30 dicembre 2011

DON 2

Siete in vacanza e vi state riposando inconsapevoli? State smaltendo le abbuffate festive disinteressati a quel che succede nel resto del mondo?
Oppure siete tornati alla quotidianità ma rimanete ignari, assorbiti dai noiosissimi doveri di sempre?
Se ancora non lo sapete: THE KING IS BACK.
Prendete il primo aereo per Mumbai, per Londra o per qualsiasi altro posto civilizzato del pianeta (le Fiji, per esempio!) e senza mangiare, dormire o avvisare la mamma che siete atterrati sani e salvi, andate a vedere Don 2. 
Dopo, non sarete più gli stessi.

TRAMA

Don (Shah Rukh Khan, e chi altri?) è da cinque anni il dominatore della malavita di tutta l'Asia. Con la sua ascesa ha messo in crisi i trafficanti di droga che operano sul mercato europeo e per i quali rappresenta uno scomodo concorrente. Ha più nemici che amici, molti lo vogliono morto. Decide, quindi, di consegnarsi alla polizia della Malesia proponendo un accordo ad una vecchia conoscenza, la "wild cat" Roma (Priyanka Chopra), e all'ispettore Malik (Om Puri).
Don viene arrestato ma in carcere ritrova (non per caso) Vardhaan (Boman Irani).

RECENSIONI

The Times of India ****
Don è tornato col suo caratteristico savoir faire. Don 2 è un classico action/crime thriller che lascia senza respiro. La trama, soprattutto, è finemente costruita, e ogni colpo di scena va a comporre un complesso puzzle. Muovendosi dalla Thailandia alla Malesia a Zurigo a Berlino, il film vi sfida a saltare a bordo e condividerne la velocità, seguendo con attenzione gli exploit del suo fascinoso protagonista: un gangster che oscilla fra il Tom Cruise di Mission: impossible e James Bond, senza rinunciare però al carisma desi. Il punto di forza di Don 2 è il modo in cui Shah Rukh Khan delinea il suo personaggio: arrogante, svelto, vizioso, selvaggio, temerario. Shah Rukh rimane sempre al comando e non perde mai l'equilibrio, nemmeno durante le sequenze drammatiche o d'azione. E le scene d'azione costituiscono l'altro punto di forza di Don 2. Gli inseguimenti, i combattimenti, le distruzioni, le irruzioni, le fughe sono tutte realizzate con un'abilità che rivaleggia con il meglio di Hollywood. Semmai al film manca un certo quoziente emotivo, e alle relazioni umane è data scarsa possibilità di crescere. I dialoghi sono brillanti. La colonna sonora mediocre.
Nikhat Kazmi, 22.12.11
La recensione integrale.

Hindustan Times *1/2
Viaggiamo con Don in Thailandia, Malesia e Svizzera. I panorami sono stupendi. Ma vorremmo vedere oltre. Dopotutto Don 2 è un film, non un immobile in vendita. Don è un gangster solitario che agisce per se stesso. Di solito sceneggiature di questo tipo nascondono retroscena atti a catturare la simpatia dello spettatore. Don 2 no. Boman Irani ha lo sguardo sempre arcigno. Le sequenze d'azione, malgrado gli sforzi, sembrano disperatamente derivative, e rivelano il desiderio di assomigliare a quelle delle pellicole hollywoodiane ad alto budget. I confronti sono inevitabili. Mission: impossible 4 è interpretato dallo Shah Rukh Khan americano. Don 2 dal Tom Cruise indiano. Entrambi intorno alla cinquantina, stanno vivendo fasi simili nelle loro carriere. Entrambi hanno conquistato la loro quota di fan di sesso feminile devote ai film romantici e strappalacrime. Entrambi cercano pubblico fra i ragazzi e fra i giovani, lanciandosi in scene d'azione più o meno sensate. Ci si può avvicinare a prodotti come M:I 4 o Don 2 seguendo allegramente la corrente, senza preoccuparsi della plausibilità. Fatelo oppure no. Il primo Don era un remake del Don del 1978. Farhan Akhtar, fra i più talentuosi registi indiani, aveva reinterpretato una vecchia intelligente storia adattandola ad una scala visuale contemporanea. La sceneggiatura tesa di Salim-Javed possedeva una trama vincente. Quella di Don 2 solo sottotrame, stiracchiate e aggiunte via via l'una all'altra. Ma è dura procedere con vacua inventiva, e Don 2 sembra non finire mai.
Mayank Shekhar, 23.12.11
La recensione integrale.

Diana ***** 5/5
Nel 2006 Farhan Akthar sfida la leggenda vivente Amitabh Bachchan e dirige il remake di Don (1978). Nasce Don: the chase begins again: finale modificato, restyling dei protagonisti, delle locations e della colonna sonora; il look della pellicola diventa moderno e raffinato. Shah Rukh Khan, al massimo del suo charme, torna con successo ad un ruolo da villain. La parte calza a pennello al re di bollywood che la reinventa e se ne appropria.
Dopo cinque, lunghissimi, anni il sequel è inevitabile: Shah Rukh Khan nei panni di Don è materiale incandescente. Le possibilità di sviluppo sono infinite, l'occasione è ghiottissima. In più SRK e Farhan Akhtar insieme si divertono come bambini (guardare per credere la reciproca intervista sul sito del Times of India).
Don 2 rispetta lo stile di Don: the chase begins again e non delude le aspettative. Più azione, ritmo serrato, ottimi e spettacolari effetti speciali, è uno dei blockbuster indiani più vicini al cinema occidentale, a cui bollywood, certo, non ha mai avuto niente da invidiare. Con Don 2, però, anche gli irriducibili dell'action-movie made in Usa avranno pane per i loro denti.  Di gusto decisamente cosmopolita ma, per fortuna, della durata di oltre due ore, la pellicola sarà presente con una proiezione speciale alla 62° edizione del Berlin International Film Festival.
I palati più raffinati, cioè i sanguinari del cinema hindi, non si sentano traditi. La trama è intrigante, la regia è in mano ad uno dei "ragazzi" più stilosi e talentuosi sulla piazza (grazie Farhan!), il protagonista è di quelli che lasciano il segno. Don 2 è già mito.
Astenersi sassi e piante. A tutti gli altri (che come il Ligabue di Libera nos a malo "sono carne e sangue, insomma vivo"): BUON DIVERTIMENTO!

Il bello:
- Don, capello lungo e selvaggio, tira calci e pugni meglio di un campione di ju jitsu, indossando una chicchissima giacca di lino color caffè latte.
Don con la divisa da carcerato arancione, nel giro di una manciata di inquadrature, cancella decenni di cinema e diventa  il galeotto più impenitente, sfrontato e sexy di sempre.
Don, camminata pericolosamente dondolante, look neo dandy (il giacchino di pelle portato sotto il cappotto farà perdere qualche ora di sonno ai più sensibili), passeggia, a piede libero, per le strade di Berlino.
Don sigaretta in mano, avvolto voluttuosamente da una nebbia di fumo, che lancia occhiate compiaciute allo specchio.
Don, irresistibile seduttore, inafferrabile criminale. Don, sguardo lascivo e assassino, battute al vetriolo. Don, spietato, sardonico, arrogante, very cool, magnificamente controllato, improvvisamente collerico ed impetuoso, ghiaccio bollente.
D O N.
Le fanciulle facilmente impressionabili maneggino con cautela.

- Shah Rukh Khan che, poco prima del sesto minuto, lenisce i dolori e le frustrazioni di tutti i suoi fan italiani ripagando la loro abnegazione con poche semplici parole: italian restaurant...you know spaghetti bolognese, a glass of red wine, what? don't you like italian...what a shame...

- La D, di Don, tatuata sul braccio di Shah Rukh Khan, che è, tra l'altro, protetta da copyright.

- Il brano Zaraa dil ko thaam lo. Da vedere anche il making of.

- Hrithik Roshan compare nel film per un delizioso cameo. Si tratta di una manciata di minuti davvero gustosi.

Il brutto:
Il brutto? Ahahahahahahah.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Don - Shahrukh Khan
Roma - Priyanka Chopra
Ayesha - Lara Dutta
Sameer Ali - Kunal Kapoor
Vardhaan - Boman Irani
Om Puri as Malik
J.K. Diwan - Aly Khan
Jabar - Nawab Shah
Arjun - Sahil Shroff
Jens Berkel - Florian Lukas
Special Appearence - Hrithik Roshan

Scritto da Farhan Akhtar, Ameet Mehta e Amrish Shah

Diretto da  Farhan Akhtar

Prodotto da Farhan Akhtar, Ritesh Sidhwani e Shahrukh Khan

Musiche di Shankar-Ehsaan-Loy

Lyrics di Javed Akhtar

Coreografie di Vaibhavi Merchant

Distribuito da Reliance Entertainment

Anno 2011

AWARDS

Screen Awards:
- Popular Choice Male (Popular) - Shah Rukh Khan

ZeeCine Awards 2012:
- Best Actor (Jury) - Shah Rukh Khan

 CURIOSITA'

- Il sito ufficiale del film è super interattivo. E' possibile persino registrarsi con il proprio nome e partecipare come agenti alla cattura di Don.

- Don 2 è il primo sequel della carriera di SRK.
Per Farhan Akhtar è un ritorno alla regia dopo ben cinque anni d'assenza. Non si era più cimentato dietro la macchina da presa proprio da Don: the chase begins again.

- Don 2 è stato realizzato in 3D con la collaborazione di Chuck Comisky, già nel cast tecnico di Avatar e Sanctum.

- Molte delle frasi pronunciate da Don, nel primo film, sono diventate popolari e di culto. Una fra tutte: "Prendere Don non è difficile, è impossibile": un tormentone.
Durante la promozione del sequel sono stati diffusi diversi video con il titolo Don says, in cui sono raccolte le battute migliori di Don. La mia preferita? "Who says that miracles don't exist, take a close look at me". Video.
Per la gioia di fan e amanti dei gadget il marketing, inoltre, ha previsto l'uscita di un fumetto, Don: The Origin, che svela il background di Don e un videogioco su piattaforma Android e PlayStation 3.

- Un assaggio della bella colonna sonora: Hai ye maya, Mujhko pehchaanlo e Dushman mera Don.

- Per leggere gli articoli fino ad oggi dedicati a Don 2 da CinemaHindi e gustarsi il video della scenografica ripresa in cui SRK si lancia dal tetto del Park Inn Hotel in Alexanderplatz, a Berlino, clicca qui.

Il sito ufficiale del film.

29 dicembre 2011

ROOP TERA MASTANA



Roop Tera Mastana è uno dei tanti film interessanti naufragati nella produzione oceanica degli Anni Settanta, molti elementi stuzzicanti e i bizzarri twist della storia lo rendono un particolare esperimento di riciclaggio furbo dai risultati divertenti. La trama è guidata dal triangolo standard hero / heroine / villain ma il solito plot si rompe per lasciar spazio ad un continuo scambio di ruoli e doppi ruoli, l’architettura degli eventi è piacevole così come la colonna sonora, le scenografie, gli eccessi e i tocchi di esotismo.

TRAMA
Una ragazza povera (Mumtaz) viene obbligata a prendere il posto della principessa Usha affinchè un parente corrotto (Pran) incassi l’eredità che le verrà consegnata il giorno del suo diciottesimo compleanno, nel frattempo, Kishore (Jeetendra), il fidanzato  dell'ereditiera,  si accorge del piano in atto e vuole smascherare gli impostori.

Il lungo e variegato musical romantico dallo scenario barocco prende il titolo dal celebre brano “Roop Tera Mastana” che accompagnò una  scena cult del film Aradhana. La storia non manca di romanticismo e colpi di scena e nemmeno di canzoni nostalgiche e coreografie ammiccanti, il suo elevato dosaggio di sensualità, piuttosto alto se rapportato agli standard del tempo, rende il lungo tira e molla tra Usha e Kishore una love story meno patinata ma più intrigante e passionale.
RTM è uno di quei film dove tutto può succedere e tentare di attaccare qualsiasi etichetta di genere diviene un’impresa ardua se non impossibile, se Mumtaz è al tempo stesso la village belle,  l’aristocratica seduttrice e la vamp, Jeetendra si trova ad interpretare un doppio ruolo ancora più strampalato : il giovane principe viziato e il  goliardico padre chiacchierone.  L’eroe è spigliato e modaiolo, indossa jeans e indulge in costanti atteggiamenti da piacione, affascinante e sicuro come un vero bollywood hero deve essere, simpatico nelle scene comiche e pronto a saltare in qualsiasi direzione la storia voglia imboccare. Usha è soprattutto un sex symbol da capogiro, seguendo i cambiamenti del personaggio il suo guardaroba diviene più audace che mai, alle acconciature esagerate e agli abitini cuciti addosso si aggiungono vestaglie di pizzi e trasparenze, minigonne e cortissimi top. L'intesa tra le due star, Mumtaz e Jeetendra, è deliziosamente perfetta. Malgrado Pran abbia dovuto interpretare per decenni personaggi fin troppo simili tra loro ha regalato a ciascuno di essi qualcosa di indimenticabile, Ajit,  lo spregiudicato e impietoso bad boy è l'elemento che tiene cucita la storia ed impedisce alla narrazione di perdere la sua intensità.
La cornice diviene sempre più opulenta e stravagante, Khalid Akthar è stato assistente alla regia di Karim Asif durante le riprese di Mughal e Azam e questo ce lo può svelare anche la grandiosa sovrabbondanza di lussi e decorazioni che ha scelto per il suo film, troviamo ambienti splendenti, bizzarre statue in cartongesso, tendaggi,  veli e arredi che tradiscono la preferenza del regista per il luccicante artificio di set grandiosi costruiti con pazienza, regni perduti dell'escapismo e della contemplazione visiva.


Il mio giudizio sul film : *** 3/5


ANNO: 1972

TRADUZIONE DEL TITOLO: La tua bellezza fa perdere il controllo

REGIA: Khalid Akhtar

CAST
Mumtaz ……………….. Usha
Jeetendra ………………….. Kishore
Pran ………………………. Ajit
Malika ……………………. Champa
Aruna Irani appare per pochi secondi in una scena del film


COLONNA SONORA : Laxmikant & Pyarelal

PLAYBACK SINGERS: Kishore Kumar, Lata Mangeshkar, Mohammed Rafi

13 dicembre 2011

SAHIB BIWI AUR GANGSTER



Tigamanshu Dhulia, già noto per aver firmato la regia di Shargid, con Sahib Biwi aur Gangster diviene pittore di uno scenario decadente e passionale, un triangolo morboso di sesso e gelosia tra le pareti di una haveli più austera che regale. Il film è d’effetto e seduce al primo sguardo, lo storia falsamente pacata tradisce da subito un forte odore di benzina, tutto è pronto ad incendiarsi ad un minimo contatto con il fuoco.


TRAMA
Babloo (Randeep Hooda), autista al servizio di una famiglia nobile con implicazioni malavitose, è l’amante segreto di Madhavi (Mahi Gill) la moglie del padrone frustrata dalla mancanza di attenzioni del marito (Jimmy Shergill) che di notte visita la sua cortigiana, il giovane però mira molto più in alto e da giocattolo nelle mani di una donna annoiata vorrebbe trasformarsi in leader dell’intera proprietà.


Stucchi scrostati, pareti annerite e fiori marci, stanze che sanno di alcol e fumo, nascosta nella selva ed ingrigita dagli anni la vecchia dimora nobiliare sembra un corpo il lenta decomposizione, nemmeno i divertimenti sessuali e le ambizioni di potere riescono a colmarne il vuoto, la crisi economica e il silenzio incessante. Sahib Biwi aur Gangster non è un film d’azione in senso stretto ma ogni sequenza si dimostra un attimo saliente, il narratore incuriosito ed eccitato guida la storia con ambiguità verso un non-finale, i personaggi si lasciano possedere dai loro lati oscuri, non si svelano, degenerano nelle proprie passioni e debolezze.
Randeep Hooda , Mahi Gill e Jimmy Shergill compongono un triangolo incandescente e distruttivo. Il profilo di Madhavi distesa sul letto ricorderà la ricerca di attenzioni di Chote Bahu in Sahib Biwi aur Ghulam ma questa volta la moglie tradita, sontuosamente avvolta in seta e gioielli, non sarà la vittima quanto il carnefice della storia, l’elemento da nascondere e sopprimere diviene un serpente che uccide nel suo abbraccio. Il classico a cui si ispira aleggia sopra al film come uno spettro, il regista interpreta in modo originale alcuni spunti e atmosfere del capolavoro di Abrar Alvi & Guru Dutt ma smentisce tutto creando situazioni opposte. Dalla pellicola in bianco e nero viene ripreso lo schema base dei personaggi: un servitore di umili natali assoldato dal signorotto dell’haveli, un nobile che si culla nella sua decadenza e si intrattiene con una cortigiana, una moglie dimenticata schiava dell’alcolismo, una ragazza vivace al servizio della famiglia che crea un legame di amicizia/attrazione con il protagonista. L’identità di tutte le figure si disegna da una storia già nota ma si evolve in modo assolutamente autonomo e nuovo, i dialoghi più che drammatici si rivelano ricchi di doppi sensi e umorismo nero. Malgrado la colonna sonora non sia troppo efficace l’ottima messa in scena e le interpretazioni continuano a stregare, tra attrazioni letali, pericoli e depistaggi la trama avanza senza passi falsi e compie un’impetuosa ascesa.

Il mio giudizio sul film : **** 4/5



RECENSIONI

HIDUSTAN TIMES ***1/2  3,5/5
Randeep Hooda, il raffinato attore protégé di Naseeruddin Shah, possiede un solido talento per la recitazione, sprecato in passato in pellicole di terza classe. Sahib Biwi Aur Gangster gli rende finalmente giustizia. Randeep si rianima con una performance convincente e sicura in un film un po' teatrale e un po' sovraccarico da un punto di vista drammatico. E' la sceneggiatura ad emergere e a mantenere viva l'attenzione del pubblico, con i suoi intrighi e i suoi colpi di scena. Una sceneggiatura che possiede anche logica a sufficienza da non imbarazzare l'intelligenza dello spettatore. Il titolo della pellicola si ricollega a Sahib Bibi Aur Ghulam di Guru Dutt, ma ricorda maggiormente Maqbool di Vishal Bhardwaj, forse per quel senso generale di storia tragica simile aMacbeth, o forse per l'attrice protagonista, Mahie Gill, che assomiglia in modo sfacciato a Tabu (però con metà della sua bravura). SBAG è ammirevolmente ispirato.
Mayank Shekhar, 29.09.11  (Testo originale)


THE TIMES OF INDIA **** 4/5
Sahib Biwi Aur Gangster è un adattamento del classico di Guru Dutt Sahib Bibi Aur Ghulam, la cui storia viene rielaborata e ambientata in un contesto di nobiltà in decadenza e doppio gioco criminale. Il film è assolutamente da vedere per due ragioni. La prima: è intriso di atmosfere e umori che creano un nuovo mondo, in qualche modo familiare ma del tutto intrigante. Un quadro dalle tonalità color seppia che avrete ammirato diverse volte nei musei e nei palazzi storici. In mezzo al nulla vivono l'arrogante discendente reale e la sua tempestosa consorte, altrettanto altezzosa. La tragedia e l'ironia rivestono le mura della magione, ma sembra che nessuno sia in grado di leggerne i segnali. La seconda ragione risiede nelle affascinanti interpretazioni. Jimmy Shergill, Mahie Gill e Randeep Hooda costituiscono un trio seducente che coinvolge grazie all'imprevedibilità delle sue azioni. Il regista Tigmanshu Dhulia possiede un occhio allenato per i dettagli, e costruisce con meticolosità l'evoluzione dei suoi personaggi. Shergill è il ritratto perfetto e vigoroso del potere sull'orlo della caduta. Mahie Gill è la quintessenza della donna enigmatica che ha raffinato l'arte del sotterfugio e della finzione. Randeep Hooda è la ciliegina sulla torta: davvero ipnotizzante nel ruolo del piccolo opportunista e arrampicatore sociale privo di scrupoli. SBAG è un dramma finemente realizzato, con un ritmo da thriller, che cattura l'attenzione del pubblico. Godetevi l'esperienza di una storia rivisitata e ben raccontata. Non vi piace il cinema banale? Allora apprezzerete la diversità di SBAG.
Nikhat Kazmi, 29.09.11 (Testo originale



ANNO: 2011

TRADUZIONE DEL TITOLO : Il signore, la signora e il gangster

REGIA : Tigamashu Dhulia


CAST
Randeep Hooda ……………. Babloo
Mahi Gill …………………. Madhavi
Jimmy Shergill ………………. Aditya Pratap Singh
Deepal Shah ……………….. Suman
Shreya Narayan ……………… Mahua
Vipin Sharma ……………….. Gainda Singh



La COLONNA SONORA nasce dalla collaborazione di vari artisti : Amit Sial, Sunil Bhatia, Jaidev Kumar, Anuj Garg, Abhishek Ray, Ankit Tiwari, Mukhtar Sahota

PLAYBACK SINGERS: Shreya Goshal, Parthiv Gohil, Babbu Mann, Shail Hada, Rekha Bhardwaj, Vipin Aneja, Ankit Tiwari, Arif Lohar, Debojit Saha.

SITO UFFICIALE DEL FILM  Sahibbiwiaurgangster.com 


QUALCOS'ALTRO: 

Tigmanshu Dhulia è l'autore della sceneggiatura di Dil Se di Mani Ratnam, è stato direttore del casting per Bandit Queen di Shekhar Kapoor. Il prossimo lavoro del regista sarà Paan Singh Tomar, con Irfaan Khan, già presentato all'edizione 2010 del British Film Institute London Film Festival.

Video del Success Party a cui hanno preso parte le star e alcuni ospiti

Trailer del film.

Brevi interviste a Mahi Gill, Jimmy Shergill e Randeep Hooda : Radio Mirchi, Newsxlive, Talking Cinema with Taran Adarsh ((Parte 1, Parte 2, Parte 3)

08 dicembre 2011

NOT A LOVE STORY

Uscito la scorsa estate, l'ultimo film di Ram Gopal Varma è ispirati all'omicidio di Neeraj Grover. Un delitto che fece molto scalpore, per cui sono stati condannati  l'aspirante attrice Maria Susairaj e il suo compagno Emile Jerome Matthews.

TRAMA

Anusha Chawla (Mahi Gill) sogna di diventare una star. Il fidanzato Robin (Deepak Dobriyal), pazzo di lei, accetta che si trasferisca a Mumbai, per un limitato periodo di tempo, nel tentativo di sfondare.

RECENSIONI

The Times of India ***
Basato sul noto caso dell'attrice kannada Maria Susairaj, del suo fidanzato Jerome Matthew e del funzionario televisivo assassinato Neeraj Grover, Not a love story è un film sconvolgente perchè mostra i recessi brutali e oscuri di persone dall'apparenza normale. Ed è questo il punto di forza di NALS. Artisticamente forse non è il lavoro migliore di Ram Gopal Varma, ma l'esperienza che offre è agghiacciante. Gli assassini non provano mai rimorso, nè temono la punizione: vivono le loro vite come se nulla fosse accaduto. NALS si conclude bruscamente e lascia allo spettatore un senso di incompiutezza, però cattura l'attenzione. Sia Mahie Gill che Deepak Dobriyal infondono realismo nei loro personaggi. Il commento musicale crea un linguaggio suo proprio.
Nikhat Kazmi, 19.08.11
La recensione integrale.

Hindustan Times **
Ad alcuni le immagini in movimento causano una genuina emicrania. O almeno quelle contenute in Not a love story potrebbero farlo. La camera oscilla alla velocità della luce e la testa gira. Vi sono film di serie A, perlopiù determinati dalla popolarità delle star presenti nel cast, e quindi dal budget. E vi sono film di serie B, adorabilmente di cattivo gusto. Negli ultimi anni i lavori di Ram Gopal Varma si sono meritati una categoria del tutto propria. Dai tempi di Sarkar Raj (2008), NALS è la prima pellicola di Varma tratta da una sceneggiatura o comunque da un soggetto accattivante. E la location è il cuore della capitale pop-culturale indiana: la repubblica semi-indipendente di Andheri (*). La vicenda si basa sul sensazionale caso di omicidio di Neeraj Grover (2008), di cui anche i media in lingua inglese si occuparono principalmente per due ragioni (nessuna delle quali aveva a che fare con un cadavere in una borsa di plastica: un altro corpo è stato rinvenuto nelle medesime condizioni la mattina prima della distribuzione di NALS senza che il ritrovamento abbia eccitato i giornali di Mumbai). La prima: il contesto. La donna (Maria Susairaj) era un'aspirante attrice e l'uomo assassinato un funzionario di una casa di produzione. Poche professioni generano tanta curiosità nel pubblico quanto quelle correlate allo spettacolo, alla polizia e alla politica. La seconda: i dettagli macabri. Si presume che la donna e il suo fidanzato (Emile Jerome) consumarono un rapporto sessuale subito dopo aver commesso il crimine, nello stesso appartamento. Varma ha dunque raccolto un buon soggetto, e riesce a catturare l'attenzione dello spettatore. L'ambientazione è realistica. L'omicidio, narrato nel primo tempo, viene giustamente rappresentato con considerevole misura. Ma in seguito il regista sembra confuso su come proseguire, e l'imbarazzo si vede. NALS poteva imbastire una storia sulle procedure di polizia, sull'esempio di Black friday di Anurag Kashyap. Sono stati pubblicati degli estratti dal libro non ancora distribuito di Meenal Baghel, Death in Mumbai, dedicato appunto al caso di Neeraj Grover, nel quale l'autrice descrive l'insolita calma mostrata in pubblico da Maria ed Emile dopo l'omicidio. In NALS Zakir Hussain interpreta il ruolo dell'astuto ispettore capo, e la sua performance regala la parte migliore del film. Poi, improvvisamente, i due amanti vengono trascinati in tribunale. I genitori del defunto appaiono come personaggi irrilevanti. NALS non scava in profondità nè nei giovani protagonisti che inseguono un sogno nel mondo dello spettacolo, nè nelle raggelanti procedure di un infame caso di polizia, ma si limita a rappresentare il dramma così come riportato dai tabloid scandalistici. La narrazione è prevedibilmente lineare. Uno spreco. Consiglierei piuttosto di leggere il testo di Meenal Baghel.
(*) Andheri è un sobborgo di Mumbai (nota di Cinema Hindi).
Mayank Shekhar, 19.08.11
La recensione integrale.

Diana *** 1/2
Not a love story è un film, non è una ricostruzione o un'inchiesta. Il fatto di cronaca a cui è dichiaratamente riferito è solo una fonte d'ispirazione; per convincersene basta andare al cinema. Di Maria Susairaj e Emile Jerome Matthews ci si dimentica subito, perchè, per quanto efferato, il delitto in cui sono coinvolti è pittosto banale. A RGV non importa essere fedele alla realtà, nè offrire uno spettacolo che soddisfi la morbosa curiosità del pubblico. La vicenda in sè, infatti, non è interessante quanto la realizzazione. E' il regista e non il tema a fare la differenza.
Un delitto in fondo poco significativo diventa Cinema passando per le mani di RGV, amante delle figure di donna forti e complesse, maestro della cinepresa, capace di regalare allo spettatore inquadrature di grande impatto, intriganti e memorabili.

Il bello:
- La visione di RGV.
- La passione insana tra Anusha e Robin.

Il brutto:
- I due personaggi principali sono criminali spietati ma dilettanti. Commettono un errore dopo l'altro.
In questo caso però ciò che conta non è la storia.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Anusha Chawla - Mahi Gill
Robin Fernandes - Deepak Dobriyal
Ashish Bhatnagar - Ajay Gehi
Sam- Mahesh Thakur 
Anju - Prabhleen Sandhu
Ispettore Mane - Zakir Hussain
L'avvocato di  Anusha - Darshan Jariwala
L'avvocato di Robin - Ganesh Yadav
Savitri (la madre di Ashish) - Rasika Joshi

Scritto da Rohit G. Banawlikar

Diretto da Ram Gopal Varma

Prodotto da Sunil Bohra, Shailesh R. Singh e Kiran Kumar Koneru

Musiche di Sandeep Chowta

Distribuito da Bohra Bros Prod. Pvt. Ltd.

Anno 2011

CURIOSITA'

- I due bravi protagonisti, Mahi Gill e Deepak Dobriyal, vantano una filmografia di tutto rispetto. Mahi Gill ha vinto un Filmfare Critics Award for Best Actress nel 2010 per Dev D ed è nel cast di Gulaal, Dabangg, Utt Pataang e Saheb Biwi Aur Gangster. Deepak Dobriyal si è aggiudicato un Filmfare Special Performance Award nel 2006 per Omkara e nel 2010 un Apsara Award for Best Performance In Negative Role in Gulaal.

- Not a love story è stato completato in soli 20 giorni e parzialmente girato a Dheeraj Solitaire, l'edificio nel quale nel 2008 fu assassinato Neeraj Grover.

 - Una delle canzoni della colonna sonora del film è il riarrangiamento di Rangeela Re, notissima pezzo tratto da uno dei film migliori e più popolari di Ram Gopal Varma, Rangeela.
Ecco il video originale di Rangeela Re, protagonista Urmila Matondkar. E quello tratto da Not a love story.

- Sia Maria che Jerome Matthews hanno inviato a Ram Gopal Varma e al produttore Sunil Bohra una comunicazione tramite avvocato con la richiesta di abbandonare il progetto del film. Il regista ha più volte dichiarato che la pellicola non tratta la storia di Neeraj Grover ma è solo fiction.
L'articolo integrale.
L'intervista a RGV di Bollywood Hungama.

Il sito ufficiale del film.

07 dicembre 2011

HERA PHERI (1976)



Bische clandestine, birre e bluff, l’eleganza stratosferica di Big B e set opulenti e fantasiosi. Hera Pheri, diretto da Prakash Mehra, regista del ruggente Zanjeer, è un eccitante mescolarsi di generi diversi la cui sola vocazione è l’intrattenimento, per gli spettatori di ieri una piacevole esibizione degli attori più amati , per gli odierni appassionanti di vintage una bibita fresca con cui dissetarsi.

TRAMA
Ajay (Vinod Khanna) e Vijay (Amitabh Bachchan) sono disoccupati e imbroglioni di mestiere, i due indulgono in divertimenti e vizi fino al giorno in cui Ajay perde la testa per Asha (Sulakshana Pandit)  figlia di un ufficiale di polizia. I tentativi del giovane di cambiare vita si intrecciano alle pericolose seduzioni di Kiran (Saira Banu) ragazza avvenente assoldata dal nemico di Vijay per distrarlo ed ottenere informazioni.

HP non sarà un film cult ma si lascia facilmente amare soprattutto se si hanno già nel cuore Amitabh Bachchan, Vinod Khanna e lo spirito delle pellicole dei Seventies. La storia confusionaria se non fosse stata diretta da Mehra difficilmente avrebbe funzionato così bene, la mano del regista si sente nei momenti in cui il film esce dalla sua leggerezza e acquista sfumature diverse, si riconosce  nell’uso del fermo immagine a creare attesa e tensione ma ancora di più nella costruzione della scena drammatica affidata al fuoriclasse Bachchan, un commovente delirio di sfiducia nella spiritualità che lascia ipnotizzati allo schermo. Le caratteristiche della sequenza più intensa del film ci confermano ancora una volta che dietro alla cinepresa era seduto uno dei più grandi autori degli Angry Years.
Riconosciamo le palme di Juhu e le strade di Mumbai, si respira un clima di positività e una contagiosa sensazione di abbandono. Ci sono duetti romantici, imbrogli, imprevisti, parentele da ricostruire, misteriose identità, un’amicizia fortissima che improvvisamente s’incrina per ragioni che capiremo solo alla fine, una madre anziana malata e traumatizzata da uno shock, un villain cattivissimo in cerca dell’identità del figlio perduto. Abbondano gli elementi da gangster story e le stravaganze, Helen si esibisce con movimenti procaci, le due eroine Sulakshana e Saira si adornano con lunghe code di extension, la macchina da presa gira intorno ai protagonisti durante le scene di danza e i set sono costruiti con ammirevole eccentricità: statue di cartapesta , quadri e scaloni monumentali, pareti munite delle più incredibili fessure da cui spiare, casinò superkitsch e lampadari scintillanti.
Non tanto un film quanto uno show, una vivace e ritmata messa in scena, un contenitore di tutti gli elementi più in voga nel decennio. La trama si annulla tra le musiche, le sempre ottime interpretazioni del duo Amitabh Bachchan / Vinod Khanna e gli iperbolici inseguimenti, l’effetto globale è tuttavia più grazioso che caotico. Hera Pheri divenne a suo tempo uno straordinario successo, oggi forse riesce ad essere pienamente appagante solo per gli appassionati del genere mentre ad una seconda visione vengono a galla quei difetti che lo trattengono dal posizionarsi sulla stessa linea d’onore riservata ad altri titoli.

Il mio giudizio sul film *** 3/5


ANNO : 1976

TRADUZIONE DEL TITOLO: misfatti

REGIA : Prakash Mehra

CAST
Amitabh Bachchan……………….. Vijay
Vinod Khanna ………………… Ajay
Saira Banu ……………………………… Kiran
Sulakshana Pandit ……………………. Asha
Shreeram Lagoo ……….. il commissario Khanna
Pinchoo Kapoor ………………. PK


COLONNA SONORA : Kalyanji – Anandji
PLAYBACK SINGERS : Asha Bhosle, Mahendra Kapoor, Kishore Kumar, Lata Mangeshkar


QUALCOS'ALTRO

Sulakshana Pandit, attrice e cantante, è la sorella  di Vijeyta Pandit  (Love Story) e dei compositori Jatin & Lalit autori di molte colonne sonore indimenticabili come Dilwale Dulhania Le Jayenge, Kuch Kuch Hota Hai e Kabhi Kushi Kabhie Gham.

Nel 2000 Priyadarshan dirige un film intitolato Hera Pheri con Akshay Kumar, Tabu,  Paresh Rawal e Sunil Shetty ma non si tratta di un remake.

30 novembre 2011

ADAMINTE MAKAN ABU



Il film che ha conquistato festival nazionali e internazionali, National Awards ed è stato selezionato a rappresentare l’India alla prossima edizione dei Premi Oscar, si apre e si chiude in soli 105 minuti e nasce dalla creatività di un agente di viaggi che sogna il cinema, un regista debuttante che ha aspettato con pazienza il momento giusto, e i fondi, per ridare vita alle sue ambizioni. A giudicare dai tanti riconoscimenti tempestivamente ricevuti (e dai pareri pressoché unanimi dei critici) si tratta di un ingresso trionfale.

TRAMA
Abu (Salim Kumar) e la moglie Aishumma (Zarina Wahab) sono anziani e vivono da soli nella loro casa in periferia, il figlio Sattar dopo aver lasciato il Kerala per inseguire una brillante carriera a Dubai è scomparso dalle loro vite dimenticandoli completamente. Pur essendo amareggiati dalla nostalgia e dalla mancanza di mezzi economici, i due continuano a sognare di poter partire per il pellegrinaggio a La Mecca e realizzare così il loro più grande desiderio.

Albe e tramonti nella campagna, autobus congestionati nei parcheggi delle città, le lunghe attese di Abu, uomo dagli occhi vitrei e dalla pelle scura,  venditore ambulante di essenze e libri sacri ormai stanco di camminare accompagnato dal suo ombrello e dalla valigia di prodotti, le ansie e le paure di Aishu, la moglie che non ha mai smesso di preoccuparsi quando lui tarda anche solo un’ora nel tornare a casa. La vita dei protagonisti è scandita dai ritmi regolari della preghiera, si perde il senso del tempo, le notti e i giorni si assomigliano.
Abu e Aishu condividono un rapporto profondissimo che negli anni non ha fatto che consolidarsi, i due sono stati fedeli compagni, sono invecchiati insieme e continuano a dividere le emozioni, le insonnie, lo stesso entusiasmo, gli stessi sogni. Li unisce ancora una volta il pensiero di poter coronare le proprie vite intraprendendo Il Viaggio della Fede. Per portare avanti una nobile causa i due sono costretti a passare attraverso i cavilli della burocrazia, pagare mazzette per veder confermato il passaporto e vendere la mucca e il vitello a cui erano affezionati, le necessità materiali iniziano a scontrarsi con la motivazione spirituale e l’ansia di riuscire a partire li spinge a decisioni sbagliate. Il crescere delle aspettative della coppia ci mostra come sognando qualcosa così tanto si finisca per venir assorbiti dal desiderio, recarsi a La Mecca diviene un’esigenza interiore ma anche un evento capace di completare la loro esistenza, un progetto che li stringe l’uno all’altra, una forza che aiuta a non sentire il dolore o la nostalgia del passato. Piccoli gesti d’affetto rivelano che l’unione tra i due non si è indurita con il passare degli anni ma ha mantenuto la tenerezza, la  spontaneità giovanile. Superare insieme le delusioni diviene meno amaro, lottare  per lo stesso obiettivo una gioia ancora più grande.
Mentre due villaggi si contendono la salma di un uomo virtuoso appena scomparso Abu va a ricercare l’anima del suo amico nei luoghi che lui amava e nei quali si sentiva più vicino a se stesso, il ricordo e lo spirito di Ustad accarezzano le spighe del grano che ondeggiano al vento quasi a suggerire che la presenza del divino può trovarsi in ogni luogo e in ogni cosa. Il film svolta poi verso una strada alquanto fatalista, leggendo i segnali che gli provengono dal mondo esterno il protagonista cerca di capire se è  predestinato o meno a realizzare il suo sogno. Gli eventi e la natura incitano nuove azioni o mettono in guardia rispetto a inaspettati o spiacevoli eventi futuri. Le immagini infondono vita nel paesaggio, nei campi e nelle piante, le tonalità fredde e l’uso ricorrente dei long shots catturano nella pellicola l’intensità della solitudine.Frustrati dal mancato raggiungimento della quota richiesta dall’agenzia i due scelgono di abbattere l’albero che fa ombra alla loro casa per ricavare denaro dal legno; non riuscendo a preservare una vita che doveva essere protetta Abu sente di aver compiuto un’azione sbagliata al fine di raggiungere uno scopo personale.
Adaminte Makan Abu sotto la sua atmosfera pacata nasconde una frenesia espressiva e un brulicare di pensieri, non ci si cala nel personaggio ma gli si vorrebbe stare accanto, tendergli la mano. Il film intero sembra il montaggio di una serie di attimi, situazioni che il regista  non spiega ma suggerisce, abbiamo solo pochi secondi per cogliere i significati delle immagini e delle espressioni. I flashback , veloci e non invasivi, non si diramano nella storia ma lanciano sensazioni rapide, frammenti di ricordi sufficienti a ricostruire il passato della coppia o a colmare con la propria immaginazione ciò che non viene mostrato.  E’ stato difficile per Salim Ahmed riuscire a portare avanti questo progetto perchè nessuno era pronto a  finanziare un debuttante che proponeva un film non - commerciale dai temi delicati e inconsueti. La storia si ispira a situazioni reali che il regista ha notato durante la sua esperienza al pubblico, centinaia di persone gli sono passate davanti desiderose di poter ottenere i mezzi per partire. Il film con la sua dolcezza è un antidoto all’islamofobia che ci mostra uno spaccato di vita quotidiana liricamente cantanto e capace di proporre una realtà domestica guidata dalla fede profonda, dall’amore coniugale, dal senso di responsabilità personale e dal rispetto della vita.

Il mio giudizio sul film : ***** 5/5


ANNO : 2011

LINGUA : Malayalam

TRADUZIONE DEL TITOLO : Abu figlio di Adamo

REGIA : Salim Ahmed


CAST
Salim Kumar ………………………. Abu
Zarina Wahab …………………….. Aishumma
Tampy Antony …………………. Ustad
Suraj Venharammud ……………………. Hyder
Mukesh ……………………….. l’agente di viaggi


COLONNA SONORA: Ramesh Narayan

PLAYBACK SINGERS : Shankar Mahadevan, Ramesh Narayan, Hariharan, Sujatha, Madhusree Narayan, Srinivas


QUALCOS’ALTRO:

Salim Kumar è un attore prevalentemente attivo nell'industria cinematografica del Kerala e impegnato soprattutto in commedie e ruoli di supporto. Adaminte Makan Abu segna il passaggio dell'artista in una nuova fase della sua carriera. Salim , nato nel 1968, è stato invecchiato da truccatori e costumisti per potersi calare nel personaggio di Abu. La sua performance nel film gli ha regalato il primo National Award, in ex aequo con Dhanush  (Aadukalam).

Zarina Wahab è stato il volto della madre di Rizwan Khan nel film di Karan Johar My Name is Khan / Il mio nome è Khan.

Abu, il protagonista, è un venditore di Ittar, profumi a base non alcolica ricavati dalla lavorazione di petali di fiori (normalmente rosa e gelsomino). I Nizam di Hyderabad furono tra i maggiori estimatori, e diffusori, del prodotto in India.  

Tra i numerosi premi e riconoscimenti attualmente conquistati : National Awards (Best Film, Best Actor, Best Cinematography, Best Background Score) , Kerala State Film Awards (Best Film, Best Actor, Best Screenplay, Best Background Score), Asia Vision Film Awards (Best Outstanding Indian Film, Best Actor).
Articoli di Cinema Hindi sull'assegnazione e premiazione dei National Awards 2011.

Adaminte Makan Abu è stato selezionato dal Film Federation of India per partecipare all'Edizione 2012 dei Premi Oscar nella categoria Miglior Film Straniero. Clicca qui per maggiori info.


25 novembre 2011

THAT GIRL IN YELLOW BOOTS

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia a settembre del 2010, That Girl in yellow boots, dopo aver partecipato a diverse rassegne, è uscito nelle sale ad un anno dalla prima proiezione, nel settembre del 2011.

TRAMA

Una ragazza inglese, Ruth (Kalki Koechlin), è a Mumbai in cerca del padre, Arjun Patel, che abbandonò la famiglia dopo il suicidio della figlia maggiore.

RECENSIONI

The Times of India ****
Non cercate mai qualcosa di prevedibile nella filmografia di questo originale regista che di rado vi deluderà. Perchè Kashyap tenta davvero di spingere le frontiere del cinema indiano contemporaneo, e crede genuinamente nel produrre pellicole nuove, diverse, consistenti. Ma Anurag ama anche scioccare il suo pubblico. La ricerca del padre scomparso da parte del personaggio interpretato da Kalki Koechlin è una storia triste e donchisciottesca di amore e nostalgia, con un climax che sconcerta. Ed è anche una sordida e tragica storia di incesto e di abusi sessuali, atti intrinseci di una società che ancora non sa come trattare le donne. Ma a colpire è soprattutto l'idioma cinematico di That girl in yellow boots. Il mondo della protagonista è chiuso, soffocante, buio. Kashyap presta la stessa attenzione agli aspetti tecnici e alla sceneggiatura (e allo sviluppo dei personaggi), e ciò rende i suoi film un'esperienza artistica e salutare. Da menzionare l'interpretazione di Kalki: l'attrice scivola letteralmente nel ruolo, ed esprime in modo naturale l'angoscia di un'anima sola e perduta.
Nikhat Kazmi, 01.09.11
La recensione integrale.

Hindustan Times **
Kalki Koechlin è un talento straordinario, l'ovvia musa del regista. Il suo personaggio è intrigante. La scenografia e le location sono ispirate e contemporanee in modo intelligente. La sceneggiatura talvolta si compiace nell'essere terra terra, ed è vivificata dal meraviglioso lavoro operato da Rajiv Ravi, il direttore della fotografia. Purtroppo la storia, debole e rigorosamente breve, non si combina bene. Molte domande rimangono senza risposta. Ma il mistero principale viene risolto, e solo allora si intuisce quanto il film sia migliore rispetto al suo scarno spunto. Peccato. Kashyap ultimamente sembra in gran forma. I suoi lavori come produttore includono Aamir, Shaitan, Udaan. Le sue due precedenti fatiche come regista sono state Dev D e Gulaal. In confronto, That girl in yellow boots è rapido, insoddisfacente, meno ambizioso.
Mayank Shekhar, 02.09.11
La recensione integrale.

Diana ***
E' impressionante la realtà di Mumbai mostrata da Kashyap, il mondo ai margini in cui si muove Ruth. I burocrati a cui la ragazza si rivolge sono sboccati e corrotti, il suo padrone di casa la ricatta, il fidanzato, Prashant, è un tossicodipendente e il gangster a cui Prashant deve del denaro pretende che lei ripaghi il debito.
Se il fondale sconcerta, il focus è sulla protagonista. Ruth, una straordinaria Kalki Koechlin, ha un passato tragico – il suicidio della sorella e l’abbandono del padre – lavora in uno squallidissimo “centro massaggi”, senza un permesso di soggiorno. Eppure la ragazza è forte, sopravvive da combattente in un ambiente ostile e, decisa, cerca le risposte di cui ha bisogno.
Un film molto personale per Kashyap e, forse proprio perché sentito, è il suo lavoro più faticoso.
Anurag sceglie di scioccare piuttosto che di sviscerare il soggetto. La regia è da fuoriclasse, come sempre, ma il film lascia in qualche modo insoddisfatti.  La storia è molto amara, lo squallore mostrato è avvilente e  la brevità della pellicola impedisce una trattazione più esauriente. Quasi un corto, That girl in yellow boots, sembra un'opera minore. Una pagina di diario.

Il bello:
- Il talento dietro la macchina da presa di Anurag Kashyap.
- La bravura di Kalki Koechlin.

Il brutto:
- Il senso dell'intero film è legato molto (troppo) al segreto svelato nel finale.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Ruth - Kalki Koechlin
Prashant - Prashant Prakash
Chittiappa - Gulshan Devaiya
Divakar  - Naseruddin Shah
Lynn - Kumud Mishra 
Divya - Divya Jagdale
Cameo di Makrand Deshpande e di Rajat Kapoor

Scritto da Anurag Kashyap e Kalki Koechlin

Diretto da Anurag Kashyap

Prodotto da Anurag Kashyap

Musiche di Naren Chandavarkar

Distribuito da IndiePix Films

Anno 2011

CURIOSITA'

- Durante la promozione del film Kalki girava spesso con indosso gli anfibi gialli di Ruth.
Ecco alcune immagini qui, qui e qui.

- That girl in yellow boots è stato realizzato in 13 giorni.

- Kalki Koechlin ha dichiarato di essersi  immedesimata nel personaggio: "sono cresciuta come donna dalla pelle chiara in India, ero sempre quella strana. C'era una sensazione di emarginazione che ne conseguiva; finivo per estraniarmi perchè ognuno mi trattava come una ragazza bianca e quindi considerata facile"
L'articolo integrale.

- That girl in yellow boots nel 2010 ha partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia, al Toronto International Film Festival, e al South Asian International Film Festival a New York.
Nel 2011 è stato proiettato al London Indian Film Festival.

- Un assaggio della bella colonna sonora di That girl in yellow boots.

- All'undicesimo minuto circa, una ragazza canticchia San Sanana dal film Asoka. Un video che vale sempre la pena di riguardare.

Il sito ufficiale del film.

16 novembre 2011

BOL

Un tuffo a Lollywood (il suffisso mutuato da Hollywood non risparmia nemmeno il cinema pakistano e, questa volta, viene adattato a Lahore, sede dell'industria cinematografica del Pakistan) con Bol.

TRAMA

Zainab (Humaima Malik) è in prigione, colpevole di omicidio. Prima di essere giustiziata chiede di poter raccontare la sua storia. E' la più grande di cinque figlie femmine in una famiglia modestissima di Lahore. Il padre, Hakim Sahib (Manzar Sehbai), è l'unico sostegno, mentre le donne, confinate tra le mura domestiche senza la possibilità di studiare o di rendersi indipendenti, diventano un peso. Quando arriva il tanto desiderato erede maschio, la levatrice confida ad Hakim che il bimbo è ermafrodita.

RECENSIONI

The Times of India ****
Bol racconta i problemi di una famiglia di classe medio-bassa di Lahore: povertà, ortodossia, potere repressivo dettato dal pregiudizio sessuale. Il punto più alto del film è rappresentato dal conflitto fra la figlia maggiore (Humaima Malik) e il padre legato alle tradizioni (Manzar Sehbai). Il regista Shoaib Mansoor sta rapidamente diventando il portabandiera del nuovo cinema pachistano. Aveva già catturato l'attenzione internazionale con Khuda Kay Liye, acclamata diatriba sul fondamentalismo e sul razzismo in un mondo post 11 settembre. Mansoor torna ora con Bol, un altro incisivo atto d'accusa contro la discriminazione sessuale. La pellicola è un tour de force, sia in termini di recitazione che di narrazione. La sceneggiatura è scioccante e ricca di colpi di scena. Humaima Malik è il ritratto perfetto della figlia ribelle che osa discutere col padre e persino adottare misure drastiche per assicurare che la giustizia prevalga. Manzar Sehbai è magnifico nel ruolo del tiranno che tenta disperatamente di preservare l'onore della famiglia nel rispetto di moribonde tradizioni. La forza della caratterizzazione del suo personaggio risiede nel fatto che non diviene mai la quintessenza del villain malgrado il suo comportamento. Va riconosciuto al regista il merito di non aver creato eroi positivi e negativi: il biasimo è destinato alla vecchia mentalità sociale e alla cieca ortodossia. Bol è un film da non perdere: attuale, provocatorio, serio.
Nikhat Kazmi, 01.09.11
La recensione integrale.

Hindustan Time ***1/2
Osservate l'intrattabile vecchio di Lahore rappresentato in Bol. I suoi antenati erano di Lucknow, località con cui egli stesso viene identificato. Può succedere solo in Pakistan, ove gli immigrati post-partizione sono ancora considerati stranieri. Il mestiere del vecchio è antico: prescrivere medicine preparate in casa. I pazienti sono scarsi, i figli da mantenere troppi. E tutte femmine, ormai grandi, non istruite, addomesticate con la forza, impotenti. Mezzo morto, il vecchio spera ancora in un maschio. Il suo intelletto, la sua medioevale visione del mondo, la sua compassione (o la sua mancanza di compassione), sono dettati da una fede cieca solo nella religione. Il vecchio è indubbiamente disprezzabile, eppure vi è qualcosa nel suo personaggio che lo fa emergere: la performance di Manzar Sehbai, che infonde nel ruolo convinzione, nobiltà innata, completa empatia fisica. Difficile immaginare un attore indiano, a parte forse Naseeruddin Shah, che potrebbe fare altrettanto. Il vecchio parla poco e crea una certa aura attorno a sè. E' un uomo, e quindi si ritiene violento per natura. L'unica che ha il coraggio di sfidarlo è la sua primogenita (meravigliosamente interpretata da Humaima Malik), che lo accusa di aver ucciso e non cresciuto otto figli. La metafora è corretta almeno per uno di loro. Il vecchio uccide suo figlio, ormai adulto, senza provare vergogna. Questo è il conflitto centrale nel primo tempo. La vita continua. In Bol ogni tragedia appare come una nuova opportunità da esplorare. Da questo punto di vista la sceneggiatura è strutturata in modo libero, come un romanzo in espansione, un tour de force letterario. Di rado il pubblico viene a conoscenza delle possibilità di un film. Con Bol succede. Forse dipende dal luogo di origine. Per la maggior parte degli indiani il lato apolitico del Pakistan contemporaneo rimane un mistero. Dopo l'indipendenza Lahore sfortunatamente cedette i suoi talentuosi cineasti a Bombay. Bol è un raro prodotto di prima classe che spalanca una finestra sul Paese. Si può osservare da vicino lo stato delle donne pachistane appartenenti alle classi medio-basse. E ricorda molto l'Arabia Saudita. Ritengo sia questa la tragedia generata dalla traiettoria che il Paese prese dopo l'indipendenza o comunque a partire dalla fine degli anni settanta. Si percepisce ancora un legame culturale con l'India, se non altro grazie a Bollywood. Nel film una ragazza prende il nome Meena da Meena Kumari e cita un dialogo indimenticabile tratto da Pakeezah. La storia narrata da Mansoor non è solo un triste uncino che aggancia le miserie del Pakistan. E' triste in generale, ma anche altamente appassionante e avvincente. Bol è di sicuro da consigliare.
Mayank Shekhar, 02.09.11
La recensione integrale.

Diana ****
Uno dei temi centrali di Bol è la sessualità. Nelle società più chiuse e repressive, è vissuta come un tabù e spesso si esprime con atteggiamenti sessuofobici, morbosi, o prevaricatori e violenti.
Hakim Sahib vive nell'arretratezza culturale. Agisce rigidamente secondo il suo credo, in difesa del decoro e della propria onorabilità. I suoi principi, però, lo spingono a comportamenti inaccettabili che ricadono drammaticamente sulla sua famiglia.
Hakim è una figura molto affascinante, interessantissima. E' un uomo che ama i suoi figli.  Un fatto che diventa chiarissimo nella seconda metà della storia, quando il film cresce. Quando Hakim, dopo essersi macchiato, senza esitazioni o pentimenti, del più terribile dei reati, scende a compromessi con la propria fede e accetta un patto ancora più terribile.
E' l'amore di un genitore che non sa amare, l'amore più pericoloso e distruttivo.
Shoaib Mansoor mette in luce con talento, intelligenza e profondità di analisi i danni provocati dall'ottusità religiosa e dall'ignoranza. Un film intenso ed esemplare. Un inno alla libertà.

Il bello:
- Le interpretazioni dei protagonisti. I più bravi: l'eccellente Manzar Sehbai, Humaima Malik, un volto bellissimo ed espressivo, e Shafqat Cheema.

- Il dialogo tra Hakim e Meena: "Non c'è nessun altro uomo che si occupi di loro" dice il vecchio.
"E qui non c'è nessun'altra donna" risponde lei, prostituta e unica fonte di reddito di una famiglia in cui sono tutti uomini.

- L'idea che una giovane donna nonostante sia cresciuta in un clima repressivo possa sviluppare una mentalità moderna, una personalità indipendente e combattiva.

Il brutto:
- Sudhish Kamath, nella sua recensione del 3 settembre 2011, pubblicata su The Hindu, scrive: "nonostante le sue mancanze (i primi e gli ultimi cinque minuti), Bol è una voce coraggiosa dal Pakistan che merita di essere ascoltata".
E' vero, il film è così buono che l'inizio, in particolare, e il finale, che sono più deboli, non risultano all'altezza del resto. Bol non è impeccabile, ma rimane una pellicola ampiamente al di sopra della media.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Zainab - Humaima Malik
Hakim Sahib - Manzar Sehbai
Mustafa - Atif Aslam
Meena - Iman Ali
Ayesha - Mahira Khan
Chowdhary - Shafqat Cheema
Suraiya - Zaib Rehman
Saifi - Amr Kashmiri

Scritto e diretto da Shoaib Mansoor

Prodotto da Shoman Productions

Musiche di Shoaib Mansoor, Atif Aslam, Sarmad Ghafoor e Sajjad Ali

Distribuito da  Geo Films e Eros International Ltd.

Anno 2011

CURIOSITA'

- Shoaib Mansoor è il regista del pluripremiato Khuda Kay Liye. Di Bol ha detto: "avendo avuto una vita fortunata, penso spesso ai motivi per cui sentirmi grato. La lista sembra sempre non avere fine, ma invariabilmente finisce con una cosa...che sono nato uomo. Niente al mondo mi spaventa di più del pensiero di essere donna o eunuco in un paese come il Pakistan, dove l'oscurantismo ha radici profonde. E' triste che rivendichiamo, pieni di orgoglio, che i diritti del genere femminile siano garantiti dalla nostra religlione, eppure quando mi guardo intorno, nei paesi musulmani sottosviluppati, in generale, e nel Pakistan, in particolare, trovo che la situazione sia esattamente all'opposto. Tragicamente la nostra interpretazione e l'applicazione della religione sembrano iniziare e finire con le donne. Lasciando da parte il cinque percento di un elite, istruita e che vive in città, le donne sembrano essere il terreno (il campo di battaglia), dove attuare una forma medievale di religione".
L'articolo integrale.

- In Pakistan, Atif Aslam è una famosa star del pop. Ha cantato anche in diversi film bollywoodiani, come Ajab Prem Ki Ghazab Kahani, e persino in un film americano diretto da Ramin Bahrani, Man Push Cart, presentato in prima mondiale a Venezia nel 2005 e vincitore di un Fipresci Critic's Award al London Film Festival 2005. Questo è il suo debutto come attore.
Per Bol ha scritto ed interpretato Aaj Bol Do e Hona Tha Pyaar.
- Questo film ha stabilito un nuovo record d'incassi in Pakistan: è diventato il  più visto durante la prima settimana d'uscita, superando il precedente successo di My Name is Khan.
- Bol sarà proiettato il prossimo dicembre a Firenze nell'ambito del River to River Florence Indian Film Festival 2011. Un'occasione da non perdere!

Il sito ufficiale del film.

12 novembre 2011

DEIVA THIRUMAGAL



Potersi gustare un nuovo film del talentuoso A.L. Vijay , regista del bellissimo Madrasapattinam, è già un motivo sufficiente per abbandonare di colpo qualsiasi altra occupazione, l’autore che ci aveva deliziati con un kolossal sontuoso sullo sfondo dell’indipendenza indiana cambia rotta e dirige un film intimo dalla complessa impalcatura emotiva. Anche se fortemente ispirato alla pellicola hollywoodiana I Am Sam, Deiva Tirumagal non si presenta semplicemente come un remake ma sviluppa una storia diversa a partire dalle linee tracciate dal film con Sean Penn. Vikram sovrasta con la sua interpretazione naturale e il suo aspetto subisce una metamorfosi che lascia ammutoliti.

TRAMA
Krishna (Vikram) dopo aver perso la propria compagna si trova a dover crescere da solo la sua bambina , le donne del villaggio si offrono di aiutare il giovane padre disabile che non sa come prendersi cura della neonata. Nila (Sarah), la piccola, cresce felicemente nella località montana coccolata da tutti i membri della comunità fino a che il nonno e la zia non vengono a reclamare la sua custodia. Krishna, ingannato dal suocero e barbaramente abbandonato, troverà l’appoggio di Anuradha (Anushka) un’avvocatessa che prende a cuore la sua causa.


Pieno di pause ma non lento, vivace ma non logorroico. Il film mantiene un buon equilibrio e si plasma sulle emozioni, sulla tenerezza senza appesantirsi o cedere a lacrime facili. Per lasciarci un profilo accurato il regista si prende tutto il tempo che vuole, ci trascina fuori o dentro il mondo di Krishna, uomo-bambino impulsivo, affettuoso ma incapace di accettare le convenzioni e riconoscere i cattivi istinti. Vijay sceglie cosa dirci e cosa no, ci fa entrare nella casa e nell’immaginario del protagonista celando però   l’identità della moglie Bhanu (della quale non riusciamo a vedere nemmeno il volto) e quella che è stata la sua vita prima della nascita di Nila.
Affidare o non affidare la custodia della figlia di cinque anni ad un uomo disabile, a volte incapace di prendersi cura di se stesso senza l’aiuto di nessuno? Dopo aver fatto luccicare gli occhi degli spettatori con scene dolcissime il regista fa un passo indietro, diventa un po’ cinico e la storia si chiude con una domanda, lasciandoci con il dubbio se solo l’amore e la dedizione di Krishna per la sua piccola siano o no sufficienti a garantirle una crescita serena. Nel trattare un argomento così delicato il film oscilla tra il realismo e la fiaba, scansando comunque eccessi di stravaganza nella narrazione. Ciò che ne prende vita è un composto visivo degno di nota le cui immagini sono brillanti e le locations rifugi nel verde, un prodotto capace di guadagnarsi recensioni positive sia per i suoi contenuti che per la qualità formale.
I flashback sono stati usati con maestria,  malgrado la tecnica del racconto a ritroso sia tra le più inflazionate nell’universo cinematografico la riunione di ricordi intervallati al presente si è saputa intersecare nel modo giusto garantendoci di creare una chiara panoramica degli eventi senza rinunciare all’effetto sorpresa. Tra i momenti che creano piacevoli intervalli ricreativi: le fasi di improvvisazione di un racconto che si compongono nella mente di Krishna preoccupato sul come aiutare la figlia negli impegni scolastici (l'assemblamento disordinato di tutti gli elementi fantastici assimilati negli anni crea un composto adorabilmente fantasioso) e la visualizzazione del brano "Vizhigali Oru Vannavil" dove la pioggia si trasforma in vernice mentre Anuradha vaga indisturbata nei sui pensieri.
Se Anushka Shetty si dimostra un’attrice sempre più completa e matura Vikram continua a stupire ed aggiunge questa performance perfetta ad un curriculum già ricco di gioielli. Il protagonista si muove sotto molteplici sguardi femminili: le attenzioni protettive della moglie del capo che gli insegna come accudire la neonata e lo tranquillizza nelle sue paure; la spontanea vitalità della piccola Nila, intuitiva e scaltra ma rispettosa per la diversità del padre; la determinazione e i capricci di Swetha, donna in carriera che fa la voce grossa ma non ha chiarezza d'idee;  l’intelligenza e la capacità di immedesimazione di Anuradha la quale si trova a riconsiderare la propria etica e la propria vita alla luce del nuovo incontro.
Fuggendo da conclusioni scontate il film evita di far nascere una storia d’amore tra l’avvocato e il suo cliente, a scaldare la loro intesa non sarà un’attrazione fisica ma l'ammirazione per i rispettivi messaggi: la generosità e la perseveranza in Anuradha e la capacità di amare e perdonare in Krishna. Dubito che la scelta di Sarah, la piccola attrice il cui volto somiglia moltissimo ad Anushka Shetty, sia stata casuale, il lei il personaggio ricorda qualcosa che aveva dimenticato e si rivede in lei,  dalle attenzioni che vorrebbe ricevere alla sua perduta spontaneità. La ragazza non cerca di diventare la compagna dell’uomo che l’ha ispirata quanto sogna di poter pensare ancora come sua figlia Nila e continuare a credere che un rapporto di totale fiducia e amore  sia possibile.  



Il mio giudizio sul film : **** 4/5


ANNO : 2011

LINGUA : Tamil

TRADUZIONE DEL TITOLO : figlia di Dio

REGIA : A.L. Vijay


CAST
Vikram ……………………………. Krishna
Anushka Shetty………………………… Anuradha
Sarah ……………………… Nila
Amala Paul ……………………. Shweta
Sachin Kedhekar …………………. Rajendran
Karthik Kumar ………………………. Karthik
Santhanam ………………………. Vinod
Nassar ……………………….Bashyam


COLONNA SONORA : GV Prakash Kumar alla sua terza collaborazione con L.Vijay dopo Kireedam e Madrasapattinam

PLAYBACK SINGERS : Vikram, Shringa, Saindhavi, GV Prakash Kumar, SP Balasubrahmanyam, Maya, Rajesh, Kalyan, Haricharan, Navin Iyer



QUALCOS’ALTRO:

Main Aisa Hi Hoon (2005) con Ajay Devgan è stato un precedente remake di I am Sam in lingua hindi.

Il motivetto “Pa pa papa” riprende un brano dal classico Disney Robin Hood

Amala Paul è stata la fantastica eroina di Mynaa, village movie tamil gudicato Miglior Film dell’anno durante la passata edizione dei Filmfare Awards South.

Il film è stato accolto positivamente sia dai critici che dal pubblico, dopo essere stato doppiato in lingua telegu (Nanna) ha incontrato un ottimo successo anche in Andhra Pradesh.

Deiva Thirumagan ( figlio di Dio) è stato sostituito a fine riprese con Deiva Thirumagal (figlia di Dio) a seguito di una rivendicazione di copyright da parte della Sivaji Production che aveva già acquistato i diritti sul titolo per uno dei loro progetti futuri.

SITO UFFICIALE DeivaThirumagal.com

Qualche informazione in più su Vikram e Anuskha Shetty nelle sezioni: I VOLTI MASCHILI DEL CINEMA TAMIL, I VOLTI FEMMINILI DEL CINEMA TELEGU

09 novembre 2011

LOVE BREAKUPS ZINDAGI

Dia Mirza e il regista Sahil Sangha si sono innamorati. Pieni di entusiasmo, insieme a Zayed Khan, hanno fondato la Born Free Entertainment Pvt Ltd e prodotto il loro primo film Love Breakups Zindagi. Purtroppo sentimenti sinceri e le migliori intenzioni spesso non bastano.

TRAMA

Jai (Zayed Khan) e Naina (Dia Mirza), rispettivamente fidanzati senza troppo entusiasmo, si incontrano durante un lungo weekend di festeggiamenti nuziali. Allo stesso matrimonio partecipano Govind (Cyrus Sahukar), amico divorziato di Jai, e Sheila (Tisca Chopra), affascinante ed indipendente trentotenne single. Sorpresa: alla fine delle due ore e trenta di film, tutte e quattro i protagonisti troveranno l'amore.

RECENSIONI

The Times of India **1/2
Aspettare e guardare, sì. Ma che succede se l'attesa diventa senza fine e non c'è molto da vedere, dato che la trama continua a girare, in cerchi ripetuti, intorno alle vite di un gruppo di persone confuse.
Non proprio un perfetto debutto come regista per Sahil Sangha e come produttori per Dia e Zayed, Love Breakups Zindagi, per questo trio, andrebbe considerato un passo verso qualcosa con maggior sostanza e originalità.
Nikhat Kazmi, 07.10.2011
La recensione integrale.

Hindustan Times **
Torniamo ai quattro protagonisti. Si continua a vedere così tanto di loro, ben sapendo che cosa accadrà dopo.
Lo sceneggiatore deve riempire i vuoti; uno Shah Rukh Khan che invecchia, portato lì per un cameo, non può aiutare. "Le relazioni sono confuse. Possono essere irritanti. Speriamo che le nostre siano differenti" riflette l'eroe, ad un certo punto. Questo è vero anche per i film romantici. Se non avrete aspettative troppo alte, sarete soddisfatti.
Mayank Shekhar, 07.10.2011
La recensione integrale.

Diana **
Se Mere Brother Ki Dulhan è una commedia romantica classica, attualizzata, piacevole e riuscita senza essere ardita o rivoluzionaria, con Love Breakups Zindagi si ritorna alla preistoria.
Ricordando la poesia di W.H. Auden, O Tell Me The Truth About Love, i protagonisti di Love Breakups Zindagi  sono alla ricerca, con molta meno ironia dello scrittore angloamericano, della verità sull'amore. Che cosa scoprono? Che trovata l'anima gemella le domande esistenziali, i dubbi, le perplessità e le preoccupazioni, all'improvviso non contano più niente.
Il primo tempo è piacevole, nel secondo l'assenza di spunti nuovi, sia nei contenuti che nella narrazione, cominciano a pesare, fino all'epilogo in cui tutti si abbracciano in lacrime. Un film fuori tempo massimo.
Peccato per la buona volontà di Zayed Khan e Dia Mirza che sono belli e in grande forma, ma che non hanno saputo scegliere una storia se non originale almeno fresca e spiritosa.
Il cameo di Shah Rukh Khan, sempre affascinante, anche se duole dirlo è sommamente inutile oltre che sprecato.

LA SCHEDA DEL FILM

Cast:
Jai - Zayed Khan
Naina - Dia Mirza
Govind - Cyrus Sahukar
Sheila - Tisca Chopra
Arjun - Satyadeep Mishra
Dhruv - Vaibhav Talwar
Gayatri - Auritra Ghosh
Radhika - Pallavi Sharda
Ritu - Umang Jain
Special Appearance di Farida Jalal, Boman Irani, Shabana Azmi, Shahrukh Khan e Ritesh Deshmukh

Scritto e diretto da Sahil Sangha

Prodotto da Dia Mirza, Zayed Khan e Sahil Sangha

Musiche di Salim-Sulaiman

Coreografie di Remo D'Souza e Rajeev Goswami

Distribuito da Sahara Motion Pictures e Born Free Entertainment Pvt Ltd

Anno: 2011

CURIOSITA'

- In occasione della prima del film, il cast di Love Breakups Zindagi ha venduto di persona i biglietti in un cinema di Mumbai. Guarda il video.

- Qualche immagine del making di Love Breakups Zindagi, precedute dagli auguri di alcune delle personalità più importanti dello show business made in India. Video.

- Il film ha vinto un 'Hero to Animals' Award della PETA India, per una scena molto carina in cui Zayed e Dia salvano un cucciolo di cane. Dato che difficilmente la produzione festeggerà altri riconoscimenti, complimenti per questo premio!
L'articolo integrale di Bollywood Hungama.

Il sito ufficiale del film.

08 novembre 2011

MAHAL



Una storia di ossessioni dalle atmosfere macabre, uno strano triangolo sentimentale nel quale tutti i personaggi compiono azioni orribili nei confronti della persona che dicono di amare, una soffocante catena di autodistruzioni dove l’unico vero colpevole resta impunito. Mahal, melodramma agitato e oscuro, è un film che appare molto più giovane della sua reale età anagrafica ( è stato girato nel 1949) l’ultimo prodotto della fabbrica dei sogni Bombay Talkies, già avviata verso un totale declino, e il primo successo del regista Kamal Amrohi (Pakeezah) conosciuto per la sua attrazione morbosa verso le suggestioni e il mistero.

TRAMA
Shankar (Ashok Kumar) acquista ad un’asta pubblica uno splendido palazzo abbandonato e scopre guardando un dipinto che il vecchio proprietario gli somigliava in modo impressionante. L’uomo, incuriosito dalla serie di coincidenze che lo legano alla residenza decide di non abbandonare il luogo e spera di poter avere contatti con il fantasma che lo abita, una ragazza meravigliosa (Madhubala) in cerca del suo amato.


Atmosfere da romanzo gotico, candelabri che oscillano, arredamenti coloniali, giardini moghul, twist imprevisti e una trama soddisfacente, Mahal è un triller che non incute timore ma crea tensione, attesa e sensazioni opposte di meraviglia e disagio, ricrea un mondo decadente e confuso i cui tratti sono cupi, spettrali, i profili maschili deboli e disorientati, i personaggi femminili forti ma contradditori e letali.
La mano di Kamal Amrohi si avverte dai dettagli, immagini che devono creare sospetto e suggerire che gli eventi non andranno nella direzione in cui la storia fino a quel punto sembra portarli. Una mobilissima cinepresa spazia tra gli ambienti, mostra Madhubala fluttuare, riprende foglie che danzano sul pavimento, si nasconde tra le fessure delle finestre, spia le reazioni dei personaggi e svanisce a comando. Le immagini sono macabre seppur deliziosamente eleganti tanto da sembrare scatti d’autore, se si bloccano per guardarle una ad una ci si rende conto della sofisticata ricercatezza della fotografia, della cura dei set e degli sfondi.
In Mahal vengono introdotti quelli che saranno motivi ricorrenti nella filmografia, breve ma intensa, di Amrohi: il destino come forza motrice degli eventi, le strane casualità, gli elementi della natura che prendono vita e veicolano premonizioni, gli amanti frustrati dagli insuccessi dei propri tentativi che fuggono in luoghi isolati, l’aristocrazia decadente e il paesaggio ostile, lunghi primi piani agli sguardi intensi degli interpreti, le esibizioni ammiccanti delle cortigiane. Kamal Amrohi, sempre enigmatico, tradisce il pubblico e continua a celare, sussurra all’orecchio per poi depistare, si ha sempre la sensazione che ci stia mostrando solo in parte e che aldilà di ciò che viene inquadrato ci sia molto di più da conoscere, ma ciò non ci è dato di fare.
Sovrannaturale o bluff? Reincarnazioni e spettri inquieti o fitti ricami tessuti dagli umani? Il film propone vari meccanismi in grado di plagiare e controllare la mente, dalla bellezza magnetica all’attrazione per il mistero, dalle tecniche per spingere qualcuno a compiere i gesti più assurdi o disperati. Si assiste ad una costruzione e sparizione dell’alter-ego del protagonista, uccisione anche fisica attraverso colpi di pistola sul dipinto che ricorda a Shekhar quello che lui vorrebbe essere ma non è e ciò che vorrebbe inseguire quando invece è imprigionato. La reclusione diviene un tema onnipresente, dalle mura del palazzo alla cella, dalla remota capanna montana alla gabbietta degli uccellini (immagine che diverrà il simbolo del suo capolavoro Pakeezah). La mancanza di libertà conduce a scelte ed azioni sbagliate, davanti a limiti Shekhar non sa se arrendersi e rinunciare alla sua (o sue) identità oppure perseverare nella ribellione ma cadere vittima dei desideri ossessivi.
Anche se il film mostra alcuni vuoti nella seconda parte e una sovrabbondanza di canzoni, la maestria del regista (e di un già promettente Bimal Roy , qui curatore del montaggio) traspare in ogni scena. La classe del protagonista Ashok Kumar e la bellezza di Madhubala sono abbaglianti e perfettamente catturate dalla pellicola in bianco e nero. Il brano “Aayega Aanewala” , richiamo attraverso la quale il fantasma comunica con il suo amato , ispirerà altri film dal tema fantasmi e vite precedenti come Madhumati e Neel Kamal ed ha lanciato come playback singer una giovanissima Lata Mangeshkar.


Il mio giudizio sul film : ***1/2  3,5 /5


ANNO : 1949

TRADUZIONE DEL TITOLO : Palazzo

REGIA : Kamal Amrohi


CAST :
Ashok Kumar ………………….. Shekhar
Madhubala ……………………. Kamini
Vijaylaxmi…………………………… Ranjani
Kanu Roy ………………………. Srinath


COLONNA SONORA : Kemchand Prakash
PLAYBACK SINGERS : Lata Mangeshkar, Rajkumari