa con cappuccio sia fuori posto?
- La corsa parkour style dietro agli aquiloni.
- Tutte le scene di lotta (impresa impossibile rendere appassionante uno sport come il wrestling? Pare di no).
- Il crollo del nostro eroe davanti allo specchio.
- Lo sponsor di Sultan per il torneo di MMA.
- La scena finale del film, sui titoli di coda.

CURIOSITA'
- Sultan è stato proiettato anche a Bergamo e a Roma.
Oltre che a Milano, è ancora in programmazione nella Capitale il 17 luglio (info).
- Un articolo della Repubblica in cui si parla di Jogi e Uday.
- Salman Khan canta Jag Ghoomeya, una delle canzoni della colonna sonora. L'articolo di India Today.
- Sultan è il decimo film consecutivo con Salman Khan ad entrare nel 100 crore club.
- Questa è la prima volta in cui Salman e Anushka lavorano insieme.
- Le coreografie sono niente meno che di  Farah Khan e Vaibhavi Merchant.

Il trailer di Sultan

10 luglio 2016

VISARANAI



Ancora frastornata, con un nodo in gola nonostante siano passate anche più di 24 ore apro una nuova pagina e inizio a parlare di Visaranai, nuovo lavoro di un regista che stimo moltissimo, Vetrimaraan, per non parlare del produttore, il magico Dhanush. Un binomio perfetto che ha intuito già con  Aadukalam e Kaaka Muttai quali siano le coordinate per far breccia nel cuore degli spettatori. Ma anche sventrarli volendo, dilaniandone l’anima e lo stomaco, facendo risuonare la propria voce ben oltre il tempo della proiezione.  Non posso dire che Visaranai sia il film tamil che mi è piaciuto di più negli ultimi tempi ma di certo è andato a intaccare la mia tranquillità, mi ha dato una scossa, mi ha lasciata assetata, inquieta, nervosa. A volte è sufficiente solo una scena, uno sguardo e l’ago della bilancia si inclina di colpo in una direzione, quella giusta.

TRAMA
Tre ragazzi di umili origini, emigrati dal Tamil Nadu in Andhra Pradesh per svolgere lavori di manovali e commessi, vengono arrestati improvvisamente e sottoposti a pesanti interrogatori – tortura. I poliziotti che hanno in carica la risoluzione del caso sono più interessati a concludere la faccenda facendo arrestare tre persone prese dalla strada piuttosto che indagare e raggiungere i reali colpevoli.

La prima parte del film, dalla cattura al rilascio dei tre protagonisti, è ispirata ad una vicenda reale, un conducente di rickshaw e altri due uomini sono stati prelevati di notte dalla polizia e torturati per tredici giorni solo per confessare crimini che non avevano mai commesso. L’autista, una volta uscito dall’incubo ha raccontato la sua vicenda in un libro, Lock Up, divenuto lo spunto di partenza per la sceneggiatura di Visaranai. Nella seconda parte ritroviamo sempre i tre personaggi ma in una storia diversa, altrettanto drammatica, che fortunatamente pero' non è frutto di un’esperienza vissuta. Visaranai è noto anche in Italia già dal 2015 quando venne proiettato in prima assoluta al Festival di Venezia, in concorso nella sezione Orizzonti (la prima volta per un film tamil) e premiato da Amnesty International.

L’indolenza, la corruzione, l’impassibilità del gruppo di poliziotti crudeli e svogliati è impressionante, i dialoghi sono crudi, le immagini ancora di più. Nella violenza, nell’ingiustizia, nella disperazione, si mantiene viva la tenacia di chi è disposto a tutto pur di non perdere la dignita’.  La fierezza e il coraggio di chi e' certo di essere nel giusto infiammano lo sguardo del protagonista, Pandi, solidale con i suoi compagni di sventura, quasi impassibile al dolore fisico in un istante che buca lo schermo e fa scattare il salvavita dell’impianto elettrico. Non voglio spoilerare la scena, ma tanto di cappello alla scelta di Vetrimaaran e all’interpretazione di  Dinesh Ravi, naturale, diretta. I suoi occhi sono bellissimi, e parlano.

Visaranai più che un film pare un documentario, una disavventura sanguinosa che mette in mostra il marcio della società e sembra ripresa da telecamere nascoste.  L’innocenza diviene un bagaglio scomodo da portarsi dietro quando si mette piede in una grande città e si è solo parte degli “ultimi”. Vulnerabili e vacillanti rispetto chi sa guardarsi le spalle e conosce bene il luogo facendone già parte. I crimini compiuti nella piccola caserma non sono solo i racconti delle ingiustizie subite da M.Chandrakumar, il rickshaw driver di Coimbatore, e nemmeno le vicende di Pandi, Murugan e Afazal, i tre protagonisti del film, se Visaranai ferisce è perché a suo modo da voce alle urla inascoltate, alle lacrime versate in silenzio da tanti volti che agli occhi del mondo non avranno mai nome.

Il film parla chiaro e presenta un esempio semplice. Il potere spesso puzza di marcio e a volte non ci si può fare proprio niente.  La verità non vince, la lealtà non porta lontano, neanche l’amicizia e la compassione possono avere la meglio su situazioni scritte dall’alto, pronte ad essere strumentalizzate, eseguite o insabbiate. Può l’uomo essere abbandonato nel dolore? Manovrato come una pedina in una scacchiera? La necessità di essere tutti uguali e di dover godere degli stessi diritti è solo un’utopia? Solo belle parole? Per lanciare un fiammifero acceso bastano due dita e il regista lo sa bene. Grazie ancora una volta al Cinema Tamil.


Il mio giudizio sul film : **** 4/5

ANNO : 2016

LINGUA : Tamil

TRADUZIONE DEL TITOLO : Interrogatorio

REGIA : Vetrimaaran

CAST :
Dinesh Ravi ……… Pandi
Aadukalam Murugadoss ……… Murugan
Silambarasan Ratnasamy ………… Afzal
Anandhi ………….. Shanti
Samuthirakani ………. Muthuvel
Kishore …….. KK

COLONNA SONORA : G.V. Prakash Kumar


Vedi anche :
Mostra del Cinema di Venezia 2015 (dalla sezione News & Gossip)