30 ottobre 2011

BHUMIKA



Considerato tra i migliori lavori di Shyam Benegal, Bhumika è un racconto lento e sofferto che ferisce per la natura dei suoi contenuti ma ammalia per la qualità delle interpretazioni e la cura nell’architettura narrativa. Un presente sbiadito si intreccia a ricordi girati in seppia prima che irrompano i colori e le luci di scena dell’industria cinematografica. Vestita di seta lucente, vistosamente truccata, cavigliere e fiori nei capelli, Usha / Urvashi  si presenta al suo pubblico con un’esibizione di danza nel set, la troupe è in fermento, le ragazze più inesperte la seguono, i tecnici la fissano estasiati, il suo sguardo trascina la telecamera con una malinconia che seduce mentre i passi veloci nascondono un’energia solo apparente. Smita Patil ha sentito il personaggio, l’ha fatto muovere, camminare, respirare, le ha prestato il suo volto, gli occhi intensi e il nero conturbante dei suoi capelli, ha fatto tremare le sue mani davanti alla sorpresa e al dolore, le ha dato la speranza di continuare a cercare, l’ha resa raggiante come una giovane sposa, ha spento le emozioni senza fiatare di fronte alle gabbie decise dal destino.


TRAMA
Usha (Smita Patil) viene spinta dalla madre ad entrare nel mondo del cinema ancora bambina, inizia come playback singer per divenire poi una delle attrici più richieste. All’apice della sua carriera i gossip la avvicinano all’attore Rajan (Anant Nang) quando invece è segretamente incinta di un amico di famiglia molto più grande di lei (Amol Palekar). Dopo il fallimento del matrimonio la donna cerca nuove relazioni , con un regista ombroso (Naseruddin Shah) e con un ricco proprietario terriero (Amrish Puri), ma le illusioni crollano e la sua vita torna di nuovo al punto di partenza: il piccolo appartamento di Mumbai, la pioggia, la solitudine e la sua professione nello spettacolo.


Smita Patil , insieme a Naseruddin Shah e Shabana Azmi, è stata una delle maggiori personalità della New Wave del Cinema Parallelo prodotto in India tra gli Anni ’70 e gli ’80, impossibile non restare folgorati dalla sua forte presenza scenica e dell’intensità, a volte inquietante, dei suoi sguardi. Smita ha prediletto ruoli controversi e scene drammatiche, profonde discese nell’interiorità dei personaggi ed esplorazioni dei molteplici aspetti dell’essere donna. Le innegabili doti dell’attrice, purtroppo prematuramente scomparsa, non smettono di destare meraviglia e ammirazione.
Il film è un viaggio tutto al femminile verso la totale disillusione, la riappacificazione con la solitudine e con la propria identità. Le figure maschili sono deboli, ipocrite e insensibili, sembrano loro piuttosto che l’attrice sul set a dover indossare delle maschere e portare avanti un ruolo con battute circostanziali, parole vuote e lusinghe. Uomini che non amano, che sfruttano, che schiavizzano, che  nascondono la prima moglie inferma o celano il loro passato agli occhi della nuova conquista. Gelidi di fronte ai sentimenti, attratti solo da una bellezza ormonale ed estetica, pronti a stancarsi facilmente e passare oltre, come se niente fosse.
Usha è una donna indipendente ma fragile, sa essere pratica e adattarsi a nuove situazioni, riesce a gestire la sua immagine pubblica eppur fallisce nell’individuare la natura dei suoi legami affettivi e non smette di raccontarsi bugie; ripetutamente si inganna, non vuole riconoscere di essere circondata dal nulla, prova a pensare al futuro ma continua a scegliere il passato e per abitudine si unisce all’uomo sbagliato.  La protagonista ha la tendenza a spingersi verso l’ignoto per poi correre nuovamente verso ciò che le è familiare, riascolta il vecchio disco della nonna, cerca rifugio tra gli alberi del giardino, tra le braccia dell’uomo che conosce da una vita o sotto casa dell’attore la corteggiava da ragazza, si guarda riflessa allo specchio negli attimi di tensione o di paura. La continuità di certi elementi ormai fissi nella sua vita divengono una spiaggia su cui riposare quando anche le novità si rivelano inaspettatamente tristi.
Le situazioni si ripetono, la donna lascia la vita di prima e prova ad iniziare daccapo, cede alle attenzioni di Sunil perchè l’uomo è attratto dal suo spirito ribelle e li accomuna la stessa inquietudine. Il personaggio , forse il più complesso profilo maschile del film interpretato da un grandissimo Naseruddin Shah, è l’artista  sensibile ma nichilista, o meglio, la proiezione di esso. Gli eventi sembrano provare che la creatività e il dono dell’intelletto non rendono la persona più completa e profonda, anzi, l’arte stessa diventa un rifugio dal terrore della mediocrità di un’esistenza come tante. I punti di vista dell'ombroso regista sono affascinanti,   il modo in cui esce di scena fa però riflettere attorno ai limiti e alle contraddizioni di questa figura,  lasciando il pubblico a chiedersi se la sua emotività non sia stata solo di facciata e quindi  nient'altro che uno dei tanti ruoli.  
Fuggendo nuovamente dal marito geloso e sfruttatore (Amol Palekrar)  Usha incontrerà Vinayak (Amrish Puri) l’altero nobiluomo che le prometterà una vita serena per poi soffocarla nelle regole asfissianti della sua rigida impostazione patriarcale. La donna desidera reinventarsi e spogliarsi dell’abito di scena (per lei materializzazione delle ipocrisie)  ed è così disperata nel suo intento che sceglie con fretta e non riesce ad accorgersi né della freddezza, nè della malafede degli altri. Anche se cerca di voltare le spalle al passato i suoi volti e le sue situazioni ritornano e tutto comincia da dove è iniziato.
Ogni elemento è curato con attenzione, le ambientazioni, le battute e persino i silenzi. Il passare degli anni si può avvertire da dettagli come il variare dei modelli di automobili e acconciature o le differenze nelle tipologie di set in cui Usha sta lavorando, da avventure di cappa e spada al mitologico, fino a storie d’amore e melodrammi. La fotografia di Govind Nihalani propone un duplice racconto in bianco nero e a colori,  tinte e luci che sembrano impazzire ed esplodere nel numero musicale di apertura e chiusura. Smita Patil è impeccabile come tutti i co-protagonisti, lo script è solidissimo, la regia audace, la storia è un sofferto confluire  di eventi sbagliati, fin troppo realistica da lasciare amarezza.  

Il mio giudizio sul film : ***** 5/5


ANNO: 1977

REGIA : Shyam Benegal

TRADUZIONE DEL TITOLO : Il ruolo

CAST
Smita Patil ………………….. Usha
Amol Palekar ………………….. Keshav
Naseruddin Shah ………………… Sunil Verma
Amrish Puri …………….. Vinayak
Anant Nang …………………. Rajan


COLONNA SONORA : Vanraj Bhatia, testi di Majrooh Sultanpuri

PLAYBACK SINGERS: Chandru Atma, Firoz Dastur, Uttara Kelkar, Saraswati Rane, Preeti Saagar e Bhupendra.



QUALCOS’ALTRO:

La trama del film è ispirata alla biografia dell’attrice marathi Hansa Wadkar dal titolo Sangtya Haika

Bhumika è stato dichiarato miglior film dell’anno alla cerimonia dei Filmfare Awards nel 1978, nello stesso anno Smita Patil si è aggiudicata il National Award come Miglior Attrice Protagonista

Urvashi, il nome d'arte scelto da Usha al suo ingresso nel mondo dello spettacolo, è legato ad una figura della mitologia hindu, la danzatrice celeste.

Bhumika : The Roles of Smita Patil è il nome dell’esposizione temporanea tenutasi nel 2010 presso il Lincoln Centre di New York, curata dalla sorella minore Manya Patil.

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