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11 giugno 2012

ASLI NAQLI



Un talento ingiustamente valutato ai posteri e mai valorizzato in scala internazionale: Hrishikesh Mukherjee,  un artista originale e ironico che ha proposto i suoi film con umiltà e senza alcuna volontà di convincere quei critici più snob che di lui si accorgeranno un po’ troppo tardi. Asli Naqli è forse uno dei suoi titoli meno conosciuti e audaci, un film  più vicino alla produzione mainstream ma guidato da quella capacità di sintesi e osservazione che ha reso il regista uno dei più grandi maestri del Cinema Hindi.


TRAMA
Anand (Dev Anand), nipote e unico erede di un ricco imprenditore, vuole trovare un senso alla sua vita dopo anni di ozio, gioco d’azzardo e notti brave. Il nonno lo considera un buono a nulla e vuole di ingabbiarlo in un fruttuoso matrimonio d’interesse, ennesima manovra commerciale per il bene della sua azienda. Proprio alla vigilia del fidanzamento il ragazzo fugge da casa e inizia a vivere in un quartiere popolare, cerca lavoro e incontra nuovi amici, ma non rivela a nessuno il suo vero nome.


Nel cinema di Mukherjee la  semplicità è un traguardo e non un punto di partenza, il regista invita a preservare l’umiltà, sola caratteristica della vera grandezza, e a sbeffeggiare chi si prende troppo sul serio, mostrando come una risata e una buona risposta  siano il modo migliore per fronteggiare l'idiozia. L’autore ha promosso ed elaborato un suo stile cinematografico, un intrattenimento impegnato e acuto, irrobustito dall’ironia, riscaldato dall’umanità dei personaggi, gente comune con reazioni e sensazioni reali. 
Asli Naqli è il film sulla realizzazione personale, un racconto in musica sulla ricerca della propria identità e di una felicità che si incontra nei momenti più inaspettati e nei luoghi che non avremmo mai immaginato di calpestare.  La storia mostra come uno stanco fannullone riesca a dare un taglio al passato e scoprire la voglia di vivere  a partire da un divorzio irreversibile : quello con il suo cognome.   La pellicola è elegante e a tratti commovente,  di assimilazione immediata e piacevole nella visione,  i protagonisti  rendono l’atmosfera frizzante: di Sadhana colpisce l’espressività, il sorriso ammaliante e la compostezza, di Dev Anand  il savoir fair e la capacità di sentirsi sempre a suo agio, non solo nelle scene brillanti e romantiche ma anche quando un velo di melodramma cala lentamente sulla scena . Se a cavallo dei Cinquanta e Sessanta  Raj Kapoor ha incarnato la passione e  Dilip Kumar è stato il volto del dramma,  Dev Anand si è costruito un suo personaggio capace di resistere agli anni,  un giovane metropolitano dalla studiata naturalezza, dall’aria divertita, sciolto nei movimenti e malandrino.
Eroi ed eroine difficili da dimenticare, una colonna sonora firmata da maestri (Shankar & Jaikishen) e personaggi di sfondo capaci di creare un ottimo impatto: la ragione per cui un film funziona fin dalla prima scena non è mai una soltanto.  Tutti i titoli di Mukherjee  sono guidati da un messaggio di fondo, una situazione umana da leggere con ironia, un prurito sociale da mettere il luce, un problema riassumibile in una o due parole al quale si collegano poi diverse sub tematiche, canzoni  e l'immancabile evasione. Ciascuna trama si basa su argomento di partenza e tra le più ammirabili caratteristiche del regista c'è la capacità di non ripetersi mai,  riuscendo ad unire il cinema indipendente alla grande produzione commerciale senza fissarsi in nessuno standard.


Il mio giudizio sul film : ***  3/5

ANNO: 1962
TRADUZIONE DEL TITOLO : Reale e Finto
REGIA :  Hrishikesh Mukherjee


CAST:
Dev Anand ……………………………. Anand
Sadhana ……………………….. Reenu
Anwar Hussain ……………… Mohan
Nasir Hussain ………………… Seth Dwarka Das
Sandhya Roy ………………… Shanti
Leela Chitnis ………………. La madre di Sadhana



COLONNA SONORA:  Shankar & Jaikishen
PLAYBACK SINGERS: Mohammad Rafi, Lata Mangeshkar



QUALCOS’ALTRO:

Recensioni di altri film di Mukherjee già pubblicate nel blog:  Anand, Bawarchi, Anari e Abhimaan

Dev Anand ha recitato con Sadhana anche in Hum Dono, una delle pietre miliari della carriera dell’artista, il film è stato originalmente girato in bianco e nero ma nel 2011 è uscito nelle sale indiane Hum Dono Rangeen, la versione a colori della pellicola  preceduta da un breve videomessaggio dell’attore (purtroppo scomparso lo scorso dicembre).

10 agosto 2011

ANARI



Anari, tra i tanti titoli di Hrishikesh Mukherjee, è forse il meno collegato ad un ambiente tipicamente middle class, il confronto qui è tra i due poli opposti della società: i poveri in cerca di un possibile (o impossibile) riscatto e la cerchia d’elite dei nuovi imprenditori industriali, i ritmi e il delicato melodramma lo avvicinano moltissimo allo stile delle pellicole dirette da Raj Kapoor.  Mukherjee ci ha regalato film dall’estetica essenziale ma intrisi della sua filosofia, di satira, di spontaneità e di piccole emozioni pure; la semplicità non è un punto di partenza quanto un traguardo, come afferma il suo motto “it’s so simple to be happy but it’s so difficult to be simple” (da Bawarchi, 1972).

TRAMA
Aarti (Nutan), nipote di un ricchissimo imprenditore, si innamora di Rajkumar (Raj Kapoor) un pittore squattrinato ma dai grandi ideali mantenuto dalla padrona del suo appartamento, Mrs D’Sa, (Lalita Pawar) che rivede in lui l’immagine del figlio scomparso.

Era solo il secondo film per Hrishikesh Mukherjee e il 1959. Dopo aver affiancato a lungo il geniale Bimal Roy il regista si avviava verso una lunga e prosperosa carriera dietro la macchina da presa. Seppur Raj Kapoor non ne firmi la regia la sua influenza è più che potente e chiara, oserei dire che Anari è il film non diretto da lui che più si avvicina allo spirito dei suoi successi precedenti, soprattutto Shree 420. Il protagonista continua a guardare il mondo con gli occhi di un bambino cercando di non farsi macchiare o indurire da esso, è sensibile, onesto e idealista, lotta per non restare intrappolato nel labirinto della metropoli dove altruismo e sincerità finiscono per divenire valori in disuso.
La nobiltà d’animo trionfa qui sulla nobiltà di sangue, Rajkumar (trad. principe) sceglie deliberatamente di essere un idiota, ne va fiero e lo considera un tesoro da preservare. I suoi buoni principi appaiono sia come difetti che pregi, qualità che lo rendono speciale in un ambiente grigio ed egoista ma anche ostacoli materiali davanti alla sua evoluzione professionale.
La storia di Anari è una poetica burla sulle ingiustizie e propone un suo modello di società perfetta dove distinzioni di classe e credo non sono sufficienti a tracciare barriere. Attraverso il disobbediente atteggiamento di Aarti, e l’affetto materno di Mrs D’Sa, Mukherjee esprime il suo disappunto verso le discriminazioni di ogni natura, siano esse etnico – religiose o economiche. Nutan ha in mano un personaggio interessantissimo e moderno, Aarti è l’anticonformista stanca di ipocrisie e formalità che fugge dalle lezioni di etichetta per signorine di buona famiglia, considera la cameriera come una sorella, si innamora di un affascinante artista senza futuro.
Il film è ricco di piccole scene comiche, alcune solo leggere e divertenti, altre più critiche e mirate nelle quali il linguaggio del corpo e la gestualità di Raj ricordano l’espressività muta di un mimo. La ricerca del denaro, come in Shree 420, trasforma gli uomini in burattini. Mukherjee ridicolizza l’ansia e la corsa ai guadagni attraverso siparietti comici in cui la banconota e la moneta divengono elementi misteriosi o buffi, a volte perfino grotteschi, la sequenza in cui Rajkumar riesce ad entrare nel ristorante d’elite solo dopo aver esibito vistosamente un portafoglio gonfio sarà ripresa dieci anni dopo nel film Deewana (1968).
Raj Kapoor ha iniziato a girare Anari poco dopo la separazione professionale e sentimentale dalla sua compagna di scena Nargis, l’ultimo titolo in cui sono apparsi insieme fu Jagte Raho nel 1956, l’attore si avviava in una fase difficile della sua carriera e una certa malinconia nel film è chiaramente percepibile. Alcuni dettagli, espressioni e frasi lasciano ipotizzare riferimenti autobiografici. Nonostante la storia d’amore tra Aarti e Rajkumar sia piuttosto serena la delusione e l'abbandono nella seconda parte risultano molto più forti e realistici della spensieratezza del primo tempo. La sofferenza della protagonista a seguito del distacco dal suo amato culmina nel testo di "Tera Jaana", il brano più intenso della splendida colonna sonora, “con la tua partenza tutti i desideri se ne vanno dal mio cuore / vedi come un destino si crea e si distrugge / la tua tristezza e la tua felicità non erano diversi dalla mia tristezza e felicità / la mia vita intera era con te / ricordi quando sorridendo abbiamo deciso di restare insieme per sempre / quel giorno era solo ieri”.

Il mio giudizio sul film : ****1/2 4,5/5


ANNO : 1959

REGIA : Hrishikesh Mukherjee

TRADUZIONE DEL TITOLO : idiota / ingenuo / infantile

CAST
Raj Kapoor ……………… Rajkumar
Nutan …………………… Aarti
Lalita Pawar ………………. Ms D’sa
Shooba Khote …………….. Asha
Motilal …………………… Ramnath
Helen …………. Cabaret dancer


COLONNA SONORA : Shankar & Jaikishan (testi di Shilendra & Hasrat)
Gli autori preferiti da Raj Kapoor ci regalano tutti brani incantevoli come il dolcissimo inno all'altruismo "Kisi ki muskurahaton pe" , la malinconica "Sab Kuch Seekha" , le romantiche "Dil ki nazar" e  "Woh Chand Khila", la gioiosa "Ban ke Panchhi"

PLAYBACK SINGERS : Lata Mangeshkar, Mukesh, Manna Dey


QUALCOS’ALTRO: 

Anari si è aggiudicato numerose statuette all’edizione dei Filmfare Awards del 1959 : Best Actor (Raj Kapoor) , Best Music Director ( Shankar & Jaikishan) , Best Supporting Actress ( Lalita Pawar) , Best Lyricist (Shailendra), Best Male Playback Singer (Mukesh) , Best Movie
L’introduzione del giovane artista in Saawarya di S.L. Bhansali è il rapporto affettuoso tra il ragazzo e l’anziana proprietaria del suo appartamento sono chiari riferimenti a Raj Kapoor / Lalita Pawar in Anari.

29 agosto 2009

BAWARCHI



Un piccolo gioiello nato dal nulla.

Nient’altro che una casa borghese, una famiglia isterica e insoddisfatta alla ricerca di un nuovo servitore e un cuoco chiacchierone che vorrebbe rieducare i suoi padroni. Se non aggiungessi che il film è stato diretto dal grande Hrishikesh Mukherjee in collaborazione con il poeta Gulzar potrebbe sembrare una pura banalità, ma il tocco magico fa la differenza. Squadra che vince non si cambia. Si riunisce ancora una volta il team che aveva guidato il successo di Anand e nasce un nuovo film capace di “parlare”, perfettamente connesso a cuore e cervello e sintonizzato sulle giuste frequenze.


TRAMA
L’arrivo di un cuoco simpatico e brillante ravviva l’atmosfera smorta di una famiglia nevrotica, dove tutti sembrano non avere altro da fare che lamentarsi in continuazione e inventare problemi inesistenti. Le doti di Raghu  (Rajesh Khanna) vengono alla luce un po’ alla volta, ma insieme agli effetti benefici da lui provocati, iniziano a sorgere dubbi sulla sua vera identità.


Popolata da personaggi divertentissimi quanto insopportabili, casa Sharma sembra farsi ogni istante più piccola, non c’è una porta che si possa chiudere, non c’è uno sguardo al quale si possa sfuggire. Tutti caratterizzati da maggiori vizi che virtù, i componenti della famiglia appaiono uno dopo l’altro mettendo in scena le proprie esasperazioni.Il nonnetto controlla giorno e notte Il cassettone dei gioielli e lo chiude con doppi giri di catene e lucchetti, le cognate acide e pressanti non perdono un’occasione per attaccarsi, e tra urla, litigi e discussioni, dall’incombente mediocrità si salva solo la sorridente Krishna (Jaya Badhuri), isolata nel suo mondo fatto di piccole gioie.

Rajesh Khanna centra il bersaglio ancora una volta.
Pur essendo stata a lungo scettica sulle qualità artistiche di quest’uomo non posso che ricredermi davanti alle sue interpretazioni nelle pellicole di Mukherjee. Ma se in Anand le lodi andavano divise anche con Amitabh Bachchan, in Bawarchi l’applauso esclusivo non glielo leva nessuno.
Ad affiancarlo una Jaya Badhuri sempre superba e discreta, in questo film infantile e timida quanto commovente; la malinconia nei suoi occhioni neri mentre spia la cugina bella e vanitosa in pochi secondi scava un autentico buco nello stomaco.

La sceneggiatura è scandita da ritmi vibranti, se la scena fa di tutto per assomigliare ad un palcoscenico teatrale anche le battute risentono di questa impostazione e si frammentano per essere più fluide. I dialoghi sono diretti, sentiti, immediati, intervallati da frasi ricorrenti che appaiono e riappaiono più volte fino a che arriva un momento in cui non te le levi più dalla testa.A me è successo con questa : "It is so simple to be happy but it is so difficult to be simple” / E’ così semplice essere felici ma è così difficile essere semplici.
Mi piace. La dovrò appuntare da qualche parte.



Il mio giudizio sul film: **** 4/5


ANNO: 1972

REGIA : Hrishikesh Mukherjee

TRADUZIONE DEL TITOLO: Il cuoco


CAST:

- Rajesh Khanna…………Raghu
- Jaya Badhuri……………Krishna
- Usha Kiran……………..Choti Maa
- Durga Khote……………Badi Maa
- Aki Kangal……………... Munna
- Asrani………………….. Babbu
- Kali Bannerjee……….. Meeta
- Paintal………………...... Guruji


COLONNA SONORA : Madan Mohan


PLAYBACK SINGERS:
Lata Mangeshkar, Kishore Kumar, Manna Dey, Nirmala Devi, Lakshmi Shankar, Kumari Faiyyaz


UNA CURIOSITA’:
I titoli di apertura non appaiono sullo schermo ma vengono dettati da una voce d’eccezione, quella di Amitabh Bachchan.

02 giugno 2009

ANAND


Hrishikesh Mukherjee era davvero in vena di rischiare.
Volendo parlare della malattia e della morte e rendendosi conto di aver scelto un tema anticommerciale e straziante, piuttosto che cadere nel ripetitivo (o affidarsi all’effetto lacrime-a-pioggia per non deludere gli spettatori) capovolge tutto e pensa ad un personaggio dinamico, energico e solare.
L’esperimento funziona, la storia regge, malgrado il paradosso, e non è mai offensiva. C’è più poesia che tristezza e lo spettatore assiste con il cuore in gola e il sorriso sulle labbra ad una delicata tragi-commedia.

TRAMA
Bhaskar Banerjee è un dottore alle prime esperienze lavorative al quale viene affidato un paziente suo coetaneo, senza alcuna speranza di salvezza. Al contrario di quanto immaginava, Anand, il malato, non si ripiega su se stesso ma è un vero vulcano; quasi come se non fosse al corrente della sua malattia, crea costantemente nuovi legami, fino ad unirsi ad una compagnia teatrale.

Il film evita di costruire un crescendo di angoscia, allo stesso tempo si guarda bene dal creare false speranze, mantenendo una distanza di rispetto costante nei confronti dei temi affrontati.
Se il regista sceglie di iniziare il film con la presentazione di un libro in memoria di Anand, lo fa per eliminare ogni suspence, il pubblico non deve chiedersi se il protagonista sopravviverà o no, non deve illudersi. Una volta chiarito questo, Hrishikesh e il poeta Gulzar, suo collaboratore nella stesura dei dialoghi, possono sbizzarrirsi come vogliono nel creare una storia brillante.
Probabilmente Anand è il ruolo migliore che sia mai capitato in mano a Rajesh Khanna, al centro della scena nonostante la presenza di un attore molto più dotato di lui al suo fianco. Rajesh fa bene a sfruttare fino in fondo quest’occasione, perché in futuro, per lui come per molti altri, diventerà sempre più difficile controllare l’imponenza artistica e fisica di un uomo come Amitabh Bachchan.
Anand abbatte ogni barriera della riservatezza e gli insegna ad esprimersi senza freni né timore del giudizio altrui, è invasivo, tenero, rompiscatole, usa mezzi poco ortodossi ma estremamente efficaci. Non è tanto lui che si ostina a non vedere la sua prossima fine, quanto Bhaskar ad essere ancora inconsapevole del fatto di essere vivo. Aiutato da un’ottima storia e da bei dialoghi Rajesh Khanna trionfa e si fa amare, le scelte inspiegabili del suo personaggio divengono un inno alla ricerca della qualità della vita in contrapposizione all’esistenza incolore e cronicamente passiva del medico.
Veri tranelli per il pubblico le scene in cui il regista ci fa credere che un improvviso sfogo drammatico stia per avvenire, per poi ingannarci, presentandoci delle situazioni che sono l’esatto contrario. Il regista gioca con gli opposti, il capovolgimento è costante, non fa che smentire ad ogni passo ciò che potremmo aspettarci da una storia simile e prende a mazzate l’ansia dello spettatore di veder confermate le sue previsioni.
L’epilogo è piuttosto forte e mette da parte di colpo la sensibile leggerezza che ha accompagnato la storia. Un po’ come se il film si fosse già interrotto poco prima, Hrishikesh Mukherjee ha già detto ciò che voleva comunicare, e, proprio perché non vuole che i suoi sforzi vadano sprecati per mancanza di credibilità deve trasferire, almeno nel finale, il personaggio all’interno di una dimensione drammatica ed è costretto a dirgli addio. Cercherà di farlo rivivere qualche anno dopo, in chiave femminile, girando il film Mili, ma non sarà la stessa cosa.

Il mio giudizio sul film **** 4/5
Khanna al suo meglio, Bachchan agli esordi e ancora lontano dall'essere una superstar. Un vero classico, due performance indimenticabili.

ANNO: 1971
REGIA : Hrishikesh Mukherjee
TRADUZIONE DEL TITOLO: Anand è un nome proprio, ma anche sinonimo di felicità

CAST:
- Rajesh Khanna.............. Anand
- Amitabh Bachchan..........Bhaskar Banerjee
- Sumita Sanyal.................Reenu
- Ramesh Deo...................Dott. Kulkarni
- Seema Deo....................Suman
- Asit Sen.........................Muralilal
- Lalita Pawar...................D'Sa

COLONNA SONORA: Salil Choudhury
PLAYBACK SINGERS: Lata Mangeshkar, Mukesh, Manna Dey

RICONOSCIMENTI E PREMI:
Sei Filmfare Awards vinti nelle categorie : Best actor (Rajesh Khanna), Best Supporting Actor (Amitabh Bachchan) , Best Film, Best Story, Best Editor (Hrishikesh Mukherjee) e Best Dialogue (Gulzar)

17 marzo 2009

ABHIMAAN





Il giovane cantante Subir è bravo, bello, famoso e circondato da centinaia di fans deliranti, esce con l’avvenente Chintra ed ha una vita a 5 stelle. E poi l' incontro con Uma, una ragazza del villaggio, sensibile e gentile, dotata di una voce assolutamente unica (non a caso, presa in prestito da Lata Mangeshkar) ed è così affascinato dalle sue qualità che dopo il matrimonio giura di esibirsi solo con lei tutta la vita.. Ma Uma ha un talento davvero speciale ed è destinata a catturare su di sé l’attenzione a discapito della pop star che soffre di un improvviso calo di consensi. La gelosia e l’orgoglio diventano insostenibili e compromettono la loro relazione.

Gran parte del film si incentra sul dibattito Pop Music / Classic Music
Costante il confronto tra la formazione classica di Uma e l’impostazione moderna di Subir
Il divino e il commerciale.
Ogni volta che Subir sente la voce di Uma, quelle vibrazioni melodiose sembrano fuoriscire direttamente dal tempio della divinità; lei canta per pura passione, in una dimensione semplice e spirituale slegata da ogni forma di consumismo, e raggiunge in un attimo la sensibilità della gente.
Subir si esibisce per fama e denaro ed è quasi spaventato dalla mole di premi e statuette ai lati del suo letto, cantare è solo un lavoro, un mezzo per ottenere visibilità e benessere.
Una frase chiave nella prima parte del film è il consiglio che Uma lascia a Subir, ancora prima di avvicinarsi a lui: ..."Canti per accontentare le persone? Dovresti cantare semplicemente per te stesso"...
Pur facendo di tutto per evitarlo, da un giorno all'altro Uma si ritrova ad essere un personaggio in vista, a dimostrazione che il pubblico sa riconoscere e premiare l'autenticità dell'arte e la vera dedizione.

POLLICE IN BASSO
Per l’alto contenuto di misoginia. Tutte le figure femminili del film sono assoggettate dalla presenza di Subir. Durga, la zia, vive solo in funzione del nipote e passa intere giornate aspettando che torni per cucinare per lui. Uma, la moglie che non può permettersi di essere più brava del marito ed offuscare la sua carriera. La bella Chintra, ex fidanzata di Subir, allontanata perché non abbastanza conforme all’ideale di donna sposabile tipo zia-madre-nonna ecc..

POLLICE IN ALTO
Per i meravigliosi interpreti
Amitabh Bachchan e Jaya Bhaduri, sposati anche nella vita reale, mostrano un legame a dir poco perfetto; gli scherzetti, gli sguardi, tradiscono una confidenza che va al di là delle riprese cinematografiche.
La convinzione e l’abilità della coppia nel far arrivare le sensazioni giuste allo spettatore, le severe espressioni di Amitabh, la fragilità e la dolcezza nei grandi occhi di Jaya, una donna equilibrata ed intelligente, sobria nelle sue interpretazioni ma al tempo stesso incisiva, capace di non sfigurare mai nemmeno a fianco di Big. B.

Isolando i già discussi elementi di misoginia riconosco la qualità del film, uno dei più famosi di Amitabh e Jaya insieme, toccante, introspettivo. Il successo di Abhimaan è merito esclusivo dei suoi attori, anzi… di Jaya in particolare, ed è proprio la sua performance eccellente a far trionfare la forza femminile in una storia che cercava di dimostrare il contrario.

Il mio giudizio sul film : *** 3/5


ANNO: 1979

REGIA : Hrishikesh Mukerjee

TRADUZIONE DEL TITOLO: Orgoglio

CAST:

- Amitabh Bachchan (Subir)

- Jaya Bhaduri (Uma)

- Bindu (Chintra)

- Durga Kahte (Durga)


COLONNA SONORA : Sachin Dev Burman

PLAYBACK SINGERS: Lata Mangeshkar, Mohammed Rafi, Kishore Kumar



QUALCOSA IN PIU':

- Nei titoli di apertura, ci sono alcune riprese in cui vediamo le fans del cantante Subir in puro delirio, con in mano una foto del divino Bachchan pubblicata sulla copertina di Filmfare ... come biasimarle.

- Jaya Bhaduri vinse con Abhimaan il Filmfare Award nella categoria Best Actress , S.D. Burman invece nella categoria Best Music Director

- Pare che i coniugi Bachchan investirono parte dei propri soldi pur di veder realizzato il film dopo un periodo di stand-by

- Il titolo inizialmente era "Raag Ragini" , poi sostituito con "Abhimaan"