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15 febbraio 2023

JHUND


Ci voleva Nagraj Popatrao Manjule, in prestito dall'industria marathi, per scuotere la produzione popolare hindi e ricordare al suo pubblico che sì, anche i marginalizzati dalit possono essere gli eroi di un film non d'autore. E ci voleva Amitabh Bachchan, lassù, dalle vette irraggiungibili della sua leggendaria carriera, in un corposo ruolo di supporto, per amplificare il messaggio infischiandosene dello sdegno di coloro che tollerano le discriminazioni castali.
Jhund non è impeccabile, ma il suo significato, soprattutto nel contesto attuale, va oltre i meriti artistici. È una pellicola in larga parte emozionante, ricca di metafore (volontarie e non) e di sfumature - mai imposte, mai urlate -, diretta da un regista proveniente da una comunità tribale, e interpretata da uno stuolo di giovani attori non professionisti che vivono nello slum nel quale è stata girata.

Da dove comincio?  
Forse dal fatto che c'è qualcosa di ipnotico e di galvanizzante nell'ammirare su grande schermo ragazzi scalzi che, con palloni di fortuna, si abbandonano completamente al gioco del calcio. Qualcosa che riconcilia. Una gioia infettiva.
Difetti e pregi si susseguono in tumultuosa alternanza. Concessioni ad un'estetica più formulaica, qualche forzatura, qualche imperfezione, e sequenze di pura poesia, dettagli che stringono il cuore.
Il soggetto, già articolato di suo, genera una sceneggiatura che spazia dal cinema di intrattenimento a quello impegnato, una sceneggiatura senza freni, forte di una storia che ha tantissimo da raccontare, con numerosi eventi secondari accompagnati alla porta che rientrano incuranti dalla finestra. La sceneggiatura sembra uno sfogo, espressione di una grafomania che non è patologia piuttosto impeto geniale. È il voler comunicare tutto approfittando dell'occasione - che potrebbe essere unica. Sceneggiatura non inappuntabile però interessante, che regala un primo tempo estremamente coinvolgente, nel solco del miglior genere sportivo, e un secondo tempo, serio e minimalista, che comincia dove gli altri film sportivi si concludono, che non si accontenta dell'esaltazione di un risultato impossibile raggiunto ma lascia il campo da gioco e torna alla vita quotidiana, per lanciare altre sfide e segnare nuove e più importanti vittorie. 
La regia, altrettanto scaltra, circuisce il pubblico, lo lusinga offrendogli intrattenimento puro, costruito con mestiere, con il bonus di qualche inserto meno leggero. Lo spettatore si innamora dei personaggi, ormai è bendisposto nei loro confronti, segue anche le vicende riflessive, non respinge la denuncia, ed ecco come Manjule, in sordina, infila il pallone in porta. 
La narrazione è in continuo movimento: entra ed esce dallo slum, dal campo di calcio, dall'interiorità dei protagonisti. Il ritmo è impresso da un montaggio di altissima qualità (confido in un National Award, accontentatemi) e da una colonna sonora - canzoni e commento - che intuisce e rispecchia in ogni singola nota lo stato d'animo e i pensieri dei personaggi.

Il cast è affollato, con un nugolo di ruoli microscopici ad arricchire la trama. Don, il protagonista, è un giovane dalit per nulla angelico, che non chiede empatia o comprensione, che si mostra per ciò che è, però è abbastanza furbo da saper riconoscere e da non lasciarsi sfuggire un'opportunità. Il suo processo di formazione è esemplare, una formazione che gli porta in dote un'identità, una prospettiva, e che gli salva la vita. Ankush Gedam sfodera una sicurezza e una presenza scenica, una mescolanza di verità, forza e fragilità che cattura. Anche i suoi compagni, in un tripudio di capigliature dai colori vivaci - simbolo di autoaffermazione: guardatemi, esisto -, lottano per conquistare una visibilità da sempre negata e il diritto di avere delle possibilità. Don e la sua gang vengono rappresentati con gli stessi stratagemmi estetici degli eroi hindi tradizionali. I giovani attori, quasi tutti non professionisti ed esordienti, sono stupendissimi - e il piccolo Kartik Uikey è il più stupendissimo del lotto. Vijay, personaggio interpretato da Amitabh Bachchan, rimane giustamente defilato: per una volta il salvatore di casta alta non è il protagonista. Big B regala con stoica volontà una performance misurata, anche se, essendo DIO, risulta sempre difficile imbrigliarne il carisma.

Jhund è un dito medio contro le discriminazioni e i pregiudizi. Intenerisce, diverte, entusiasma. In India lo sport nazionale è il cricket, ma Jhund è forse ad oggi la miglior pellicola indiana sul calcio. Racconta la storia non di un uomo bensì di un progetto e delle persone a cui è destinato. La biografia di Vijay Barse, così come l'argomento sportivo, costituiscono solo un pretesto, e la presenza di Amitabh Bachchan un detonatore. Inoltre con Jhund l'industria cinematografica popolare hindi aderisce ad una forma di resistenza, sgretolando audacemente gli stilemi imposti dall'ideologia dominante. 
Jhund è il nuovo che irrompe: Don si scontra con Vijay in una delle sequenze iniziali, e il testimone passa dall'angry young man degli anni settanta al dalit incazzato nero (e ne ha tutte le ragioni) di oggi.
Diciamolo pure: Manjule ha compiuto un vero miracolo.

TRAMA

I ragazzi dello slum di Gaddi Godam, a Nagpur, vivono di espedienti e furti, sniffano ciò che trovano, si azzuffano, non hanno sogni né prospettive. Gaddi Godam confina con un istituto scolastico privato. Un giorno Vijay, insegnante di educazione fisica prossimo alla pensione, assiste ad una partita di calcio improvvisata nello slum, e rimane colpito dall'assoluto abbandono con cui i ragazzi giocano. Decide così di allenarli gratuitamente.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* Le travolgenti sequenze che accompagnano i titoli d'apertura (e il commento musicale).
* La partita di calcio fra i ragazzi dello slum (urla di approvazione per gli outfit) e gli studenti. Venti minuti di euforia pura. 
* I ragazzi si raccontano a Vijay, senza filtri, con inquietante, cupa atonalità. La sensazione è che le loro storie siano reali, non frutto di un copione.
* La sequenza dell'Ambedkar Jayanti, perché forse unica nel panorama hindi. Con Big B che omaggia rispettosamente la gigantografia di Bhimrao Ramji Ambedkar. Segnatevelo.

LA BATTUTA MIGLIORE

* Il piccolo Kartik chiede: Cosa significa Bharat [India]? La risposta: Bharat è il nostro Gaddi Godam. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

RECENSIONI

Mid-Day: ***
'Totally love the title, Jhund. It literally means a pack, in reference to animals, usually. They’re anonymous (to humans), by nature. By which one implies here: a large group of equally replaceable, generic, invisible, voiceless men and women. That is precisely what the poor in India (or Third World in general), look like, when observed from a distance. In fact that’s probably the point of this picture itself - to put a face to the faceless. (...) Writer-director Nagraj Manjule zooms in, allowing the camera to linger on some faces, for just a little bit longer - just so they register among audiences. (...) Bachchan, who’s dominated India’s popular culture as himself for so long, manages to so convincingly hide behind a character still - among this jhund that look like Nagpur’s TikTok stars to me - is a huge feat for the almost-octogenarian superstar. He rarely takes the spotlight. (...) What you observe throughout are strong yet subtle statements on caste and religion, identity and politics, anonymity and hierarchies. Few contemporary, entertaining filmmakers so accurately survey India’s under-classes as Manjule. (...) This film feels like a lived experience'.  
Mayank Shekhar, 04.03.22

Mint:
'Jhund (...) is a terrifically proficient film - with the most dazzling editing I’ve seen in recent Hindi cinema - but I love it because of the way it made me feel. (...) Manjule deftly plays with our preconceived notions, steering the ball away from easy judgement. (...) The film looks electrifying. Cinematographer Sudhakar Yakkanti Reddy shoots the film with verité rawness, but editors Kutub Inamdar and Vaibhav Dabhade cut it like a music video: dramatically contrasting action sequences are cross-cut expertly, characters on the run experience perspective-shifts to rival those of the audience, and there is a generous, romanticised use of slow-motion. The football sequences are all heart, and the big match halfway through the film is a stunning crowdpleaser. Manjule is, after all, using a feel-good template to make his points. (...) This is lump-in-throat storytelling, and Manjule smashes it, aided by a crackling ensemble cast. (...) Bachchan performs with exceptional restraint. (...) Jhund caught me off-guard. It lowered my defenses. It scored'.
Raja Sen, 12.05.22

Film Companion:
'It is, in form, a sports biopic that's more concerned with the pragmatism of playing. (...) Most of the second half (...) deals with the logistics of being seen rather than the trials of triumph. (...) This is all very thought-provoking - but only on paper. (...) At no point does this translate into an engaging viewing experience. The film goes on and on and on, as if to imply: If you find it so tiring to watch, imagine how tiring it is to be them. The film has no primary narrative, which is fine in terms of depicting the plurality of caste discrimination and cultural oppression. But the result is also a disjointed, distracted and self-indulgent story. (...) Disparate genres seem to be stitched together in an effort to mean something. You sense Manjule's vision is necessary and important - especially within the context of commercial Hindi cinema's notorious caste blindness - but the realization of those ideas lacks rhythm. (...) This [Bachchan] is a curiously inert performance; the veteran actor seems to be stuck in a film that's both star-struck and satisfied with his mere presence. (...) I wonder if Manjule's vision has been compromised by the pressure of making a 'Bollywood' film. (...) Here it's not subtext but blatant text. (...) The script derives comedy, as opposed to humour, from the attitude of the teens. They're looked at through the lens of the professor and, by extension, the average multiplex viewer - with wonder, fascination and an urge to rehabilitate. (...) Jhund (...) keeps expanding horizontally instead of growing vertically, adding instead of merging. (...) Jhund is (...) largely challenging to watch and intermittently challenging to reflect on'.
Rahul Desai, 04.03.22

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: la rivoluzione nella scelta del protagonista, la resistenza ai dettami correnti. Sceneggiatura interessante, regia astuta. Mix riuscitissimo di generi: sportivo, biografico, sociale. Retorica nazionalista assente. Primo tempo eccitante. Dialoghi sferzanti, ironici, talvolta amari. Il regista non teme, nel secondo tempo, di rallentare il ritmo, perché è qui che raggiunge il suo scopo: per i ragazzi dalit le sfide non si limitano al campo da gioco, la loro vita è una sfida continua. Tutte la scene di gioco, di azione e di inseguimento sono girate con mestiere. Le riprese nello slum fuggono veloci senza indugiare su sporcizia e povertà, e mostrano anche vitalità e operosità. Cast pazzesco. Montaggio da pluripremiare. Colonna sonora.    
Punto debole: il secondo tempo è lento, e non piacerà a tutti. La vicenda del ragazzo che tenta il suicidio è trattata in modo frettoloso. Alcune scene si interrompono bruscamente. Il sermone in tribunale - però ci viene risparmiato quello nell'intervallo della partita. Il flirt fra Don e la studentessa è forzato. 

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Amitabh Bachchan - Vijay Borade, insegnante di educazione fisica
* Ankush Gedam (attore non professionista) - Ankush alias Don
* Priyanshu Kshatriya (attore non professionista) - Babu, amico di Don
* Kartik Uikey (attore non professionista) - Kartik, amico di Don
* Rinku Rajguru - Monica
* Arjun Radhakrishnan - Arjun, figlio di Vijay Borade
* Nagraj Popatrao Manjule - Hitler Bhai 

Soggetto, sceneggiatura, dialoghi e regia: Nagraj Popatrao Manjule
Colonna sonora: Ajay-Atul. Commento musicale Saket Kanetkar. La vibrante colonna sonora riflette perfettamente il carattere dei personaggi. Segnalo tutti i brani: Aaya Ye Jhund Hai, Lafda Zhala, Laat Maar e Baadal Se Dosti. I testi di Amitabh Bhattacharya e di Ajay-Atul sono significativi. Anche il commento musicale è trascinante, ma per gustarvelo dovete vedere il film. 
Fotografia: Sudhakar Yakkanti Reddy
Montaggio: (*****) Kutub Inamdar, Vaibhav Dabhade
Traduzione del titolo: branco, orda. Vedi anche l'articolata traduzione proposta da Mayank Shekhar nella recensione sopra riportata. 
Anno: 2022

CURIOSITÀ

* Vijay Borade, interpretato da Amitabh Bachchan, si ispira alla figura di Vijay Barse, insegnante di educazione fisica, fondatore dell'ONG Slum Soccer. A Nagpur, nel 2001, mentre si riparava dalla pioggia, Barse notò un gruppo di ragazzi dello slum giocare a calcio con una palla di fortuna, e gli venne l'idea di coinvolgerli in quella disciplina sportiva per tenerli lontani dal crimine e dalle dipendenze. Iniziò così ad allenarli per un paio d'ore ogni giorno. La sua dedizione - anche in termini finanziari - causò frizioni in famiglia: il figlio Abhijeet decise di trasferirsi negli USA, ma nel 2006 tornò a Nagpur per collaborare col padre.
* Bhimrao Ramji Ambedkar, politico indiano di estrazione dalit, si è battuto strenuamente per i diritti degli intoccabili. Nel 1956, a Nagpur, Ambedkar organizzò una cerimonia pubblica per celebrare la conversione al buddhismo sua e dei suoi sostenitori. In Jhund alcuni personaggi adottano la formula di saluto Jai Bhim, istituita in suo onore, al posto della più comune Jai Hind. L'Ambedkar Jayanti è la festa pubblica che si celebra ogni anno, il 14 aprile, in occasione dell'anniversario della nascita di Ambedkar. Le processioni più importanti si svolgono a Mumbai e a Nagpur.
* Nagraj Popatrao Manjule, regista pluripremiato ai National Award, è stato il conduttore della quarta stagione dell'edizione marathi di Kaun Banega Crorepati?. Possiede una squadra di wrestling. Proviene da una comunità tribale. Jhund segna il suo debutto (con un lungometraggio - qualche mese prima era stata distribuita in streaming la serie Unpaused. Naya Safar, per la quale Manjule aveva diretto un episodio) nell'industria cinematografica hindi.
* Film che trattano lo stesso tema: Inshallah, Football (kashmiri, urdu, inglese), documentario premiato col National Award, alla cui produzione ha collaborato Giulia Achilli. Il modesto Jungle Cry racconta la storia di giovanissimi giocatori di rugby provenienti da comunità tribali - Jhund mostra come Jungle Cry avrebbe potuto essere con una sceneggiatura più coraggiosa. Sarpatta Parambarai (tamil, boxe) descrive in modo efficace il contesto nel quale si muove il protagonista, che è un dalit. Per il gioco del calcio: Golondaaj (bengali), l'acclamato Sudani From Nigeria (malayalam, premiato col National Award), il campione d'incassi tamil del 2019 Bigil, Dhan Dhana Dhan Goal, il delizioso Tu Hai Mera Sunday, Argentina Fans Kaattoorkadavu (malayalam). Di prossima distribuzione, Maidaan con Ajay Devgan. Se siete interessati all'argomento della discriminazione castale nel cinema indiano: Welcome to Bollywood: caste e genere NRI.

GOSSIP & VELENI

* Lo scorso novembre Priyanshu Kshatriya è stato purtroppo arrestato con l'accusa di furto.

21 dicembre 2022

GOODBYE


L'interpretazione di Amitabh Bachchan in Goodbye verrà ricordata per anni. Big B sente suo un ruolo intenso e doloroso. In modo dimesso, trasmette così tanta umanità che vien voglia di abbracciarlo. Harish, il protagonista, non è proprio sempre simpatico, eppure Bachchan riesce ad addolcirne le asprezze e a renderlo caldo. 
Il film, non brutto, racconta un evento specifico - non allegro - con una trama ridotta all'osso. La qualità è discontinua, ma quando è buona, è davvero buona. L'errore principale è aver concesso troppo spazio al conflitto fra generazioni e punti di vista opposti, imponendo un'evoluzione innaturale ai personaggi e alle loro relazioni. 
Goodbye meritava di mantenere sino alla fine il suo tono e il suo ritmo intimo e riflessivo, punteggiato dagli sprazzi di umorismo quasi nero che la sceneggiatura ha innestato con misura (e intelligenza) nella storia. Sfortunatamente la pellicola offre di tutto un po': finezze e svarioni, commozione e melodramma, satira sociale e religiosa e rispetto delle convenzioni, quadretti familiari artificiosi e litigi fuori luogo, etnie e religioni diverse (figlio adottivo sikh, nuora occidentale, genero musulmano, collaboratrice nordorientale, altro?) e stereotipi.  

TRAMA

Harish, imperioso e tradizionalista, perde l'amatissima moglie Gayatri, e gli spetta quindi il triste compito di doverlo comunicare ai figli, tutti lontani. La famiglia si riunisce per il funerale, fra rigide regole rituali e contrasti mai risolti. 

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* Le donne al funerale e il loro gruppo WhatsApp. Impagabili. Meriterebbero subito una serie.
* La foderina colorata e sberluscente del portatile del pandit (spero di trovarla sotto l'albero).
* L'esilarante vicenda della rasatura dell'atterrito primogenito.

RECENSIONI

Mid-Day: **
'This is, at its core, a soft, sensitive feature on death itself. And while you survey the casual moments in the movie, that usually follow such occasions in Hindu, upper-class families - a local, know-all uncle-type (...) or 'ladies who lunch' (some finely handpicked ensemble extras here), casually shifting between mourning and discussing the mundane - you can somewhat sense this film comes from a lived experience of the writer-director Vikas Bahl. (...) Making this altogether a personal film, albeit in the universal/mainstream/theatrical space. (...) Bachchan (...) a majestic presence, soaking in the moment, marinating in loss, looking frustrated with his children still, but taking them, and the audience, along. (...) Bachchan has ended up spoiling some of his directors, milking his presence so much, that they've barely devoted enough thought to what should be on the screen, when he's not. (...) There really is no plot after the death. (...) Eventually, the film descends into a religious documentary on post-death rituals. Almost turning into a polemic on faith versus science - arguing for both as two sides of the same coin!'.
Mayank Shekhar, 08.10.22

Film Companion:
'Goodbye is defined by a clash of ideologies and every character becomes an exaggerated stereotype. (...) In a more nuanced film, Tara might have been the protagonist whose uncompromising outlook influences the men around her. Yet, here she is someone with the scope for 'improvement'. (...) Her journey is proof of the film's safe stance; she isn't allowed to get away with her dissenting attitude. (...) Every other emotion is milked to the point of dehydration. (...) Perhaps the only bright spot in this misfire is Bachchan's performance. (...) It reveals a desire to keep learning at an age most actors succumb to the muscle-memory of their craft. He turns Harish into the only flesh-and-blood person in a film full of cutouts and algorithmic writing'.
Rahul Desai, 07.10.22

Cinema Hindi: ***
Punto di forza: l'immenso Amitabh Bachchan (*****), l'umorismo, parzialmente la sceneggiatura e la regia.
Punto debole: trattamento non sempre convincente dei temi secondari, il personaggio di Tara scritto con scarsa convinzione. 

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Amitabh Bachchan - Harish
* Neena Gupta - Gayatri, moglie di Harish
* Rashmika Mandanna (al suo debutto nel cinema hindi) - Tara, avvocatessa, figlia di Gayatri e Harish
* Pavail Gulati - Karan, primogenito di Gayatri e Harish
* Sunil Grover (cameo) - pandit

Sceneggiatura e regia: Vikas Bahl
Colonna sonora: Amit Trivedi
Coreografia: Vijay Ganguly
Fotografia: Sudhakar Reddy Yakkanti
Montaggio: Sreekar Prasad
Anno: 2022

CURIOSITÀ

* Goodbye è prodotto da Ekta Kapoor. Arun Bali, l'attore che nel film interpreta il personaggio del padre di Gayatri, è purtroppo deceduto lo stesso giorno di distribuzione di Goodbye.
* Riferimenti al cinema indiano: Shah Rukh Khan.
* Film che trattano lo stesso tema: Mukti Bhawan.

GOSSIP & VELENI

* Ma l'utilità narrativa dell'ukulele? Ma l'abito nero indossato dalla nuora per il funerale? Ma la solita, scemissima sequenza in discoteca?

11 dicembre 2022

BRAHMĀSTRA - PART ONE: SHIVA


Sono curiosamente incappata in due titoli di fila che si ispirano alla mitologia religiosa e che hanno incendiato il botteghino: Brahmāstra - Part One: Shiva e Kantara (in lingua kannada). I protagonisti in entrambi i film si chiamano Shiva. B1S è stato distribuito il 9 settembre e, ad oggi, occupa la quinta posizione nella classifica degli incassi del 2022 (la più alta per una pellicola hindi); Kantara è stato distribuito il 30 settembre e occupa la sesta posizione. Kantara è un singolare mix di folklore religioso, realismo e masala, più tradizionalista nella confezione rispetto a B1S che, dal canto suo, inaugura la marvelizzazione di un genere che pare abbia goduto di un periodo favorevole negli anni novanta e nei primi duemila, ed è più occidentalizzato. Kantara, pur con le sue lacune, tenta un approccio profondo, e per questo ha colpito la critica; B1S, che a tratti sembra un film per ragazzi (e non era l'intento della produzione), non del tutto.

Primo titolo di una trilogia (Brahmāstra) che a sua volta fa parte di un nuovo universo cinematografico denominato Astraverse, B1S ha subito una lunga gestazione (febbraio 2018-marzo 2022), anni utili a cesellare gli effetti speciali, ma anche anni in cui l'ispirazione dello sceneggiatore e regista Ayan Mukerji si è andata via via diluendo sino a raffreddarsi. L'idea originaria era eccellente: attingere alla ricchissima mitologia hindu, contemporaneizzarla e renderla spettacolare e supereroica. Però, a furia di ritoccare, ripensare, aggiungere, togliere, B1S è finito col risultare l'esatto contrario: una pellicola inerte, impassibile. Il problema è la sceneggiatura, spenta e poco fluida, ma soprattutto i dialoghi, sia in termini di battute singole (spesso inutili, affidate ai personaggi solo per riportarli alla vita e staccarli dallo sfondo) che di conversazioni (innaturali quando non agghiaccianti). Cos'è andato storto? Forse il timore di scatenare le ire degli integralisti hindu ha mozzato sul nascere la creatività di Mukerji. Lo slancio c'era (qualcosa è rimasto), poi più o meno volontariamente abortito. Del resto, non puoi innovare se ti senti costretto a compiacere.

B1S parte col botto: un elettrizzante cameo di Shah Rukh Khan - il progetto ci avrebbe guadagnato ad offrirgli un ruolo consistente - e una scenografica coreografia (Dance Ka Bhoot, di Ganesh Acharya). Poi la pellicola si appiattisce. Il comparto tecnico è diligente, B1S è patinato in linea con le produzioni Dharma. La colonna sonora non spicca (mi riferisco alle canzoni, meglio il commento musicale). Gli effetti speciali e le scene d'azione almeno provano a tener sveglio lo spettatore. Le interpretazioni non brillano come dovrebbero, e parliamo di una coppia di attori talentuosi (Ranbir Kapoor e Alia Bhatt - gossip: già innamorati durante le riprese del film, e nel gioco di sguardi la tresca si coglie), e di una superstar (Nagarjuna) a cui è toccato un personaggio esangue. Di contro, Amitabh Bachchan è, al solito, DIO, e neanche ve lo dico; ma è Mouni Roy a stupire perché sembra l'unica in sintonia con l'idea originaria di B1S e quindi non ne tradisce le intenzioni.

TRAMA

Ci sono armi mitologiche, dai poteri soprannaturali, forgiate dagli dei. Una in particolare, Brahmāstra, la più potente, è in grado di distruggere l'universo, ed è controllata da una cerchia di saggi. Poi c'è Dev, rivelatosi mica tanto saggio, che ha tradito la missione e si è trasformato in una gigantesca statua silente di pietra. Poi c'è Junoon, spuntata non si capisce da dove, che è il braccio violento di Dev. Poi c'è DJ Shiva, che rimorchia la sua Isha-Parvati in discoteca (!), innamorandosene - ricambiato - all'istante. Isha dona a Shiva visioni tragiche e combustioni spontanee (con la shakti non si scherza). Poi ci sono due saggi non troppo fortunati e il guru, il più saggio di tutti. Fine.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* Il cameo del Re (mi ripeto, lo so).

ASSOLUTAMENTE DA DIMENTICARE

* Alia che ripete Shiva ogni tre secondi (non deve aver fatto molta fatica a memorizzare le battute).

RECENSIONI

Mid-Day: **
'You could just feel quite needlessly bored after a point here, that's all. Especially with some inanities for dialogues. (...) There is seriously no half-assing on VFX. Every frame is polished to bedazzle you with lights and colours. (...) In exchange for a set-piece by the second, they may have emotionally undernourished the script. (...) Ayan Mukerji (...) seems out of depth here, he's certainly operating outside his warm, intimate comfort space. (...) This is stellar stuff on the tech front. (...) This feels like a slightly hollow, hot mess, that leaves you feeling distantly cold. (...) Brahmāstra belongs to a genre that's categorically critic-proof'.
Mayank Shekhar, 11.09.22

Film Companion:
'It's hard to pinpoint precisely where Brahmāstra - Part One: Shiva goes wrong. The possibilities are endless. It could be the kitchen-sink syndrome - where a movie clubs you with so much body that it hopes you're too wonky to notice its vacant voice. Maybe you won't notice the wooden performances. Or the deafening score. Or the distinctly poor dialogue. (...) Or every other frame resembling a burnt strip of polaroid film. If a fantasy movie repeatedly yells that love is the greatest weapon in (Hindu) mythology, maybe you won't notice that it has no heart. That its romance plays out like a glitchy algorithm. (...) That the heroine calls her hero by name only 373 times in total. (...) (...) Like I said, the possibilities are endless. And maybe you're too shell-shocked to notice them all. Marvel's been doing if for years. No reason why B1S can't do it better. But it's no hard to pinpoint why this film goes wrong. It's not unusual, especially for stories steeped in scale and religious scripture. B1S is so caught up in its conceptualisation and myth-building - which, on paper, is kind of fascinating - that it forgets to behave like a film. The writing is so excited by the world it designs that the script bible doubles up as the final draft. An entire stage of filmmaking (...) seems to be missing. All the elements - the characters, the way they speak, the voiceovers, the themes, the soundscape, (...) even the visual crescendos - feel like temporary fillers for a future version that never arrives.The result is (...) a painfully inert movie. (...) Faces become surrogates for plot movement; speech is reduced to thought bubbles. Nothing else can explain the perplexing lack of chemistry between the two leads. It's almost as if Ranbir Kapoor and Alia Bhatt were instructed to read the lines knowing that emotions, like everything else, would be added in post-production. It takes some doing to make actors of their calibre mess up a narrative of passion. (...) If you look really hard, you might see the germ of a full-blooded big-screen experience. Writer-director Ayan Mukerji has the framework in place, but fails at a fundamental screenplay and design level. (...) Isha exists not as a lover so much as a human Alexa; her only job is to robotically ask him questions and follow him around and make sure he's fine. (...) Her superpower seems to be that her reactions are never in sync with the magnitude of an incident. (...) It's a generic fusion of Western style and Eastern substance, (...) like a foreign interpretation of Indian legend'.
Rahul Desai, 19.09.22
Recensione integrale (un vero spasso, vi consiglio di leggerla. Un esempio? Il Brahmāstra che 'on a good day, looks like a giant Oreo cookie'. Io morta).

Cinema Hindi: ** 1/2 (se lo considerassi un film per ragazzi, aggiungerei mezza stella).
Punto di forza: l'idea, SRK, il personaggio di Junoon.
Punto debole: dialoghi e sceneggiatura.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Ranbir Kapoor - Shiva
* Alia Bhatt - Isha
* Amitabh Bachchan - Raghu, il guru (e il narratore)
* Mouni Roy - Junoon
* Shah Rukh Khan - Mohan, lo scienziato (cameo)
* Nagarjuna - Anish, l'artista (cameo)
* Dimple Kapadia - cameo

Regia e sceneggiatura: Ayan Mukerji
Dialoghi: Hussain Dalal
Colonna sonora: Pritam
Coreografia: Ganesh Acharya, Brinda, Adil Shaikh.
Fotografia: V. Manikandan, Pankaj Kumar, Sudeep Chatterjee, Vikash Nowlakha e Patrick Duroux.
Montaggio: Prakash Kurup
Anno: 2022

CURIOSITÀ

* Nella tradizione hindu, l'astra è un'arma dotata di poteri soprannaturali, forgiata da una specifica divinità. Brahmāstra è l'arma di Brahmā, ed è la più potente.
* Il personaggio interpretato da Shah Rukh Khan si chiama Mohan Bhargav, in omaggio a Mohan Bhargava, protagonista di Swades.
* Riferimenti al cinema indiano: Mr. India.
* Riferimenti all'Italia: Gucci, Prada.

GOSSIP & VELENI

* Pare che la Dharma Productions si stia dannando per scritturare l'attore che interpreterà Dev in Brahmāstra - Part Two: Dev (purtroppo SRK ce lo siamo giocati). Girandola frenetica di nomi: Ranveer Singh (ma era davvero Deepika, in B1S, la mamma di Shiva?), Hrithik Roshan, Prabhas, persino Yash. Ad oggi, nessuna conferma. E comunque non è che abbia tutta 'sta fretta di sorbirmi B2D.
* Il 2022 è stato un anno pazzesco per Alia Bhatt: due titoli nei primi dieci incassi (l'altro è RRR), un film interessante (Gangubai Kathiawadi, proiettato alla Berlinale) diretto da un regista di gran classe come Sanjay Leela Bhansali, l'esordio in qualità di produttrice (Darlings), il matrimonio (con Ranbir Kapoor) e annessa breve luna di miele italiana (clicca qui), la nascita della loro bimba. Agenda fitta. Io nel 2022 sono solo ingrassata.
* E quindi ora abbiamo anche un Astraverse. Voterei per un prequel dedicato a Mohan e per uno spin-off dedicato a Junoon.


29 giugno 2022

RUNWAY 34


Runway 34 è ad oggi il migliore fra i film diretti da Ajay Devgan. La meticolosità tecnica, già rilevabile nel precedente Shivaay, qui si coniuga con una sceneggiatura che si sforza di emergere dalla mediocrità. La fotografia è di un nitore da manuale; il montaggio è fluido, senza sbavature. La prima parte della pellicola, con l'esclusione delle sequenze d'apertura, è tesa e ben diretta, e non sfigura accanto a prodotti occidentali di genere simile. In particolare, la tecnica di ripresa nella cabina di pilotaggio è impeccabile, morbida come una danza. La seconda parte, più lunga, sceglie una tensione di tipo diverso. Anche la psicologia cambia. E il ritmo. Il soggetto è alquanto inedito nel panorama cinematografico indiano, e Devgan ha corso un bel rischio nell'affrontarlo, ma, a differenza di Shivaay, in Runway 34 non si è fatto prendere la mano. 

Qualche imprecisione e qualche caduta di stile nella sceneggiatura non intaccano in modo irreparabile il film che, nel suo insieme, risulta abbastanza realistico. I personaggi soffrono però di una scrittura affrettata, inconclusiva. Vikrant, il comandante, è privo di profondità e di una necessaria evoluzione interiore - ed è qui che Runway 34 perde in termini di spessore. È inoltre ridicolmente macho e ostenta una calma innaturale nel primo tempo. Tania, il secondo pilota, è più a fuoco anche se ansiosa senza ragione durante l'indagine. Narayan, l'investigatore, parte bene per poi sgonfiarsi di botto (e con lui la direzione della trama, lasciando un po' spiazzato lo spettatore riguardo al finale). Per fortuna le interpretazioni offerte dal cast colmano le lacune, o almeno ci provano. Rakul Preet Singh non si è lasciata intimidire dai blasonati colleghi, e anzi ha regalato la performance a tratti più convincente. I dialoghi in ambito professionale sembrano verosimili, lo scambio di battute suona naturale. Quando ci si sposta però nella sfera personale, la qualità diventa intermittente, e qualche conversazione appare maldestra se non surreale.

TRAMA

Un aereo di linea sta affrontando il volo internazionale Dubai-Cochin reso difficoltoso dalle avverse condizioni atmosferiche. Per ragioni non chiare, il comandante si rifiuta di dirottare verso Bangalore, consumando così prezioso carburante in attesa dell'autorizzazione all'atterraggio. In seguito, è costretto a deviare verso la vicina Trivandrum, e, per un disguido fatale, la torre di controllo di Cochin non lo informa della chiusura di quell'aeroporto causa grave maltempo.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* La sequenza dell'atterraggio di fortuna, spaventosa e quasi poetica.

LA BATTUTA MIGLIORE

* La secca replica dell'investigatore all'analogia col soldato formulata dal comandante.

RECENSIONI

Mid-Day: ***
'Runway 34 is essentially an aviation movie. The only genuine one of the sub-genre in Hindi that I’ve seen. Not in the sense of a hijack drama that, say, the kinda crappy Zameen (2003), also starring Devgan, was. (...) The movie keeps you glued to the screen still - chiefly drawing out two phenomenal performers post-interval, when the competently executed air-turbulence drama is already over. That’s Amitabh Bachchan (...) and Boman Irani. (...) There’s Devgan in the front, right, left and centre, of course. He’s also directed and produced this film, with fairly first-rate work that’s gone into the VFX, surely from his own company. Of all the indefatigable, long-standing superstars of his/’90s vintage, Devgan is the lone one, who’s had career of sorts as a director alongside. Putting his name on the credit, unlike stars of yore, who used to hide behind ghost-directing their pictures instead. (...) Needless to add, this is Devgan’s best work as director'. 
Mayank Shekhar, 30.04.22

Film Companion:
'Runway 34 is a turbulent flight through the cinema of masculinity. (...) The precedent set is: Being problematic is OK as long as you are great at what you do. As a result, the male saviour syndrome is writ large over a narrative that, at the most, dares to ask questions about his behaviour. (...) It's a technically sound film. In fact, the first half is so compellingly crafted that it's tempting to overlook the film's flimsy sociological identity. Mainstream Hindi cinema isn't big on airplane movies, so it's novel to see an entire hour dedicated to the drama of flying - complete with convincing visual effects, good editing, smart cinematography and a general sense of rhythm. (...) Given his lineage, it's comforting to see that the director in Ajay Devgan has a knack for slick action sequences. (...) The cross-cutting between the cockpit, the passengers, the ATC [Air Traffic Control] tower and the violent sky is exemplary. (...) There are some excitable directorial swishes, too. The transitions, for example: the first two minutes alone featuring reflection shots on a binocular lens and aviator glares. Then there's a nifty time-lapse sequence in a hotel room, which depicts the pilot racing against time to recover from a wild night. (...) But the writing ensures we stay humble as viewers. It keeps puncturing the visual confidence of the film. (...) The second half (...) is a courtroom drama. (...) Here is where the film collapses under the weight of its own culture'. 
Rahul Desai, 29.04.22

Cinema Hindi: ***
Punto di forza: primo tempo coinvolgente, fotografia, montaggio. E poi Amitabh Bachchan è sempre DIO.
Punto debole: qualche imprecisione nella sceneggiatura, personaggi appena abbozzati, finale congegnato in modo poco convincente. La passeggera come si è procurata il numero di cellulare del comandante?

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Ajay Devgan - Vikrant Khanna, pilota civile, comandante
* Rakul Preet Singh - Tania Albuquerque, secondo pilota
* Amitabh Bachchan - Narayan Vedant, investigatore dell'Aircraft Accident Investigation Bureau
* Boman Irani - Suri, proprietario compagnia aerea

Regia: Ajay Devgan
Sceneggiatura: Sandeep Kewlani, Aamil Keeyan Khan
Colonna sonora: Jasleen Royal. Commento musicale di Amar Mohile. Soprannaturale il brano The fall song, interpretato dalla stessa Jasleen, e geniale l'abbinamento con la sequenza dell'atterraggio di fortuna.
Fotografia: Aseem Bajaj
Montaggio: Dharmendra Sharma
Anno: 2022

CURIOSITÀ

* Runway 34 si ispira liberamente ad un evento accaduto nel 2015: il comandante del volo Jet Airways Dubai-Cochin fu costretto da circostanze simili a quelle narrate nel film ad atterrare a visibilità zero su una pista di lunghezza ridotta durante una tempesta. La trama ricorda inoltre Flight e Sully
* Riferimenti al cinema indiano: Katrina Kaif.

30 luglio 2019

B A D L A


Intrigante e ben fatto. Non ho visto Contrattempo, la pellicola di Oriol Paulo di cui Badla è il remake hindi ufficiale, per cui non giudico l'adattamento della sceneggiatura da parte del regista Sujoy Ghosh (migliore? peggiore rispetto all'originale?). Di certo Contrattempo, o qualunque altro remake, non può vantare un attore del calibro e dell'eleganza di Amitabh Bachchan. La struttura narrativa, credo ricalcata su quella creata da Paulo, è godibilissima. Il cast è in forma (grande Amrita Singh). La fotografia e il commento musicale contribuiscono ad ammaliare lo spettatore. I personaggi però non hanno calore. I dialoghi sono di buona qualità, anche se Badla risulta soffocato dalle troppe parole. Un montaggio più secco avrebbe contenuto la verbosità, talvolta eccessiva.

Le recensioni indiane commentano errori e prevedibilità nella trama. Io che sono negata nell'identificare il colpevole prima che mi venga sbattuto in faccia, o nel captare in anticipo colpi di scena e finali sbalorditivi, non ho riscontrato falle, e comunque non saprei a chi attribuirle (a Ghosh? a Paulo?). Solo un aspetto mi ha lasciato perplessa: l'imperturbabilità del personaggio interpretato da Bachchan alla scoperta di un particolare agghiacciante legato alla scomparsa di Sunny. 
Badla si è comportato benissimo al botteghino, pur privo di coreografie. I gusti del pubblico indiano stanno cambiando, nel senso che c'è posto anche per film che utilizzano modalità narrative diverse, frutto di una mescolanza sempre maggiore fra cinema d'autore e popolare.
Badla è un prodotto apprezzabile. Non grido al capolavoro, non mi ha particolarmente emozionato, ma lo consiglio.

TRAMA

Naina è nei guai fino al collo. Abbandonata da marito e figlioletta, agli arresti domiciliari, è l'unica sospettata per l'omicidio del suo amante. Naina si proclama vittima di una trappola. Riuscirà il noto penalista Badal Gupta a provare la sua innocenza?

RECENSIONI

Hindustan Times: ***
'Sujoy Ghosh’s Badla features a slick, relentlessly twisty cat-and-mouse game played with both cat and mouse sitting in the same room, strategising across a table. (...) Ghosh’s efficiently assembled film keeps tension at a boil through twist and counter-twist, but the finalé is easy to see coming, principally because we expect certain actors to have the last laugh. Still, there is something to be said for this briskly paced thriller that doesn’t slow down to spoon-feed its audience. Badla never loses grip. (...) Credit to Ghosh and his actors for keeping things tight. Besides Bachchan and Pannu, Amrita Singh stands out as a mother with a missing son. The film is set in Scotland, and this considerably enhances the look and feel, as cinematographer Avik Mukhopadhyay highlights telling details with unmistakable sharpness. (...) Badla remains an engaging film, and while we can blame Ghosh for casting Bachchan and somewhat spoiling the climax, he can’t possibly be blamed for casting that man in a role that requires a lot of talking. Amitabh Bachchan has been in the movies for fifty years now, and whatever he says, we’re listening'.
Raja Sen, 09.03.19

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: l'aura divina di Amitabh Bachchan e il finale (almeno per me) a sorpresa
Punto debole: la verbosità

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Amitabh Bachchan - Badal Gupta
* Taapsee Pannu - Naina Sethi
* Amrita Singh - Rani Kaur
* Tony Luke - Arjun Joseph
* Manav Kaul - avvocato di Naina
* Tanveer Ghani - marito di Rani

Regia e adattamento della sceneggiatura: Sujoy Ghosh
Sceneggiatura originale: Oriol Paulo 
Colonna sonora: Amaal Mallik, Anupam Roy e Clinton Cerejo. Vi segnalo il video del brano Aukaat (rapper: Amitabh Bachchan).
Traduzione del titolo: vendetta
Anno: 2019

CURIOSITA'

* Badla è stato girato a Glasgow, ed è prodotto dalla Red Chillies Entertainment di Shah Rukh Khan.
* Contrattempo vanta anche un remake italiano, Il testimone invisibile, diretto da Stefano Mordini, con Riccardo Scamarcio, Miriam Leone, Fabrizio Bentivoglio e Maria Paiato. Il film è stato distribuito nel dicembre 2018. Trailer.
* Riferimenti a Bollywood: Amitabh Bachchan

07 aprile 2019

THUGS OF HINDOSTAN



Thugs of Hindostan non è un prodotto eccelso, ma mi sfuggono le ragioni della tiepida accoglienza manifestata dal pubblico in sala, quello stesso pubblico che in precedenza aveva premiato l'altrettanto deludente Dhoom 3, sempre diretto da Vijay Krishna Acharya, e sempre interpretato da Aamir Khan. Alla fine TOH è solo un film d'avventura per ragazzi (forse non era questo il target previsto?), arricchito da un innesto simil-piratesco che mi ha ricordato per certi versi la saga di Sandokan, e imperniato sulla lotta contro lo strapotere della Compagnia delle Indie. 
La storia, nel suo complesso, vista (molto) dall'alto, non è male. L'idea c'è. Un pizzico di umorismo anche. E' chiaro che per lo spettatore adulto la grana è troppo grossa, e la trama è sfilacciata e non sufficientemente articolata. TOH manca del giusto ritmo. Viene concesso ampio spazio al personaggio di Firangi a discapito di Azaad e Zafira, le cui vicende di eroismo e ribellione dovrebbero invece costituire l'ossatura della narrazione. Oltre a questo, a mio parere il difetto maggiore è nell'assoluta incongruità fra il fiume di denaro trasfuso nel progetto e il modesto risultato in termini di effetti speciali e di scene d'azione. 

In TOH Amitabh Bachchan appare poco in forma, e nei combattimenti sembra sofferente. Per fortuna alcuni indimenticabili primi piani ci ricordano il calibro - e il fascino - dell'attore. Il suo personaggio, Azaad, è concepito su scala epica: è puro, invincibile, quasi immortale. Firangi, al contrario, è l'apoteosi della dozzinalità, non manca di ironia, ma non suscita empatia. E' più realistico di Azaad, più sfaccettato, eppure meno caldo. Aamir Khan si impegna per renderlo divertente, anche se l'attore risulta decisamente più convincente nelle (poche) scene drammatiche. 

Per quanto traballante, TOH si può guardare. Le stiracchiature e le ripetizioni mi hanno annoiata, ma ho apprezzato la temerarietà di cimentarsi in un genere poco esplorato nel cinema indiano. 
Sono magnanima, sì. Non aver visto nessun capitolo dei Pirati dei Caraibi aiuta.

TRAMA

Di certo c'è solo la morte. Firangi, un n-giochista di prima classe, aggiunge il tradimento. Azaad crede invece nella libertà, e niente e nessuno può fargli cambiare idea nè fermarlo. La Compagnia delle Indie ingoierà voracemente il subcontinente, ma intanto Azaad - con la collaborazione del riottoso Firangi - si prende qualche soddisfazione.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* I magnetici primi piani di Amitabh Bachchan. Una leggenda. Un Dio.

RECENSIONI

Hindustan Times: *
"It takes a lot to make pirates boring. Without a doubt, Thugs Of Hindostan is a whole lot of movie - the biggest budget Yash Raj production of all time, the first film to star both Amitabh Bachchan and Aamir Khan - and yet this giant period epic turns out to be feeble, formulaic and entirely forgettable. Directed by Dhoom 3’s Vijay Krishna Acharya, here is a film so dull and unoriginal that it can only inspire the shrugs of Hindustan. (...) The plot is so childish I fear the Yash Raj writing room may be an illegal sweatshop. This film, alongside Ashutosh Gowarikar’s painful Mohenjo Daro, may - alarmingly enough - make a strong case for leaving historical Hindi hysterics to Sanjay Leela Bhansali, who understands scale and pageantry. Acharya shoots far too much action in slow-motion, from swordsmen swinging on conveniently placed vines to collapsing mothers, amping up the frames per second to disguise the lack of storytelling craft. Nearly three hours long, TOH is a film hardly ever larger, but certainly slower than life. (...) Firangi is one of Khan’s most unremarkable characters, a rogue free of charisma or cleverness, with barely a line worth remembering. This is principally why TOH sinks. It prioritises size over smarts, set-pieces over the script. The size, too, is unimpressive, with cardboard-y visual effects, poor rope-physics, haphazard continuity and decks of ships that look too small, but all that could have been forgiven - a $ 41 million budget wouldn’t go far in Hollywood - if the film gave us characters worth caring about or laughing with. Set-pieces matter, but adventure films become special because of the lines we end up quoting and the protagonists we cheer. Instead we have Khan-in-kajal, alongside a gruff and grizzly Bachchan, weighed down by armour and cliché (...). The girls have it worse. Fatima Sana Shaikh, who was so good in Dangal, plays a princess who doesn’t have a line for the first hour (...). Shaikh doesn’t bring much to the part, and when she does speak, she does it flatly enough to justify her lack of lines. (...) I may be old school, but I believe pirate movies need to have eye-patches. This one doesn’t, and that’s a shame. The viewing experience would have been hugely improved. I should have gone in wearing two".
Raja Sen, 09.11.18
Recensione integrale (è molto divertente e vi consiglio di leggerla)

Cinema Hindi: *** (perchè lo considero un film per ragazzi)
Punto di forza: Amitabh Bachchan e Aamir Khan
Punto debole: il montaggio; il peso eccessivo del personaggio di Firangi rispetto ad Azaad e Zafira

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Amitabh Bachchan - Azaad
* Aamir Khan - Firangi
* Fatima Sana Shaikh - Zafira
* Katrina Kaif - Suraiyya
* Mohammed Zeeshan Ayyub - Shanichar

Regia e sceneggiatura: Vijay Krishna Acharya
Colonna sonora: Ajay-Atul (canzoni). Segnalo l'insolito brano Suraiyya, visualizzato da una buffa coreografia.
Anno: 2018

CURIOSITA'

* Durante le riprese a Malta, Aamir Khan si è concesso una vacanza in Italia (clicca qui).
* Aamir Khan si è occupato del montaggio della versione del film distribuita in Cina, più breve di 45 minuti, e con l'aggiunta di alcune scene, interpretate da Aamir, scartate nella versione indiana. 

GOSSIP & VELENI

* TOH verrà ricordato come il primo clamoroso passo falso nella catena di successi stellari inanellati da Aamir Khan dal 2006 in poi. E il 2018 verrà ricordato come l'anno della sconfitta - considerando le aspettative - al botteghino del regale triumvirato dei Khan: Salman Khan con Race 3 e Shah Rukh Khan con il delizioso Zero non hanno conquistato pienamente il favore del pubblico indiano. Brutto segnale. La fine di un'era?

28 giugno 2012

MARD




Mard è senza dubbio il film più caotico e bizzarro mai creato da Manmohan Desai , il maestro dell’intrattenimento si diverte a portare sullo schermo una macedonia incredibile di eventi, personaggi e stili, cita alcuni dei suoi successi e si abbandona ad un confuso delirio melodrammatico. A suo tempo il pubblico ha gradito (il film ha collezionato il record di incassi nel suo anno d’uscita, il 1985) ma guardato oggi, e soprattutto confrontato con altri titoli della sua filmografia, Mard appare il prodotto più atipico, esuberante e meno riuscito nella carriera del regista.


TRAMA
Durante l’occupazione britannica Raju (Amitabh Bachchan), un ragazzo povero dotato di intelligenza e forza, trova il coraggio di affrontare il tiranno che ha messo a ferro e fuoco il villaggio (Prem Chopra)  e si innamora della sua figlia ribelle  (Amrita Singh).  


Il plot è prevedibile ma imprevedibili sono le follie del regista, degli scenografi e dei costumisti.  è un melodramma avventuroso sullo sfondo del colonialismo il cui protagonista è l’"Angry Young Man" Bachchaniano trasportato in una cornice appariscente e confusionaria che poco ha a che vedere con l’efficacia narrativa delle pellicole degli Anni Settanta. L’intrattenimento abbonda e seguendo le mode del decennio la vendetta si fa più violenta, i connotati degli antagonisti meno sofisticati, più fumettistici e maniacali.  La trama propone un pizzico di tutto, ha del rocambolesco, del bizzarro, del fiabesco, ma è soprattutto un apoteosi del machismo governata da sgorganti esagerazioni, alcune volte simpatiche caricature, in altre occasioni tocchi indubbiamente trash che lasciano increduli davanti alla pellicola, quasi come se non si fosse visto mai niente di peggiore (o migliore?) prima d’ora.
Seguendo la moda degli Anni Ottanta sono gli eccessi a dominare, e,  se di eccessi si parla,  Mard dimostra di sfoggiarne un’autentica collezione:  funi che frenano il decollo di un aereo, esecuzioni di massa che paiono balletti, uomini dalla potenza leggendaria che resistono alla forza di quattro cavalli e altri capaci di uscire illesi dalle peggiori torture.  Scopriamo Amitabh Bachchan e Amrita Singh impegnati in giochi cripto erotici (e pure un po’ sadomaso) i due attori si frustano a vicenda, si mordono e si rotolano nel sale in alcune sequenze divenute cult.  Mentre il guardaroba di Big B appare piuttosto semplice e non particolarmente curato per Amrita viene pensato l’impossibile, dalle tute nere da sexy domatrice agli abiti alla Rossella O’Hara fino ai costumi da flamenco con frange spagnoleggianti. La scenografia è bizzarra, finta, artificiosa ai massimi livelli, la seconda parte della narrazione aggiunge un background  grottesco, quasi vampiresco, e propone un fantomatico ospedale inglese in cui si collezionano bottiglie di sangue estratte dagli schiavi. Tutto ruota intorno al movimento più sfrenato, si cambiano set, costumi, toni, domina l’azione continua, la violenza esasperata.  Rispetto alla produzione del decennio precedente l’epopea del riscatto non si evolve in una trama più corposa ma si appesantisce di tanti, troppi, elementi innecessari, perdendo il focus sulla storia e l’intensità dei personaggi.


Il mio giudizio sul film : **  2/5


ANNO : 1985

TRADUZIONE DEL TITOLO : Maschio

REGIA: Manmohan Desai


CAST:
AmitabhBachchan …………… Raju  “Mard”
Amrita Singh……………… Ruby
Prem Chopra ……………….. Major Harry
Nirupa Roy …………………… la madre di Raju
Dara Singh …………………….. Raja Azad Singh


COLONNA SONORA  : Anu Malik
PLAYBACK SINGERS: Shabbir Kumar, Asha Bhosle, Amitabh Bachchan, Anu Malik, Mohammed Aziz


QUALCOS’ALTRO:
Mard ha ispirato un remake in lingua tamil interpretato da Rajinikant, il titolo è Maaveran.
Il film è stato girato interamente nell’India del Sud, tra le locations Mysore, Bangalore e Ooty.
Raja Azad Singh ha il volto di Dara Singh, pugile professionista e possente Ercole nella cinematografia indiana per oltre tre decenni. Dara lanciò l'attrice Mumtaz e girò con lei ben sedici film.

Amrita Singh è la prima moglie di Saif Ali Khan, la coppia ha avuto due figli. Amrita e Saif si sono separati nel 2004.

19 febbraio 2012

AARAKSHAN

Diretto da Prakash Jha, appassionato di temi politici-sociali, già regista di Raajneeti, Aarakshan affronta la questione del sistema educativo indiano. Amitabh Bachchan, da grande mattatore, si prende sulle spalle la responsabilità di tutto il film salvandone le sorti, almeno parzialmente.

TRAMA

Prabhakar Anand (Amitabh Bachchan) è il rispettato preside del STM College, una scuola prestigiosa e selettiva che garantisce un alto livello di istruzione e ottime possibilità lavorative. Il posto al STM si ottiene grazie al merito, tanto che nemmeno il ministro dell'Istruzione, Baburamji (Saurabh Shukla), riesce ad imporre l'iscrizione del nipote, che non vanta un punteggio sufficiente. Quando la Corte Suprema decide d'innalzare al 49,5% la quota dei posti riservati nelle università alle caste più basse, il malcontento ed i conflitti nel SMT College esplodono. Deepak Kumar (Saif Ali Kha), un dalit, professore, pupillo di Prabhakar Anand ed innamorato di Poorbi Anand (Deepika Padukone), figlia del preside, lascia la scuola.
Prabhakar Anand viene sabotato, escluso ed allontanato dal STM College per lasciare spazio alla corruzione ed a un sistema lucrativo che trasformi  l'istruzione in un affare.

RECENSIONI

The Times of India ***
Il regista Prakash Jha è di una razza a parte. Negli anni settanta-ottanta si affermò come uno dei principali fautori del cinema cosiddetto parallelo, e da allora non ha mai rinnegato le sue radici. Anzi, ha optato per una combinazione di cinema d'autore e di massa, di contenuto e di masala. Da qui l'importanza di film come Gangaajal, Apaharan, Raajneeti, nei quali, senza annoiare, vengono trattati argomenti scottanti. Aarakshan segue le medesime regole, offrendo uno sguardo incisivo sulla politica indiana delle quote riservate e sul suo impatto sul sistema scolastico. O perlomeno questo è il tema del primo tempo, che grazie a ciò risulta davvero drammatico. I confronti sullo schermo fra i personaggi interpretati da Amitabh Bachchan e da Saif Ali Khan sono esplosivi e coinvolgenti. Saif regala una delle sue migliori performance dopo Omkara, ma nel secondo tempo il suo personaggio viene rimosso all'improvviso e in modo arbitrario, perchè la pellicola abbandona completamente l'argomento principale per abbracciare una storia del tutto diversa, rappresentata con la formula tradizionale dell'eroe straordinario (Bachchan) contrapposto allo spregevole, machiavellico villain (Manoj Bajpai). Triste. Il primo tempo funziona, il secondo - una diatriba contro la scuola privata - non porta da nessuna parte.
Nikhat Kazmi, 11.08.11

Hindustan Times **
Enfatico, semplicistico ma importante. Prateik Babbar ha lo sguardo sempre sbalordito, ed è l'unico fra i protagonisti di Aarakshan ad essere genuinamente contro le quote riservate alle minoranze negli istituti scolastici statali. Gli altri sostengono la proposta governativa per ragioni diverse: sociali (il Prabhakar Anand di Amitabh Bachchan riconosce il merito di raddrizzare i torti della storia), economiche (il personaggio interpretato da Manoj Bajpai subodora il denaro che le ricche caste superiori spenderanno per gli istituti privati) e personali (il Deepak Kumar di Saif Ali Khan è un dalit). L'affabile, disinvolto, urbano Saif non appare affatto fuori luogo nel suo ruolo. Aarakshan è un dramma poco sottile, eccessivo, che sembrerebbe dunque favorevole alle quote. Ma in caso contrario, sarebbe stato bollato come favorevole al sistema castale? In questo Paese ci viene proibito di discutere i meriti e i demeriti delle quote riservate su base castale? E gli spettatori non possono nemmeno decidere quali pellicole guardare? Il personaggio interpretato da Amitabh Bachchan possiede un certo suo onore, anche se risulta troppo filmico. Ammirare un uomo onesto che non scende a compromessi e che si espone per salvaguardare ciò in cui crede, è ancora fonte d'ispirazione. Ciò non accade intorno a noi, nel mondo reale, ed è per questo che andiamo al cinema. Bachchan infonde una dignità immensa nel suo ruolo, l'unico nettamente definito. Lo scaltro personaggio interpretato da Manoj Bajpai è, al contrario, il classico villain bollywoodiano, caricaturale e di cartone. E rappresenta il peggio della commercializzazione del sistema scolastico indiano, che poi è il vero argomento di Aarakshan. Non solo la sceneggiatura ma anche la realizzazione della pellicola sembra essere frettolosa, ed il risultato è il meno soddisfacente fra gli ultimi lavori di Prakash Jha: Gangaajal (2003, un dibattito sulle atrocità della polizia), Apaharan (2005, sull'anonima sequestri), Raajneeti (2010, nel quale un partito politico viene rappresentato come una nuova monarchia). Hip Hip Hurray (1984) è ancora di gran lunga il suo miglior film sulla gioventù indiana. Una pellicola minimalista e sensibile, al contrario di Aarakshan che si sforza di essere imponente e gradito dalle masse senza riuscirci. Una buona occasione mancata, anche se alcune questioni importanti vengono comunque poste all'attenzione dello spettatore. Lo stato attuale del sistema scolastico indiano è davvero agghiacciante, ed è un serio problema, ma la storia narrata in Aarakshan non è convincente. I conflitti si diluiscono in ingenuità, le motivazioni non sono chiare, alcune trite situazioni prendono il sopravvento. La pesante commercializzazione (del sistema scolastico) denunciata dal film sembra affliggere anche l'industria cinematografica.
Mayank Shekhar, 12.08.11

Diana ** 1/2
Buon primo tempo, arricchito da due brani in soli venti minuti, durante il quale ci si gode il ricco cast. Prateik Babbar, fresco volto in ascesa, Deepika Padukone e Saif Ali Khan, che si confermano coppia affiatata, e Amitabh Bachchan, unico e insostituibile. Il tema iniziale, le quote riservate, è interessantissimo e apre a riflessioni più ampie ed universali sulle minoranze e sui possibili sistemi di garanzia dell''uguaglianza sociale. Peccato che venga lasciato cadere troppo presto in favore della battaglia, un tantino retorica, contro avidità e corruzione della classe dirigente.
Secondo tempo di riconciliazioni e riscosse che nonostante le buone intenzioni finisce per annoiare e lasciare senza risposte.

Il bello:
- L'alchimia tra Deepika e Saif.

Il brutto:
- Il mancato approfondimento sulla questione delle quote riservate.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Dr. Prabhakar Anand - Amitabh Bachchan
Deepak Kumar - Saif Ali Khan
Mithilesh Singh - Manoj Bajpayee
Poorbi Anand - Deepika Padukone
Sushant - Prateik Babbar
Kavita Anand - Tanvi Azmi
Shakuntala Thakral - Hema Malini
Dinkar - Chetan Pandit
Ispettore di polizia - Mukesh Tiwari
Shambhu Yadav - Yashpal Sharma
Aniruddh Prasad - Darshan Jariwala
Baburamji - Saurabh Shukla
Vishambhar Das - Vinay Apte
Kamta Prasad - S. M. Zaheer
Munni - Aanchal Munjal
Sanjay Tandon - Deepraj Rana
Verma - Bikramjeet Kanwarpal
Damodar Seth - Rajeev Varma
Avvocato - Saurabh Dubey
Pandit Dinanath Upadhay - Amitosh Nagpal
La moglie di Kamta Prasad - Anita Kanwal
La madre di Deepak - Sonal Jha

Scritto da Anjum Rajabali e Prakash Jha

Diretto da Prakash Jha

Prodotto da Prakash Jha

Musiche di Shankar-Ehsaan-Loy

Coreografie di Jayesh Pradhan

Distribuito da Base Industries Groups

Anno: 2011

AWARDS

Screen Awards 2012:
- Best Actor in a Supporting Role (Male) -  Saif Ali Khan
- Best Lyrics - Prasoon Joshi
- Ramnath Goenka Excellence Award for 'having made a difference' - Prakash Jha

CURIOSITA'

- Il film ha avuto diverse contestazioni prima della sua uscita, tanto che ne è stato chiesto il divieto di proiezione sia in Uttar Pradesh, nel Punjab e nell'Andhra Pradesh, nel timore che le frasi di discrimidazione nei confronti delle caste inferiori contenute nella pellicola potessero risultare offensive e motivo di disordini tra gli spettatori.

- La mitica Hema Malini onora la pellicola con un cameo.

- Prakash Jha è un plurivincitore del National Film Award.

- Deepika e Saif in coppia fanno scintille, come già dimostrato in Love aaj kal.

- Il making di Aarakshan.

Il sito ufficiale del film.

07 dicembre 2011

HERA PHERI (1976)



Bische clandestine, birre e bluff, l’eleganza stratosferica di Big B e set opulenti e fantasiosi. Hera Pheri, diretto da Prakash Mehra, regista del ruggente Zanjeer, è un eccitante mescolarsi di generi diversi la cui sola vocazione è l’intrattenimento, per gli spettatori di ieri una piacevole esibizione degli attori più amati , per gli odierni appassionanti di vintage una bibita fresca con cui dissetarsi.

TRAMA
Ajay (Vinod Khanna) e Vijay (Amitabh Bachchan) sono disoccupati e imbroglioni di mestiere, i due indulgono in divertimenti e vizi fino al giorno in cui Ajay perde la testa per Asha (Sulakshana Pandit)  figlia di un ufficiale di polizia. I tentativi del giovane di cambiare vita si intrecciano alle pericolose seduzioni di Kiran (Saira Banu) ragazza avvenente assoldata dal nemico di Vijay per distrarlo ed ottenere informazioni.

HP non sarà un film cult ma si lascia facilmente amare soprattutto se si hanno già nel cuore Amitabh Bachchan, Vinod Khanna e lo spirito delle pellicole dei Seventies. La storia confusionaria se non fosse stata diretta da Mehra difficilmente avrebbe funzionato così bene, la mano del regista si sente nei momenti in cui il film esce dalla sua leggerezza e acquista sfumature diverse, si riconosce  nell’uso del fermo immagine a creare attesa e tensione ma ancora di più nella costruzione della scena drammatica affidata al fuoriclasse Bachchan, un commovente delirio di sfiducia nella spiritualità che lascia ipnotizzati allo schermo. Le caratteristiche della sequenza più intensa del film ci confermano ancora una volta che dietro alla cinepresa era seduto uno dei più grandi autori degli Angry Years.
Riconosciamo le palme di Juhu e le strade di Mumbai, si respira un clima di positività e una contagiosa sensazione di abbandono. Ci sono duetti romantici, imbrogli, imprevisti, parentele da ricostruire, misteriose identità, un’amicizia fortissima che improvvisamente s’incrina per ragioni che capiremo solo alla fine, una madre anziana malata e traumatizzata da uno shock, un villain cattivissimo in cerca dell’identità del figlio perduto. Abbondano gli elementi da gangster story e le stravaganze, Helen si esibisce con movimenti procaci, le due eroine Sulakshana e Saira si adornano con lunghe code di extension, la macchina da presa gira intorno ai protagonisti durante le scene di danza e i set sono costruiti con ammirevole eccentricità: statue di cartapesta , quadri e scaloni monumentali, pareti munite delle più incredibili fessure da cui spiare, casinò superkitsch e lampadari scintillanti.
Non tanto un film quanto uno show, una vivace e ritmata messa in scena, un contenitore di tutti gli elementi più in voga nel decennio. La trama si annulla tra le musiche, le sempre ottime interpretazioni del duo Amitabh Bachchan / Vinod Khanna e gli iperbolici inseguimenti, l’effetto globale è tuttavia più grazioso che caotico. Hera Pheri divenne a suo tempo uno straordinario successo, oggi forse riesce ad essere pienamente appagante solo per gli appassionati del genere mentre ad una seconda visione vengono a galla quei difetti che lo trattengono dal posizionarsi sulla stessa linea d’onore riservata ad altri titoli.

Il mio giudizio sul film *** 3/5


ANNO : 1976

TRADUZIONE DEL TITOLO: misfatti

REGIA : Prakash Mehra

CAST
Amitabh Bachchan……………….. Vijay
Vinod Khanna ………………… Ajay
Saira Banu ……………………………… Kiran
Sulakshana Pandit ……………………. Asha
Shreeram Lagoo ……….. il commissario Khanna
Pinchoo Kapoor ………………. PK


COLONNA SONORA : Kalyanji – Anandji
PLAYBACK SINGERS : Asha Bhosle, Mahendra Kapoor, Kishore Kumar, Lata Mangeshkar


QUALCOS'ALTRO

Sulakshana Pandit, attrice e cantante, è la sorella  di Vijeyta Pandit  (Love Story) e dei compositori Jatin & Lalit autori di molte colonne sonore indimenticabili come Dilwale Dulhania Le Jayenge, Kuch Kuch Hota Hai e Kabhi Kushi Kabhie Gham.

Nel 2000 Priyadarshan dirige un film intitolato Hera Pheri con Akshay Kumar, Tabu,  Paresh Rawal e Sunil Shetty ma non si tratta di un remake.

15 settembre 2011

BBUDDAH HOGA TERRA BAAP



Nessun vero salto nel passato, nessuna formula tipica dei masala movies Anni ’70 come gli slogan pubblicitari avevano promesso. Seppur girato in hindi per il mercato bollywoodiano Bbuddah Hoga Terra Baap è un film d’impronta telegu diretto da un regista telegu, Puri Jagannadh, fan innamorato di Bachchan che è cresciuto guardandolo sul grande schermo ed ha atteso il momento di poterlo avere in un suo progetto. Piuttosto che dichiararsi un omaggio ai celebri titoli della carriera della superstar il film mostra un’altra vocazione: regalare all’attore un nuovo avatar sempre giovane e sexy a partire da una dissacrante risata sugli anni che passano.

TRAMA
L’ ufficiale di polizia Karan (Sonu Sood) promette di distruggere il nucleo operativo di una banda terroristica nell’arco di soli due mesi, la notizia preoccupa il boss Kabir (Prakash Raj) che intimorito dalla determinazione del ragazzo decide di trovare qualcuno in grado di farlo fuori prima che possa scoprirli. Fa il suo ingresso in scena quindi Vijju (Amitabh Bachchan) un gangster che per anni ha vissuto a Parigi in completo anonimato ma pronto a tornare a Mumbai perché qualcosa lo richiama con urgenza. E’ lui l’infallibile sicario che Kabir sta aspettando?

Trasformarsi in eroi di altre cinematografie indiane sta diventando una moda a Bollywood negli ultimi anni, Salman Khan ha aperto la pista con la sua lunga serie di remakes (Wanted, Ready, Bodyguard e presto Kick) Ajay Devgan si è fatto contagiare (Singham) , John Abraham vuole provarci (Force) e anche Big B non ha saputo resistere.
Dopo aver superato la delusione della prima mezz’ora, quando ci si accorge che il film ha ben poco a che vedere con lo spirito dell’angry young man dei vecchi film cult, si può iniziare a rivalutare BHTB guardandolo come un disimpegnato contenitore di puro intrattenimento, girato in modo accattivante e dotato di scene tutt’altro che noiose. Amitabh, il divino, delizia il pubblico che di lui non può stancarsi mai, conquista con la sua conversazione brillante e sfoggia un savoir fair magnetico capace di nascondere anche gli evidenti buchi della trama. Non è difficile capire come mai quest’uomo, alla soglia dei settanta anni risulti sexy anche agli occhi delle giovanissime. Il guardaroba scelto per Vijju è esagerato, kitsch ma irresistibile, dai completi bianchi ai jeans strappati, dagli impavidi accostamenti di colore tra camicie e foulard tropicali, fino agli immancabili occhiali da sole. La piacevole caratterizzazione del personaggio è scandita da gesti ricorrenti e citazioni di dialoghi dei suoi film (ma anche da Bunty aur Babli del figlio Abhishek), le riprese sono dinamiche e i ritmi veloci, le scene d’azione ben orchestrate, il movimentato bluff finale ci regala un action-Bachchan scatenatissimo.
Sonu Sood sfrutta il momento favorevole post- Dabangg per firmare contratti, la somiglianza fisica tra lui e Big B rende il loro legame interessante e la divisa gli dona da morire. La squadra dell’overacting selvaggio è capitanata invece da Raveena Tandon, nel film una mamma svampita dal sex appeal ancora ruggente, peccato che la sua item song “Chandigarh di Star” sia stata girata solo a scopo promozionale e non inclusa nella versione finale della pellicola. In prestito dalle cinematografie del Sud il villain per eccellenza Prakash Raj, che purtroppo ha solo un piccolo ruolo, e la giovane Charmee, ragazzina maschiaccio impegnata soprattutto nell’industria telegu.

Il mio giudizio sul film : *** 3/5


RECENSIONI
THE TIMES OF INDIA ***1/2   3,5/5
Bbuddah Hoga Terra Baap è un divertente recital di Amitabh Bachchan. Non curatevi del titolo, di sicuro uno dei peggiori della sua filmografia, e guardate oltre l'ingannevole sfumatura pulp: finirete con l'assaporare una pellicola che mostra ampiamente il perchè Bachchan sia il più grande showman che l'industria cinematografica indiana abbia mai prodotto. BHTB non è il miglior film di Bachchan e non può essere paragonato ai suoi classici, tuttavia è davvero piacevole, e l'attore non cessa mai di meravigliare con la sua gamma di istrionismi. A dispetto dell'età, cattura l'attenzione con le scene d'azione, i camei comici, le canzoni romantiche (con Hema Malini), i duelli sensuali (con Raveena Tandon), i lampi emotivi, l'audacia, e il suo chiassoso senso sartoriale. Bachchan torreggia sullo schermo come un colosso. BHTB presenta certamente delle lacune, ma possiamo ignorarle con facilità.
Nikhat Kazmi, 01.07.11 (testo originale)


HINDUSTAN TIMES **  2/5
Il protagonista di Bbuddah Hoga Terra Baap è una triste parodia dei personaggi interpretati in passato da Amitabh Bachchan. L'abbigliamento vistoso e il contegno cozzano con la sua età (e con quella di chiunque altro, per la verità). Anche il poliziotto (Sonu Sood) sembra una versione povera del Bachchan degli anni settanta. La traccia comica può occasionalmente far sorridere. In base alla statistiche, circa il 70% degli indiani è nato dopo Sholay, e quindi ha poca dimestichezza con le battute scritte da Salim-Javed per il ruolo classico di Bachchan, l'affascinante angry young man di Deewaar. Negli anni settanta le sceneggiature erano irrilevanti: il personaggio bastava. Sfortunatamente anche il regista Puri Jagannadh è un imperturbabile, accecato fan di Bachchan, e con BHTB ha realizzato un lungo tributo al suo attore protagonista. Ma a questo angry young man manca qualcosa.
Mayank Shekhar, 01.07.11 (testo originale)


ANNO : 2011

TRADUZIONE DEL TITOLO : Vecchio sarà tuo padre (Vecchio chiamaci tuo padre..)

REGIA : Puri Jagannadh

CAST:
Amitabh Bachchan ……………. Vijju
Sonu Sood …………….. Karan
Charmee ………………… Amrita
Prakash Raj ……………………. Kabir
Sonal Chahuan ……………….. Tanya
Hema Malini …………………… Sita
Raveena Tandon ……………….. Kamini


COLONNA SONORA : Vishal & Shekhar
PLAYBACK SINGERS : Amitabh Bachchan, Vishal Dadlani, Sinidhi Chahuan, Shekhar Ravijani, Monali Tahakur, Abhishek Bachchan (“Go Meera Go”)

SITO UFFICIALE DEL FILM : BigBisback.com 


QUALCOS’ALTRO :

Il titolo precedentemente scelto era Bbuddah

Puri Jagannadh è un apprezzato regista telegu celebre per aver diretto Pokkiri con Mahesh Babu e Ileana, Prabhu Deva ha curato il remake hindi del film, Wanted, scegliendo Salman Khan come protagonista.

Amitabh Bachchan e Hema Malini erano già apparsi sullo schermo in Baghban,  il titolo che li ha riuniti professionalmente dopo un lungo intervallo.

Sonal Chahuan, lanciata in Jannat al fianco di Emraan Hashmi, è riuscita a soffiare il ruolo di Tanya a Kangna Renaut.

Video : Press Conference, Intervista a Sonu Sood, Hema MaliniSonal Chahuan & Raveena Tandon, Amitabh Bachchan e Abhishek durante la promozione del film.

Il divertente rap “Go Meera Go”, cantato da Amitabh e Abhishek Bachchan è un remix di alcune famose canzoni degli anni ’70-’80: Don ("Khaike Paan Banaras Walla") , Silsila ("Rang Barse") , Yaraana ("Saara Zamana"), Namak Halaal ("Pag ghunghroo bandh")