09 ottobre 2021

H E R O


Immaginate un pericoloso virus per il quale non esistano cure o vaccini. Immaginate una pandemia e un lockdown globali, un'economia depressa, umori ancora più depressi.
Ora immaginate un manipolo di amici, tutti professionisti del cinema, che, di punto in bianco, decidano di trasferirsi per un periodo imprecisato in una località sperduta. Bagaglio? Vediamo: attrezzature al minimo, un drone, un coccodrillo con problemi gastrici. Nessun progetto definito, solo il desiderio di lasciarsi alle spalle l'inattività forzata e di realizzare qualcosa insieme.
Quale testamento lasciare agli eventuali alieni in visita ad un mondo ormai disabitato? Hero, il racconto straziante delle ultime ore di un'umanità condannata all'estinzione.

Sbagliato. Anzi, giusto, tranne l'ultima frase. Perché il nostro è un gruppo di mattacchioni spudorati. Perché l'esperienza bucolica si trasforma in esperimento burlone. Perché Hero è una commedia, a tratti demenziale, dal sonnacchioso primo tempo, seguito da una truce impennata. Splatter, sangue che zampilla, cadaveri che arredano, inseguimenti, zuffe. Il tutto condito da un malandrino commento musicale. E non perdetevi i titoli di coda.
Un soggetto sfruttatissimo vivificato da una delirante sceneggiatura e da una buffa regia. Girato in 43 giorni, Hero è una parodia dei cliché del masala: machismo, amori, gangster sociopatici, vendette, violenze, riprese al rallentatore, combattimenti inverosimili. Gli effetti speciali sono giocoforza casalinghi, ma contribuiscono a strappare sorrisi. Le sequenze d'azione, nel secondo tempo, sono stupefacenti per inventiva e sfruttamento scaltro delle poche risorse a disposizione. I personaggi sono gioiosamente di cartone. Gli attori si abbandonano alla giostra improvvisata sul set e come viene viene. Tutti fanno tutto: le star collaborano con i tecnici, i quali, a loro volta, recitano in ruoli minori o si limitano ad essere comparse silenziose - mi riferisco ai numerosi cadaveri - e sembra non abbiano fatto altro - intendo attori di supporto, non cadaveri - nella vita.

Quale insegnamento possiamo trarre da Hero? Che non è solo la fame ad aguzzare l'ingegno, pure le pandemie (e la noia). Hero non è impeccabile, ma a modo suo è un dito medio al coronavirus. Immagino sia stato terapeutico - oltre che divertente - per la trentina di persone che lo hanno realizzato. Noi spettatori ringraziamo. Quanto agli alieni, beh, sarà per la prossima volta.

TRAMA

L'eroina pianta in asso l'eroe e sposa il gangster. L'eroe pianifica la vendetta. Ma l'amore trionfa e si chiarisce tutto: l'eroe non è propriamente un eroe, il gangster si scontra con una pentola a pressione, e l'eroina si rivela assai poco tradizionale. Che la (caotica) caccia abbia inizio.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* L'audizione per selezionare il team a cui affidare la spedizione punitiva.
* L'energumeno con clava e un'irrefrenabile passione per i cinghiali. E il cuoco ricciolone, chiacchierone, incurante di quanto lo circonda.
* La sequenza del trattore.

RECENSIONI

Deccan Herald: ***
'Technical brilliance is a minimum guarantee in Rishab Shetty's films. Hero, shot entirely during the Covid-forced lockdown last year, deserves extra praise in this aspect. Every department of the film is solidly handled to hold the wafer-thin story. Director M. Bharath Raj debuts with a violent action-adventure laced with terrific dark humour. (...) The excessive bloodshed shown is new to Kannada cinema but Bharath has shot the gory violence with swagger, making the film a treat for fans of the genre. Arvind Kashyap's ambitious camera work and a plethora of quirky characters delivering crackling one-liners make the first-half an entertaining ride. (...) While the initial portions of the second half are gripping, the overdose of action towards the end makes the film a tad one dimensional. The leads' backstory isn't etched out well, perhaps due to the shooting restrictions caused by the pandemic. After setting the story well, Bharath's screenplay sags with no great twists. Rishab continues to grow in strength as an actor. (...) He is on-song here in the funny portions but his alcoholic acts are jarring. Ganavi has a great face for emotionally-charged roles, the film doesn't explore it fully. Ajaneesh Lokanath is the film's backbone with his gripping background score and melodious songs. (...) Hero falls short of being a great film but it's a laudable experiment'.
Vivek M.V., 06.03.21

Cinema Hindi: ***
Punto di forza: la goliardia e l'incoscienza.
Punto debole: il primo tempo è introduttivo con un ritmo un po' lento e una comicità diluita.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Rishab Shetty - il barbiere (Hero)
* Ganavi Laxman - la moglie del gangster (Heroine)
* Pramod Shetty - il gangster (Villain)
* Ugramm Manjunath Gowda - il figlio del gangster rivale
* Anirudh Mahesh - il dottore
* Kiran Kinna - il cuoco

Regia: M. Bharath Raj
Sceneggiatura: M. Bharath Raj, Anirudh Mahesh, Nithesh Nanjundaradhya, Trilok Trivikrama, Rishab Shetty
Colonna sonora: B. Ajaneesh Loknath
Coreografia delle sequenze d'azione: Vikram Mor, Rishab Shetty
Lingua: kannada
Anno: 2021

RASSEGNA STAMPA

* Director M. Bharath Raj, actor-producer Rishab Shetty on the making of Kannada film Hero during lockdown, Firstpost, Subha J. Rao, 10.02.21. Il pezzo raccoglie anche le dichiarazioni di Vikram Mor, il tecnico che ha ideato le sequenze d'azione. Un estratto: 'The film was not a planned one. In fact, the ideation and writing just took three days, and the team suddenly found itself in the midst of shooting. “This is Bharath’s debut, and even his parents did not know that. Our dialogue writer was writing dialogues till the last day of shoot,” laughs Rishab, who is also the film’s producer. What makes Hero special is that unlike a typical “lockdown” project, it has all the trappings of a commercial film - stunts galore, great music, a lot of characters, and the vast expanse of coffee estates. In one fell stroke, it has changed what a film shot during the pandemic must look like. (...) Before they changed their mind, the team of about 25 headed to shoot in idyllic Chikkamagaluru. “We decided to do something, a short, a 90-minute film, a full feature... and release it in the theatre, on OTT or YouTube,” says Rishab. (...) “This was an adventurous process, and we were all high on energy,” says Rishab. (...) Hero was shot during lockdown, but they wanted it to look like a regular film. “Our only compromise was doing something differently from what we were used to, not on the quality,” says Bharath. “We tried to convert those limitations into a challenge that we could overcome. We were on set 24x7, and we spent every moment together. The cot you see in the trailer, that was where Rishab, Pramod Shetty and the others slept at night. We lived and shot together.” (...) Vikram Mor (...) came with just an assistant, and says they decided to shun any movement that defied physics and gravity or anything that needed a crane and ropes. “The focus was on realistic fights and we used everyone. The topography lent itself to some stunts. My assistant appeared in a scene, so did the director and his assistant. You can see my back too. In fact, Anirudh (Mahesh, cosceneggiatore) even wrote out the fight scenes. It was an invigorating experience,” he says. Rishab says that no one on set was anything less than involved. “That is the reason we have managed to do what we did. There was no hierarchy or division. Everyone did their job and went on to help the other.” (...) Bharath chips in to say that the one thing missing during filming was ego. “We were ruthless with feedback, and everyone accepted what was best for the film. It was a very democratic process”. (...) As for the ‘look’ that everyone is raving about, Bharath puts it down to the fact that everyone was involved in what was happening. “Many of the cast are non-actors. I did not interfere too much in how they reacted. When you give people freedom, it shows on screen.” (...) Vikram was initially supposed to be with the team for just two or three days. The film now has about 30-40 minutes of action. “I used everything we had in the spot - a stream, the undulating terrain - to create stunt sequences. And, everyone trained hard, because there was no other short-cut possible.” This film, says Vikram, has meant a lot of learning. “We learnt to push ourselves, we learnt what we were capable of, and we learnt to have fun too.”

CURIOSITÀ

* Rishab Shetty è anche il produttore del film. Rishab in passato ha diretto una manciata di pellicole, fra cui Sarkari Hi. Pra. Shale, Kasaragodu, Koduge: Ramanna Rai, a cui è stato conferito il National Award per il miglior film per ragazzi.

Il cast di Hero


24 settembre 2021

SANDEEP AUR PINKY FARAAR


I thriller realizzati con cura e attenzione ai dettagli sono rari. Sandeep Aur Pinky Faraar rientra in questa categoria: è ben scritto, ben interpretato, superbamente diretto. La sceneggiatura è compatta e intriga, la tensione è costruita con mestiere. Non mancano passi falsi - o sul ciglio di esserlo -, corretti da una regia di altissimo livello. Il ritmo non è sempre rapido, ma la trama imprevedibile e la narrazione sostenuta compensano.
I personaggi sono interessanti, e non solo i principali: non vi è il tempo per approfondirne le psicologie - il genere non lo richiede -, eppure funzionano, sono credibili (con l'esclusione dell'edulcorato Munna), e, malgrado l'etica e i comportamenti discutibili, ti appassioni alle loro vicende. Quasi tutti hanno a disposizione scene e battute adeguate, e non si limitano allo sfondo.
Qualche minuzia stilistica o tecnica è ricorrente: il rosa, nomignolo per uno dei personaggi iniziali, bizzarro soprannome del protagonista maschile, squillante colore da indossare per salvarsi la pelle. In contrasto, una luna livida, notturna, che si incunea fra nubi cupe e minacciose. La borsa costosa di Sandy, a cui la donna resta aggrappata per non perdere la propria identità.

Parineeti Chopra regala una performance misurata, a tratti emozionante. La sua Sandy è il perno della storia, è lei che conduce il gioco, che decide tempi e modi per svelare l'intrigo a Pinky e a noi spettatori, e che sperimenta un'evoluzione interiore. Arjun Kapoor (Pinky) è la spalla perfetta. Scorro la sua filmografia e scopro di averlo forse sottovalutato: nel corso di una breve - per gli standard indiani - carriera, Arjun ha selezionato un discreto numero di pellicole e ruoli corposi. Pinky è introverso, violento, bugiardo. La sua è una formazione recalcitrante e più lenta. Ottimi gli attori di supporto, in particolare i deliziosi Raghubir Yadav e Neena Gupta.

SAPF è uno dei lavori meglio riusciti di Dibakar Banerjee, una pellicola di intrattenimento che scardina qualche luogo comune. Sandy è un'eroina negativa che si ribella a modo suo al maschilismo imperante, che gioca sporco (ed eccelle) sullo stesso terreno dei personaggi maschili, che ribatte colpo su colpo (anche fisicamente), [spoiler] la cui gravidanza detta le regole, e il cui aborto spontaneo chiude il cerchio del suo percorso formativo. Sandy è la figura più intelligente del gruppo, è manipolatrice, avida, egoista. Nessun personaggio maschile ne esce bene (tranne Munna, che però paga il prezzo di una scrittura modesta), nemmeno l'enigmatico Pinky. Nessuna storia d'amore vede la luce, e non se ne sente la necessità.

TRAMA

Sandy è una donna di successo e priva di scrupoli. Pinky è un poliziotto sospeso dal servizio. Sandy ha un appuntamento a cena con l'uomo che - forse - ama, ma è Pinky a presentarsi, con l'incarico di condurla via. Nel modo più imprevedibile e violento, partono una caccia e una fuga, e solo uno dei due protagonisti ne conosce la causa.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* L'inizio fulminante, che si intreccia in modo geniale alla storia principale.

RECENSIONI

Film Companion:
'We’ve seen it a hundred times before. Urgent city woman finds herself on the run with a grumpy stranger. (...) It’s them against the world. (...) After early missteps, they start to understand each other. Their unusual partnership finds a language. In the hands of most filmmakers, this is a narrative template - chalk and cheese escape, lie, run, grow, experience and eventually love together. Romance and comedy co-exist. Drama and thrills co-inhabit. Every scene exists to inform the progression of this narrative; the surroundings and changing landscapes are ornamental. But Dibakar Banerjee is not most filmmakers. In his hands, the film itself is incidental. Every other scene chances upon a world that’s already in motion. Each moment is visually designed to remind us that no journey exists in isolation - there are people doing things, places being busy, lives being led, jobs being done. In Sandeep Aur Pinky Faraar, even scenes of exposition are framed as part of a larger universe. (...) It reminds the viewer that films, too, form the background of other ongoing stories and spaces - the only difference is that the camera happens to be on certain people in certain circumstances, and not on others. (...) This also explains the memorable opening sequence. (...) This interplay of perspectives triggers a cinematic language that filters through the rest of the film - and one that has long defined Dibakar Banerjee movies. (...) No other director in modern Hindi cinema implies so much - information, context, psychology - with so little. (...) As a result, the writing of Sandeep Aur Pinky Faraar earns the freedom to eschew genre motifs like pace, suspense and slickness. It doesn’t move as fast as one might expect a cross-country “chase” to. It’s not as entertaining to watch either, because it resists the careful orchestration of the movies. (...) Nothing is smooth, which is why the story takes its time to marinate in the uncertainties of its people. Coming to terms with their status as fugitives is an uphill struggle, and it’s to the creators’ credit that they aren’t exactly role models. (...) The performances suit the bleak pragmatism of the narrative. (...) We know that Arjun Kapoor has limitations, but it’s usually up to the directors to envision him in a role that can weaponize these flaws. Banerjee manages to justify the incessant poker-face on most occasions, because Pinky is presented as a man who is too used to being a victim. But it’s Parineeti Chopra who stands out. (...) She is uncharacteristically restrained, especially in conveying the subtext of Sandeep. For instance, more than once, we see her brutally assaulted by a man. But her reaction - where she somehow collects herself faster than most girls might - suggests that she may have been a victim of violence before. These little things matter, and Chopra elevates a character that can’t afford to be arrogant or gimmicky just because the people she encounters are of a different social class. Kapoor and Chopra’s third collaboration (...) goes to show that perhaps actors can only be as good as their directors allow them to be. It helps that someone like Dibakar Banerjee doesn’t film humans too differently from the way he films places. If one is in motion, the other automatically appears to move. Consequently, the two combine to make Sandeep Aur Pinky Faraar defy the slice-of-life-comedy sound of its title. It’s more of a road movie. But not in the strictest sense of the term. A road, after all, is a painstakingly crafted link between two destinations. Our eyes may always be on the road, but life accumulates on both sides - beyond the field of view'.
Rahul Desai, 19.03.21

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: regia, sceneggiatura, cast.
Punto debole: qualche aspetto nella trama e nella sceneggiatura: mal costruita la vicenda del tentato suicidio di Munna, inspiegabile la collaborazione del padre di Munna dopo il tradimento, fuori posto il nitore e la serenità della scena finale.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Parineeti Chopra - Sandeep (Sandy)
* Arjun Kapoor - Satyendra (Pinky)
* Jaideep Ahlawat - Tyagi, il superiore di Satinder
* Neena Gupta - la signora che ospita Sandy e Pinky
* Raghubir Yadav - il marito della signora
* Rahul Kumar - Munna, amico di Pinky

Regia: Dibakar Banerjee
Sceneggiatura: Dibakar Banerjee, Varun Grover
Colonna sonora: Anu Malik
Traduzione del titolo: Sandeep e Pinky in fuga
Anno: 2021

RASSEGNA STAMPA

* Why a film like SAPF can't be shot during the pandemic!, Mid-Day, 17.03.21. Dibakar Banerjee dichiara: 'I am so happy that in the middle of COVID, I am releasing one of my films which captures the outside so much. It’s all about the outdoors, the roads of Delhi, the hills of Uttarakhand, the buses, the train stations, so you are really outside and you are with people, the texture, the locations, the mountains, the hills, the bus stations, the Gurgaon highways. (...) I am so happy that the film is releasing right now because when we see this it’s like something that we can’t show right now, something that we can’t shoot right now. It’s like glimpses of what was pre-COVID. It is such an amazing glimpse and such a nice sort of historical moment. It’s a very, very pre-COVID film. (...) No one looks pretty when your life is being choked out of you. (...) There are many in India who know how this feels. But not Parineeti and Arjun. I had to figure a way of making them angry, bewildered and scared and alien to each other which is why I had to bar them from meeting each other socially till they met for the first time on the sets in character'.

CURIOSITÀ

* Dibakar Banerjee ha anche prodotto il film, firmato il commento musicale e collaborato alla stesura dei testi delle canzoni. Banerjee ha imposto ai due attori protagonisti - grandi amici nella vita - di non interagire fra loro al di fuori delle riprese.
* Riferimenti al cinema indiano: Salman Khan e il suo celebre braccialetto, Hrithik Roshan, Jab We Met, Dabangg.
* Film che trattano lo stesso tema: NH10 è un buon thriller on the road con protagonista femminile.

GOSSIP & VELENI

* Parineeti Chopra è la cugina di Priyanka Chopra.

12 settembre 2021

HALAL LOVE STORY


In superficie, Halal Love Story è una commedia leggera. In tono bonario descrive le preoccupazioni quotidiane dei devoti musulmani nel distinguere ciò che è halal da ciò che è haram. Prende di mira pure il mondo del cinema, sempre con affetto. La pellicola non scatena risate fragorose, la resa è divertente ma con moderazione. I personaggi sono caldi e simpatici. Bravi gli attori.
HLS racconta inoltre l'evoluzione di una relazione di coppia. Suhra e Shereef, i protagonisti, esplorano le dinamiche possibili concesse dal loro credo e rinnovano il rapporto che li unisce. La forza femminile gradualmente emerge: Suhra irrompe a metà film e se ne appropria. È Suhra che scuote la facciata halal del matrimonio per poi ricostruirlo, insieme al marito, sì in modo halal, ma nella sostanza e non nella forma.

Più in profondità, la faccenda si complica.
Il gruppo religioso raffigurato in HLS è di un conservatorismo quieto. Alcuni personaggi si ritengono - forse lo sono - addirittura progressisti. Tutti gli aspetti - negativi inclusi - vengono sondati, senza mai condannare o assolvere. HLS si sforza di rappresentare la realtà, edulcorandola con una punta di umorismo. È una satira? Non proprio, ci si avvicina per poi allontanarsi di corsa prima di sforare nell'haram. Interessante il dualismo fra la pellicola televisiva che si vuole realizzare nella storia, e quella vera davanti ai nostri occhi, anch'essa cauta nei confronti dei principi halal.
Mi spiego meglio. Il film si apre con brevi sequenze dell'attentato alle Torri Gemelle, accompagnate da un commento antiamericano. Il ragazzo preposto alla realizzazione del video, però, si stufa presto e propone uno spuntino goloso, e poi si allarga: perché non mollare i proclami infuocati e dedicarsi invece al dorato (forse haram) mondo del cinema? Ecco introdotto il tono di HLS, un'oscillazione continua fra una sonnacchiosa propaganda e lo sberleffo benigno. Altro esempio: durante una manifestazione pubblica, vengono bruciate fotografie che ritraggono Bush. Il corteo pare più un'innocua sagra paesana, una sorta di carnevale a basso budget, che un'espressione di estremismo integralista.

La sceneggiatura di HLS è frammentata, e non intenzionalmente, malgrado la narrazione sia lineare. Non mi è chiaro lo scopo del regista e sceneggiatore Zakariya Mohammed. HLS, almeno in parte, è un prodotto più sottile e stratificato di quanto non sembri. Ma è anche, almeno in parte, ambiguo.
HLS prova a rispondere, a modo suo, alla domanda: com'è essere musulmani nel quotidiano? Come conciliare le normali attività con i precetti? È un film religioso - apprezzabile che si sia scelto il tono da commedia - ma non nel senso mitologico che da sempre, persino nell'animazione, caratterizza una certa produzione cinematografica indiana (credo principalmente di estrazione hindu). È più catechistico, più ecumenico, meno epico. Talvolta sembra sfiorare la propaganda. Si muove sul filo del rasoio, e - forse - porta a casa il punto.

TRAMA

Un gruppo locale musulmano, più o meno ortodosso, decide di realizzare un telefilm di tipo propagandistico-religioso che possa raggiungere il maggior numero possibile di persone grazie alla televisione. Il telefilm dev'essere di un halal immacolato. Ma anche le modalità con cui finanziarlo e produrlo devono essere halal. Un'intera comunità si coagula intorno al progetto a suo modo rivoluzionario, progetto che innesca confronti, discussioni, riflessioni.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* Esilaranti le interazioni fra il cast musulmano ortodosso e quello non: la battuta non vogliamo Bismillah, solo Suhra, pronunciata con disarmante naturalezza; la Coca-Cola, che è halal, ma non si può bere per motivi politici; la confusione generata dai troppi sahib in giro sul set.
* Esilaranti anche le riprese: il cameo di Soubin Shahir e il suo tonante silenzio!, le difficoltà del suono in presa diretta, il metodo - diciamo - fisico nello stabilire il numero dei giorni necessari per le riprese.

LA BATTUTA MIGLIORE

* Lo sceneggiatore (halal) al regista (haram): Art is not unidimensional, art is not a path set in one direction. Don't people like us deserve to watch films? Don't we deserve to make films? Un punto, bello grosso, a favore di HLS, e un colpo demolitore alla mie perplessità.

RECENSIONI

The Hindu:
'It takes its time to get into its groove, especially in the initial parts where the show of religiosity is overdone, even considering the fact that a religious organisation is at the centre. The real-life issues of the actors and the director merging seamlessly into the film’s content makes for some of the film’s most interesting passages. (...) The smatterings of humour and the performances of Grace Antony and Joju George holds the film together to an extent. Yet, the script, that does not have an emotional core (...), slackens later and meanders to a tame ending. Although the film’s writers try to convey an impression that they are lampooning some of the regressive aspects of this religious organisation, there is a level of ambiguity on where they stand. When Taufeeq, the writer of the film within the film, passionately argues with the director that they also want to make films which can cater to the narrow sensibilities of the members of their organisation, one gets the sense of the film casting a very sympathetic, supportive light on him. At a time when newer boundaries, previously non-existent, appear out of nowhere to hem in artists and even advertisement filmmakers, this rather positive, lighter take on ‘conservative’ filmmaking is somewhat problematic, despite some of the effective humour'.
S.R. Praveen, 15.10.20

Film Companion:
'We are talking about a religion with a contentious relationship with cinema - and that’s what makes Halal Love Story something of a political statement. (...) Halal Love Story is a very funny film. (...) And yet, the subtext is always serious, always linked to halal/haram, and what it means to be a Muslim. (...) Unfortunately, the second half undergoes a tonal shift and becomes serious. “Becoming serious” is in itself not an issue. But given the humour-coated approach in the first half, some of the latter portions are too heavy, too big for a film that’s so far been working in a miniaturist mode. (...) Grace Antony is the star of Halal Love Story: she has killer lines and looks, and she aces each one of them. Among the men, I loved Sharaf U Dheen, who plays the schoolteacher who becomes the screenwriter and keeps wondering about the halal to haram ratio in the film-within-the-film. The film’s biggest meta idea is the sight of Shereef and Suhara talking about physical intimacy and sex. Yes, within the context of Halal Love Story, they are talking only to each other, man to wife. But outside, every single viewer watching this movie is witnessing this conversation. Flaws and all, Halal Love Story is a sign that Malayalam cinema is poised for its biggest revolution in “Muslim filmmaking” yet'.
Baradwaj Rangan, 24.10.20

Cinema Hindi: *** 1/2
Punto di forza: il soggetto, la regia, il personaggio di Suhra.
Punto debole: qualcosa nella sceneggiatura non mi convince, ma probabilmente è stato fatto quanto possibile senza rischiare la scomunica. Il mix - apprezzabile nelle intenzioni - film religioso/satira, non sempre funziona. Il ritmo è un po' mesto, l'inizio un po' rigido, la leggerezza troppo diluita. La sceneggiatura a tratti perde la concentrazione.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Grace Antony - Suhra, la protagonista
* Indrajith Sukumaran - Shereef, il protagonista, marito di Suhra
* Sharaf U Dheen (davvero amabile) - Thoufeeq, lo sceneggiatore
* Joju George (molto nel ruolo) - Siraj, il regista vagamente haram
* Nazer Karutheni - Raheem, l'assistente di Thoufeek
* Soubin Shahir - Azad, il tecnico del suono
* Parvathy Thiruvothu - Haseena, l'insegnante di recitazione

Regia: Zakariya Mohammed
Sceneggiatura: Muhsin Parari, Zakariya Mohammed, Ashif Kakkodi
Colonna sonora: Bijibal, Shahabaz Aman, Rex Vijayan
Lingua: malayalam
Anno: 2020

RASSEGNA STAMPA

* What makes malayalam actor Sharaf U Dheen of Halal Love Story an audience favourite?, Film Companion, 23.11.20: 'It’s impossible to ignore the actor on screen, even when or rather especially when he’s playing a small role. (...) He knows his character better than anyone - that’s why he can fully immerse himself into his characters and let us laugh at him. (...) Thoufeeq is nothing like Sharafu’s previous characters. (...) Sharafu has not played many roles with layers before, but he slipped into the nuanced character of Thoufeeq with ease and won over the audience with his warm manners. Sharafu is also aware as an actor. He has chosen a range of atypical roles without wondering about the consequences. (...) This attitude and the ability to choose well-written characters are among Sharafu’s biggest strengths'.

CURIOSITÀ

* Sudani from Nigeria, l'acclamato lungometraggio di debutto di Zakariya Mohammed, si è aggiudicato il National Award per il miglior film malayalam.
* Riferimenti all'Italia: la pellicola che Thoufeek mostra ai ragazzi della sua scuola è Nuovo Cinema Paradiso, più o meno halal.
* Film che trattano lo stesso tema: Tere Bin Laden è una satira pungente, più politica che religiosa. Supermen of Malegaon è un documentario che racconta la passione dei cineasti dilettanti di Malegaon nel produrre parodie locali a bassissimo budget di pellicole famose, indiane e non. Il divertente Filmistaan mescola la realizzazione di un documentario con un rapimento in Pakistan.

GOSSIP & VELENI

* Indrajith Sukumaran è il fratello di Prithviraj.

06 settembre 2021

L O V E


A dispetto del titolo, Love non è una storia d'amore. L'amore c'è stato - le numerose fotografie sulle pareti lo testimoniano -, ma è finito. Rimangono solo rancori, recriminazioni, e una rabbia incontrollata. Love è un thriller psicologico ambientato in un appartamento - e in uno stato mentale. È una storia di interiorità e di violenza domestica portata alle estreme conseguenze.
I personaggi si muovono con circospezione, come su un palcoscenico teatrale. Gli attori sono efficaci. La regia è calibrata, lucidamente acuta nel tenderci il tranello. La sceneggiatura è sconcertante, forse un po' verbosa. La sorpresa non è solo nella trama - nel finale -, ma anche e soprattutto nelle modalità di narrazione.
Love è sperimentale, claustrofobico, ed è il brillante risultato di un'idea partorita e sviluppata durante il lockdown. La sua estetica e la sua realizzazione sfruttano a loro favore le restrizioni imposte sui set a causa del covid-19. Dopo il misurato Unda, Khalid Rahman ci regala una nuova pellicola insolita e originale.

Alla seconda visione, Love sembra un altro film. Mi ha turbato. Cessa di essere un thriller e diventa persino più inquietante. La sceneggiatura si rivela ossessiva, complessa. Immaginazione e ricordi si confondono. La verbosità è un continuo rimuginare, un continuo avvitarsi sullo stesso punto.
[Spoiler] Love è la rappresentazione di una mente tormentata, che si crogiola nel vittimismo e nell'autoindulgenza, ma che cerca disperatamente di arginare la follia mentre la sua razionalità vacilla. È la storia amara di un'involuzione patologica, di un uomo che affronta - già sconfitto - varie espressioni del suo io.

TRAMA

Deepthi aspetta un bambino. Il rapporto col marito Anoop - disoccupato, alcolista, bugiardo - si è deteriorato. I due, invece di celebrare il lieto evento, litigano furiosamente e in modo definitivo. Anoop è sotto shock, ma non c'è tempo: nell'appartamento è tutto un viavai di amici e parenti.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* [Spoiler] Anoop si rende conto di ciò che ha commesso. Il suo sguardo. La sua immobilità. Sfiora Deepthi con delicatezza. Bravissimo Shine Tom Chacko.

RECENSIONI

The Hindu:
'The narrative is guised in the cloak of a thriller. Structured as an incident and its aftermath that unfurl inside an apartment, the proceedings are cleverly designed so as to mask the shortcomings posed by the pandemic. (...) Love doesn’t feel contrived, aesthetically or technically. Khalid Rahman succeeds partially in his attempt to lend an air of authenticity. Only partially because, for a movie shot with so many challenges in place, an area where it surprisingly falls short is its writing. This is despite the dark humour that adorns the narrative occasionally. (...) But these aspects ultimately serve as embellishments to a story that nosedives towards the fag end. Hurting the movie’s cause is the final act that comes across as a stroke of convenience, making the entire plot look like an extrapolated short film. Even Shine Tom Chacko (...) fail to sustain the momentum. Love has a brisk runtime of 91 minutes. For once, maybe a few more minutes would have gone a long way towards adding plausibility and helping a film realise its potential'.
Adithya Narayan, 20.02.21

Film Companion:
'In this film, Things. Are. Not. What. They. Seem. (...) Love (...) subverts the romance inherent in the word. (...) The form (not just the making, but also the writing) is as misleading as the title. Love is tricky, and therefore, Love is tricky, too. It flips around genres like mad: it’s a narcissistic murder mystery like Alfred Hitchcock’s Rope mixed with a psychological black comedy like David Fincher’s Fight Club mixed with a domestic-abuse drama like Anubhav Sinha’s Thappad. The latter is probably the easiest reference point, but it was more direct in its appeal. And in terms of form, it was more traditional. (...) The form, therefore, becomes the content. (...) The screenplay builds up to a brilliant twist that involves all the characters (superbly played by Rajisha Vijayan, Veena Nandakumar, Gokulan, Sudhi Koppa and especially Shine Tom Chacko). This twist is (...) deeply rooted in psychology. If you feel the first hour or so is “going nowhere”, it’s deliberate. When you watch the film a second time, you won’t feel that at all. (...) There’s a very “male” line, one that’s been repeated down the centuries, that says we can never understand women. But Love says that men cannot understand themselves, either. We can have contradictory impulses that almost make us feel we are a different person altogether. I wanted some more flavour in the dialogues, but I think the “drabness” may be intentional. It may be a mirror of lines that have been said (...) and arguments that have been had (...) so often - with others, with ourselves - that they’ve become as flavourless as gum that’s been chewed for too long. It may even be a mirror of scenarios we have played so often in our heads that when that event actually occurs, we don’t react at all'.
Baradwaj Rangan, 20.02.21

Cinema Hindi: *** 1/2
Punto di forza: sceneggiatura (****), regia, Shine Tom Chacko.
Punto debole: narrazione un po' lenta, dialoghi un po' ripetitivi (ma è tutto giustificato).

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Shine Tom Chacko - Anoop
* Rajisha Vijayan - Deepthi
* Gokulan - amico (depresso) n. 1 di Anoop
* Sudhi Koppa - amico n. 2 di Anoop
* Veena Nandakumar - Haritha, amante dell'amico n. 2 di Anoop

Regia: Khalid Rahman
Sceneggiatura: Khalid Rahman, Noufal Abdullah (Noufal è anche il direttore del montaggio)
Colonna sonora: Yakzan Gary Pereira, Neha Nair. I titoli di coda sono accompagnati da due suggestivi brani di cui purtroppo non ho trovato dettagli.
Lingua: malayalam
Anno: causa covid-19, Love è stato distribuito nel 2020 solo nelle sale degli Emirati Arabi, e in seguito, nel 2021, offerto in streaming da Netflix.

RASSEGNA STAMPA

* Director Khalid Rahman will not be decoding his film Love today, Film Companion, Vishal Menon, 13 marzo 2021. Nell'intervista, Rahman fra l'altro dichiara: 'It was one of the first theatrical releases post lockdown and we didn’t have the time to plan a marketing strategy. There was no market study per se. In a regular scenario, if people walk out after a movie because they didn’t understand it, they might be tempted to watch it again more patiently. But not when there’s a virus going around. Some of them watched it again on Netflix and it worked for them then. The film demands a certain mood and people understand that by the time it’s out on OTT. There would have been no Love without Covid. A couple of months into the lockdown I felt like I was going mad. Nothing was working out and I was feeling restless. So I planned to make a short film to get out of that rut. It was made in that aggression. It eventually developed into a feature but that wasn’t the initial plan. The film is set inside an apartment with actors who are all my friends. I had a story and the scene order ready but we were writing even during the shoot. So we were writing, shooting and chilling during the 25 days of Love. The whole process, from idea to first copy, took just three months. (...) Love is a film we wrote while in location. I stay in that apartment so its like I’m creating a screenplay based on the set I’m living in. Which means that I’ve tried to use every space of that 1100sq.ft apartment, either for drama or for staging'.

CURIOSITÀ

* Il film nasce come cortometraggio, e ciò spiega l'inusuale brevità di Love (90 minuti) per gli standard indiani. È stato girato in 25 giorni.
* Film che trattano lo stesso tema: Love prosegue la sperimentazione di Let's talk, e, per certi versi, ricorda Judgementall Hai Kya.

30 agosto 2021

BULBBUL



Ad un Paese come l'India si possono attribuire numerosi aggettivi, gotico non è fra questi. Eppure Bulbbul incanta con la sua atmosfera seduttivamente gotica. Non è un horror vero e proprio, piuttosto una favola oscura. Il set è uno splendido maniero, immerso nel verde, nel quale la vita scorre languida, anche se con un sentore nefasto. Gli interni sono sfarzosi ma cupi, gli esterni plumbei. La paletta cromatica si piega alla narrazione, alternando blu a improvvisi squarci oro e rosso sangue. Il colore del fuoco connota e circoscrive il fumoso reame del demone.

L'incrocio fra storia, leggenda, soprannaturale e religione, funziona. La sceneggiatura irrobustisce il tutto con una netta condanna al patriarcato, designando senza esitazione il personaggio - femminista e giustiziere - che incarna il bene. Gli attori sono convincenti, in particolare Tripti Dimri, che interpreta l'enigmatica protagonista Bulbbul, e Rahul Bose, in un maligno doppio ruolo.
Sono i personaggi ad essere poco profondi, ma la traiettoria di Bulbbul è significativa. Non si tratta di una formazione in senso tradizionale, bensì di una trasformazione - repentina e forzata da eventi tragici - da bimba sradicata, ad adulta umiliata, [spoiler] a creatura diabolica, braccio esecutore di una feroce mente divina. La seconda versione di Bulbbul è di una noncuranza esasperante. Con sguardo lontano e indecifrabile, valuta quanto la circonda ed emette le sue sanguinarie, inappellabili sentenze. Legittimo chiedersi quale sia la vicenda più raccapricciante, se quella umana di Bulbbul o quella demoniaca.
La bizzarra evoluzione della protagonista si contrappone alla triste parabola discendente della cognata Binodini, personaggio non solo sfortunato ma appesantito dalla zavorra dell'invidia e della propensione alla maldicenza. Binodini perde la sua occasione di riscatto perché troppo miope: confonde il nemico, e preferisce osteggiare Bulbbul invece di allearsi con lei.

Il film affascina perché evocativo, estetizzato, con un che di pittorico; e, come la nebbiosità cela il demone, le sue suggestioni celano le debolezze e ottenebrano efficacemente il giudizio.

TRAMA

La storia è ambientata in Bengala a cavallo fra l'800 e il 900. I personaggi appartengono ad un nobile casato. Una bambina, Bulbbul, è costretta a sposare Indranil, un adulto ombroso, ma la sua infanzia è allietata dal giovane cognato Satya. Un'amicizia esclusiva che sfocia in un triangolo - forse amoroso, forse no -, poi in uno scoppio di violenza, infine in un'epilogo di vendetta spietata e furia cieca.

RECENSIONI

Mid-Day:
'The film does well to visually draw you in. Those many allusions anyway mean this is original. It's certainly not a picture you've seen before. As none should be. This is quite an achievement, in fact. Given that the director (Anvita Dutt) is a first-timer. Although she's been around in the films for long - mainly in the music department as a popular lyricist, plus as screen/dialogue-writer. (...) There is a classical fable-like storytelling to start with. (...) There is a sense of something deeply interesting going on here. The question is, if the film - once its essential novelty has worn off, as it would be for any movie after the first few minutes - manages to consistently hold your interest. Honestly, it doesn't, quite. Not for me. And not for long, long passages, anyway. That's because there is really nothing going on, by way of keeping your mind ticking. Keeps you guessing, on occasion? Perhaps. But not even so much of that, really. There is low rhythm and drama. But more so, a declining sense of anticipation. (...) The extremely loaded, strong sub-text concerns patriarchy. (...) Do all these elements envelope/jolt you by the senses, or pull you further in ever so gently to seek more? Only over the last 10 to 15 minutes. Glad I surrendered my sleep for this visual splendour, right up until then. Wasn't particularly easy. Your turn'.
Mayank Shekhar, 25.06.20

Film Companion:
'A period-fantasy reimagination of the unrequited relationship between Bengali laureate Rabindranath Tagore and his sister-in-law Kadambari Devi. (...) Its foundation might be paper, but Bulbbul is a film of sight and sound. The nights leak ruby redness, the colour of danger and courage and menstruation. (...) In context of how it reconstructs feminism as a genre, Bulbbul follows in the footsteps of every Anushka Sharma film production (Clean Slate Films) so far. (...) Siddarth Diwan’s striking cinematography and Meenal Agarwal’s production design turn its palette into a goth-pop portrait of contrasts. A scene featuring a wounded woman bandaged in her bed morphs into a morbid symbol of broken puppetry. Another, featuring a forest fire, becomes a violent dance of primary colours. But the dark-fairytale vibe is driven home by Amit Trivedi’s score. The violin-heavy central tune is nursery-rhyme deceptive at first, but it builds into a melancholic Bhansali-like crescendo – the aural equivalent of a lonely peacock finally spreading her wings. (...) The way the images are conceived, cut and merged can only have been written to music. Too often, original soundtracks are composed to punctuate emotions and manipulate the viewer into feeling. The Bulbbul score is a rare instance where the music, too, tells a hidden story – of blossoming not by will but by necessity. Of saving in order to be saved. It makes us hear a concept that can’t be spelt out. It’s a bit like the perceptive casting of Parambrata Chattopadhyay, again, as a #NotAllMen character. For the third time, the soft-faced Bengali actor has been cast as a noble man in a sea of monsters – the outsider in sync with misfitted protagonists – in a Bengal-based Hindi film. The reel-real duality works, especially within the spatial surrealism of Bulbbul, where his plain doctor-attire is at odds with an environment of silk sarees and crisp waistcoats. (...) There’s an ethereal otherness about Tripti Dimri, who plays two versions, and whose face becomes the human incarnation of violin strings. (...) In a way, the literary roots of such movies suggest that – while male heartbreak can be immortalized by madness – female heartache is storified by sadness. It’s not enough for the girl to cry and scream in a courtyard. She must change a story rather than become one; she must make history rather than shape it. But maybe it’s enough that, in bygone eras and otherworldly Indias, she doesn’t need to be rescued anymore'.
Rahul Desai, 24.06.20

Cinema Hindi: *** 1/2
Punto di forza: la suggestione, la direzione artistica, il messaggio.
Punto debole: le allusioni che imboccano lo spettatore e anticipano il finale, un po' più di mistero non avrebbe guastato. Incomprensibile l'ingenuità con cui Bulbbul rivela il suo sentimento per Satya.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Tripti Dimri - Bulbbul
* Rahul Bose - Indranil e Mahendra, gemelli, rispettivamente marito e cognato di Bulbbul
* Avinash Tiwary - Satya, fratello minore di Indranil e Mahendra
* Parambrata Chattopadhyay - Sudip, il medico
* Paoli Dam - Binodini, moglie di Mahendra

Sceneggiatura e regia: Anvita Dutt
Colonna sonora: Amit Trivedi, che qui si avventura in territori inesplorati.
Fotografia: Siddharth Diwan
Anno: 2020

RASSEGNA STAMPA

* Bulbbul Director Anvita Dutt On Film's Depiction Of Abuse, Its Idea Of Violent Justice And Men, Huffington Post India, Ankur Pathak, 3 luglio 2020. Intervista davvero interessante. Un corposo assaggio: 'Everybody talks about how the film looks but to me that’s just hygiene. I’m an aesthete. I speak that language. Bulbbul isn’t just a sweet little fable but something that is a product of my pain and angst and inner turmoil. (...) (Riguardo alle violenze subite da Bulbbul) I wanted to take my character through the extremes of male violence. To break her down completely before I equip her to rise again. (...) I don’t want to show what is being done. No. I want to show what it’s doing to her. I want you to feel what she’s feeling. (...) You see something breaking inside her. There’s the physical part of it. And then there’s the spirit that’s destroyed. (...) Your heart has to break and you must become one with her vulnerability. Yes, it’s aesthetic. But the eventual feeling it inspires is horror. And the idea was for you to stay and process that violation and not look the other way. You already do that in real life. (...) Binodini is the film’s most tragic character. Although it’s Bulbbul who has gone through the worst, Binodini has suffered so much she couldn’t even rise. Bulbbul is complete. She found her power. Binodini didn’t become wise. She became shrewd. Her sense of power is petty. (...) (Riguardo alla prevedibilità della trama) It’s a gamble I took. For me, it was a ‘howdunit’ and not a ‘whodunnit’. It’s not an investigative mystery. I am telling you a tale of this girl. Who she is and how she became this way. (...) It was never supposed to be a suspenseful film. It was a character’s journey. Of this girl losing her freedom and then regaining it. (...) People call the film a feminist fairytale. It isn’t. It’s a tragedy. The story is set 200 years ago but it’s still relevant'.
* Recensione di Cinematographe, Francesca Romana Torre, 27 giugno 2020: 'Anvita Dutt (...) ha fatto un gran bel lavoro. Il suo è un approccio al genere horror molto denso di suggestioni locali e motivato da una grande tematica di fondo. Tuttavia, al netto di diverse ingenuità estetiche, riesce a declinare le atmosfere tipiche del soprannaturale in una chiave interessante e quasi sempre convincente. (...) Uno degli aspetti più destabilizzanti e allo stesso tempo interessanti di Bulbbul è proprio nel contrasto tra le atmosfere romantico-fantasy e la violenza sulla donna, mostrata con crudo realismo. (...) Anvita Dutt disegna (...) una specie di supereroina sanguinaria, la cui potenza affonda gli artigli in un immaginario secolare. (...) Bullbul non è un film perfetto ma è un film da vedere. (...) Anvita Dutt fa un’operazione piacevolmente contemporanea, ricca di sentimento e motivata da un’urgenza espressiva e politica da non trascurare'.

CURIOSITÀ

* Il maniero nel quale si svolge la storia è il Bawali Rajbari, situato a Nodakhali, località a 30 chilometri da Kolkata. Lo stesso maniero è il set del film Chokher Bali di Rituparno Ghosh.
* Parambrata Chattopadhyay, attore e regista bengali, vanta un albero genealogico di tutto rispetto: sua zia è la nota scrittrice Mahasweta Devi (La Preda, Einaudi), il suo bisnonno è il celebre regista Ritwik Ghatak. Parambrata ha debuttato nel cinema hindi con il solidissimo Kahaani, e, in qualità sia di regista che di attore, nel 2019 ha parzialmente girato in Italia Bony, film bengali di fantascienza non ancora distribuito nelle sale (clicca qui).
* Sembra che la relazione condivisa da Bulbbul e Satya si ispiri a quella fra Tagore e la cognata Kadambari, anch'essa sposa bambina. Kadambari fu devastata dal matrimonio di Tagore. Inoltre Birendranath, fratello maggiore dello scrittore, soffriva di una patologia neurologica, era coniugato, e maltrattava la moglie.
* Nel 2020 sono state distribuite due pellicole davvero singolari dirette da due registe esordienti: Bulbbul di Anvita Dutt, e Cargo, primo lungometraggio di Arati Kadav, un'originale storia di fantascienza.
* Film che trattano lo stesso tema: Pari è un sublime, magnifico horror, con protagonista femminile, prodotto da Anushka Sharma, come nel caso di Bulbbul, e con Parambrata nel cast. Il viscerale Tumbbad mescola horror, leggenda e religione. Bulbbul presenta qualche analogia con Stree, che però è una commedia horror.

27 agosto 2021

S I R



Minimalista, ma non anestetizzato, parte in sordina e poi spicca il volo.
La sceneggiatura e la regia spuntano le voci principali richieste dal perfetto cinema d'autore indiano: intrattenimento al minimo, niente coreografie, dialoghi all'osso, denuncia sociale, recitazione sobria. All'inizio credo di sapere cosa aspettarmi, però ad un certo punto le modalità di narrazione prendono una piega inattesa. Con cautela riemergo dal torpore emotivo per concedere a Sir la possibilità di stupirmi.
Adoro le pellicole che si rivelano differenti da ciò che sembrano. Sir è una di queste. Racconta una calda, complessa relazione senza nome, nella quale l'amore - sospeso, non risolto - è solo uno degli aspetti e nemmeno il più importante. Lo skyline mozzafiato di Mumbai fa da scenario ad un incontro non conflittuale fra classi sociali (e caste) diverse. Sir è soprattutto una splendida storia di solidarietà uomo-donna, una storia di rispetto e mutua comprensione, una storia di formazione parallela intrapresa individualmente dai personaggi ma resa possibile grazie al sostegno reciproco: ciascuno dà all'altro ciò che può.

La sceneggiatura è delicata e precisa. Ratna e Ashwin, i due protagonisti, scritti in modo sottile, sono intelligenti, riflessivi e sensibili. Entrambi trovano il coraggio di riagguantare le proprie aspirazioni, coraggio reciprocamente alimentato non con gesti plateali o proclami altisonanti, bensì con semplice, sincero conforto. Ratna è la spina dorsale del film, il personaggio forte. L'interpretazione di Tillotama Shome rasenta la perfezione. Ashwin non è uno stalker, non si impone, non protegge ma osa di più: collabora. L'orizzonte urbano li racchiude come uno scrigno, suscitando sentimenti contrastanti: per Ratna è la rampa di lancio, è libertà; per Ashwin è nostalgia di un panorama lontano.
Quello che all'inizio sembra il classico, freddino prodotto da festival, si rivela poi un gioiellino intimo e prezioso. Sir è empatia che ti si aggrappa alla gola. Ho provato affetto per Ratna e Ashwin, e avrei voluto non abbandonarli mai.

TRAMA

Ashwin vive in un bell'appartamento, ha un buon lavoro, ma ha rinunciato alla carriera di scrittore. Ratna è la sua invisibile governante a tempo pieno. Ratna è rimasta vedova a 19 anni, ma è piena di speranze, e sogna di diventare stilista. Lui rimpiange il passato, lei vede solo il futuro. Ratna e Ashwin sono due brave persone, pulite, dall'animo gentile. Se non tifate per loro è perché avete il cuore di pietra.

RECENSIONI

Mid-Day: ****
'Between these two actors (Shome e Gomber) plays out a steady script that, on the face of it, is a study in contrasts. What could possibly be common between a Marathi maid, and the suave, urbane SoBo (*) dude she's employed with? Well, both the guy and the girl are extremely quiet as personalities, yes. And in that quietness and immense space between them, develops a bond/relationship that makes this subtle film - in its lines, lighting, camera and drama - a deeply rewarding experience, to start with. (...) Without making much of a fuss, just following the movements of time, Gera manages to capture these parallel lives, right at the intersection-inhabiting two separate worlds, within the same'.
(*) South Bombay (nota di Cinema Hindi)
Mayank Shekhar, 10.01.21

Film Companion:
'Sir is (...) a meditation on the shackles of social structure, but also an indictment of the social anatomy of love. In many ways, Ashwin and Ratna are already together; romance is the last-ditch formalization of their relationship. (...) Tillotama Shome’s performance as Ratna (...) goes deeper than context and mannerisms. An actor usually furthers the storytelling; here, she is the storytelling'.
Rahul Desai, 18.11.20

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: la sceneggiatura, le timide interazioni fra i due protagonisti, Tillotama Shome.
Punto debole: -

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Tillotama Shome - Ratna, la governante
* Vivek Gomber - Ashwin, il padrone di casa

Sceneggiatura e regia: Rohena Gera. Sir è il suo primo lungometraggio non documentario.
Colonna sonora: Ragav Vagav, Mohit Chauhan
Anno: distribuito in India nel 2020, in altri Paesi nel 2018-2019. In Italia a partire dal 20 giugno 2019 col titolo Sir - Cenerentola a Mumbai (14 settimane in sala, incasso totale € 66.600,00 - fonte MYmovies). Trailer italiano.

RASSEGNA STAMPA

* Sir - Cenerentola a Mumbai: una favola-denuncia, Corriere della Sera, Giuseppina Manin, 17 giugno 2019. Il testo raccoglie alcune dichiarazioni di Rohena Gera: 'Ratna conosce il suo posto, sa che l’amore non basta a vincere i mille ostacoli di una società tradizionalista e maschilista. Il suo e quello di Ashwin sono mondi lontanissimi, solo lei può riavvicinarli cambiando status, realizzando il sogno di diventare sarta e aprire una sua attività. Non più serva ma piccola imprenditrice. Una donna da rispettare. Il vero lieto fine è questo. (...) Questo film nasce dalla mia storia personale, sono stata cresciuta da una tata che si prendeva cura di me con affetto e dedizione straordinari. Eppure in casa vigeva una netta separazione, lei non poteva usare le nostre stoviglie, doveva mangiare e dormire lontano da noi... Ero piccola, non capivo ma provavo disagio. Quel senso di colpa di far parte di un sistema vergognoso me lo sono portato dentro. (...) In India ci sono tuttora circa 40 milioni di domestici, per lo più donne, che lavorano senza contratto, senza diritti, senza un giorno di riposo, con un salario minimo, umiliate, pronte a venir cacciate da un giorno all’altro. Delle vere schiave. E tutto questo nell’indifferenza generale, perché considerare la tua cameriera un essere inferiore è normale. In più Ratna è vedova. Ho voluto unire le due condizioni più sfortunate per denunciare uno scandalo che nessuno vuole vedere. Non è un caso se Sir non è ancora uscito in India, anche se con i toni della commedia affronta problemi e tabu che tutti cercano di schivare. Chi lo vedrà poi andrà a casa e dovrà guardare il suo domestico negli occhi. Spero di creare turbamento. (...) Il produttore indiano voleva una vedette di Bollywood, io solo una brava attrice. Volevo che Ratna fosse amata non perché bellissima ma perché generosa e coraggiosa. Basta inseguire cliché estetici che vogliono le donne tutte uguali, come le finaliste di Miss India. Tutte con la pelle sbiancata dalle creme, i capelli lunghi, lo stesso sorriso stampato sul volto. Le donne indiane sono meglio di così. Forti, intraprendenti, ciascuna con una bellezza tutta sua. Pronte a conquistare il mondo. Le reginette lasciamole a Bollywood.'
* Recensione di Movieplayer, Alessio Altieri, 20 giugno 2019: 'Sir (...) è un film semplice che sarebbe un errore guardare sotto la sola e semplicistica lente della storia d'amore, che pure a modo suo c'è, ma che non è mai il vero fulcro. (...) Dove è realmente puntato il mirino dell'attenzione della regista, è il sistema di divisione in caste. (...) Come nella stragrande maggioranza dei film orientali, anche qui il contrasto tra le vecchie tradizioni e la pervadente contemporaneità è forte, ma da una prospettiva diversa. Se infatti solitamente alle vecchie sane radici che si stanno perdendo, vengono contrapposti i corrotti tempi moderni, qui il vento sembra soffiare dalla parte opposta, mostrando un paese in cui alcune costrizioni sociali del passato cominciano a essere anacronistiche e incivili. (...) Sir (...) è un film che supera le aspettative che lo scellerato titolo italiano non aiutano certo a incrementare. La perfetta scelta di casting (i due attori, soprattutto Tillotama Shome, che non sbagliano un colpo) è accompagnata da una regia pulita e da una sceneggiatura che cresce gradualmente in due direzioni: mostrando le tradizioni indiane e il tacito affrancamento da esse che i protagonisti raggiungono. Si esce dalla sala con la sensazione che un’ora e mezza per la visione di questo film sia un tempo di vita guadagnato.
* Recensione di Coming Soon, Mauro Donzelli, 19 giugno 2019: 'Sir - Cenerentola a Mumbai è un’opera prima minimalista e sorprendente, uno sguardo claustrofobico come l’appartamento del suo ricco protagonista, in cui l’altezza è un impedimento e la splendida terrazza una prigione. Ratna si muove senza far rumore, con una dignità e un’eleganza che appartengono al suo ruolo sociale, ma anche alla riuscita bellezza di un donna irresistibile seppur minuta, coraggiosa e ostinata, mirabilmente interpretata da Tillotama Shome. Passano i minuti, le giornate si susseguono senza scossoni, con la quotidianità che si dipana nella sua apparente ripetitività, ma presto siamo conquistati da queste due anime solitarie che condividono un appartamento, pur venendo da due mondi diversi'.

CURIOSITÀ

* La pellicola è frutto di una coproduzione indiana e internazionale. Sir è stato proiettato in prima mondiale alla Semaine de la critique 2018 a Cannes, e ha inaugurato, alla presenza della regista, l'edizione 2018 del River to River Florence Indian Film Festival. Aggiornamento del 21 dicembre 2021: Sir è disponibile in streaming su RaiPlay.
* Tillotama Shome è nel cast di Gangor, diretto da Italo Spinelli.
* Vivek Gomber ha partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2014, in qualità di attore in e produttore di Court, e nel 2020 in qualità di produttore di The Disciple.


23 agosto 2021

AK VS AK



La prima carta vincente del film è la massiccia dose di autoironia. Gli attori, che interpretano se stessi, non risparmiano scambi di battute al vetriolo e riferimenti mordaci alle proprie vite (reali) e all'ambiente (reale) dell'industria cinematografica hindi. Purtroppo un neofita potrebbe non cogliere tutte le sfumature umoristiche, perdendosi così metà del divertimento.

La seconda carta vincente del film è la novità di genere. Pellicole come queste destabilizzano la mia natura ossessivo-compulsiva. Mi torturerò per giorni per attribuire un'etichetta adeguata. AK vs AK è un originale masala di nuova generazione ottenuto con spezie mai (sino ad ora) mescolate fra loro nello stesso film. È una black comedy, ed è anche un thriller, ma è soprattutto un reality, un irriverente mockumentary e un brillante esempio di metacinema. È intrigante, insolito, più unico che raro. L'intreccio di realtà e finzione conquista senza scampo.

La terza carta vincente del film è l'aspetto tecnico. La pellicola è girata in larga parte con una camera a spalla, ma la resa è sufficientemente chiara e stabile. La camera è azionata da uno dei personaggi, Yogita, con la quale i protagonisti interagiscono spesso. Le comparse guardano tranquille verso l'obiettivo. Eppure la sceneggiatura non si perde d'animo, la narrazione è sostenuta, il montaggio attento, la regia partecipe.

La quarta carta vincente del film è l'interpretazione dei due protagonisti, in particolare di Anil Kapoor (stratosferico, ancor più alla luce di quanto si scopre nel finale). Anil invecchia talmente bene da suscitare l'invidia del miglior Chianti: è bravo come non mai, affascinante e in forma come nemmeno da giovane, sicuro di sé e simpatico. Anurag Kashyap - sì, proprio il regista pupillo di Venezia e di Cannes - offre un'adeguata spalla al partner nel crimine.

La quinta carta vincente del film è Vikramaditya Motwane, il regista delle sorprese, forse il più eclettico nel panorama hindi contemporaneo. Nessuno dei suoi lavori mi ha deluso, nemmeno lo sfortunato, fumettistico Bhavesh Joshi Superhero. Adoro Udaan, il lungometraggio di debutto, un'emozionante storia di ribellione e formazione. Magnifico lo struggente Lootera, una malinconica storia d'amore per la quale Motwane ha colto in Ranveer Singh e in Sonakshi Sinha qualità sino ad allora insospettate. Trapped è un thriller claustrofobico illuminato dalla magistrale performance di Rajkummar Rao. 

Il film vanta anche altri aspetti che contribuiscono a renderlo così pazzo e divertente. Un applauso agli attori di supporto che interpretano se stessi, sul set o al telefono, e che si prestano a questa gloriosa messinscena di velenoso gossip bollywoodiano. Un applauso all'azzeccata colonna sonora. Un applauso alle comparse, consapevoli e non, che scattano sfrontatamente selfie con Anil anche quando non previsto dalla sceneggiatura.

TRAMA

La superstar Anil Kapoor e il serio (?) regista Anurag Kashyap si azzuffano - poco elegantemente - nel corso di un programma televisivo. Anurag viene boicottato dall'ambiente dell'intrattenimento, e quindi decide di costringere Anil ad interpretare un suo film. Ma come? Semplice: organizzando il rapimento di Sonam, la figlia di Anil.

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE

* La scazzottata fra i due AK a casa di Anil. 

RECENSIONI

Mid-Day:
'At the centre of this darkish mockumentary are the self centred lives of AK no 1, Bollywood star Anil Kapoor, and AK no 2, filmmaker Anurag Kashyap, with a world around them that sort of pushes them to be the self-obsessed creatures they are. (...) You can't tell anymore between the public and private selves. That Anil Kapoor is also starring in a film here, with a camera instructed to be on throughout - capturing reality, as if it was fiction - makes this a film within a film, within a film! You'll like at least one of these films. Or all three as a result, since they're one and the same! (...) Frankly, past the essential 15 minutes of establishing their roles, the exaggerated acrimony between AK and AK appears way too juiced out for satire to work just as well. They border on parody, then slip into overindulgence, and often overstay welcome, even if that's the point. That the two actors on screen, playing themselves, perform all of it still, with remarkable seriousness and a straight face is commendable. Besides, that trolling your own selves in public like this, might be the bravest thing any actor has done on screen, lately'.
Mayank Shekhar, 24.12.20

Film Companion:
'AK vs AK is not the sort of film that exists in a vacuum. It demands a certain level of engagement not just with the culture of filmmaking but also with the sub-culture of the Hindi film industry. It’s a black comedy, but only in the context of the universe it addresses. (...) The point of the film is the difficult truth it conceals behind its caustic coolness. (...) A father looking for his abducted daughter is a classic mainstream trope. (...) And the meta-cinema trope of a twisted filmmaker forcing art out of life is a classic cinephile trope. (...) The lovechild - from this illicit affair between two rival schools of storytelling - is a viciously amusing, slyly provocative and deceptively dense film. Is there anything more satisfying than life pretending to be a parody? I’ll admit I was sceptical when I first heard of Vikramaditya Motwane’s strange new project. It sounded like a glorified inside joke pitting the sweaty lanes of Versova against the manicured lanes of Juhu. But AK vs AK is a masterclass in cultural commentary disguised as a narrative gimmick. It is the consequence of an artist reacting to his environment in the language of art; Motwane is nothing if not a risk-taker, but his obsessive love for the medium is at its most inclusive here. (...) But at some point, all the jibes start to mean something, and it starts to say something about the times we live in. (...) What begins as frivolous fun soon morphs into a sharp lament on the duality of new-age Hindi cinema. In a year that has seen audiences rail against this duality - between insiders and outsiders, stars and actors, content and entertainment - the ingenious form of AK vs AK collapses the space separating these poles. Anil Kapoor acts, Anurag Kashyap entertains, and the two “parties” feed off each other to repackage the futility of ideological war. (...) AK vs AK becomes an unexpectedly mournful portrait, and my only grouse with the film is that it often runs the risk of being too playful to reveal the melancholy of the bigger picture. (...) It’s all very watchable and nifty, but it also tends to lull the viewer into consuming the film at face value. The craft - the long takes, superb on-location action, Motwane’s distinct lensing of nocturnal Mumbai (those local trains and footbridges) - might hijack the psychology of the narrative. (...) Kashyap goes unhinged with disarming ease, lampooning his own reputation while staying true to all the pretentious-director stereotypes. (...) His anti-establishment avatar has started to mould his sense of cinema, and the outcome is edgy to say the least. (...) Anil Kapoor has the rare gift of self-reflexive myth-making. (...) His participation in this film is therefore a candid confession. He makes the search for his daughter feel like a last-gasp search for relevance and identity. Everywhere he goes - hotels, taxi stands, community events, even his own home - he is little more than the initials of his name. Being an idol rarely affords him the luxury of being human. At one point, alone and wounded for the camera, he breaks down on the pavement. In a more conventional film, he would be on stage for the searing monologue, baring his soul to a gathering of shocked faces. But here it’s a naked moment, defined by the irony of a powerful film star in a fake IAF uniform (...) struggling to be a real father. This is perhaps when it dawns upon us that AK vs AK is not so much about a spat between two grown men as it is about the war of two Indias. One is more resentful than the other, but one cannot shine without the other. A black comedy it may be for the discerning moviegoer, but a tragedy it remains for the masses'.
Rahul Desai, 24.12.20

Cinema Hindi: ****
Punto di forza: il soggetto (*****), l'ironia, i dialoghi, l'unicità, la sceneggiatura, Anil Kapoor.
Punto debole: il ritmo della narrazione non è sempre rapido; alla seconda visione la pellicola perde un po' del suo smalto. Devo decidere se attribuirne la responsabilità al montaggio o alla regia.

SCHEDA DEL FILM

Cast:

* Anil Kapoor - l'attore
* Anurag Kashyap - il regista
* Yogita Bihani - l'operatrice
* Sonam Kapoor - la figlia dell'attore
* Harshvardhan Kapoor - il figlio dell'attore
* Boney Kapoor - il fratello dell'attore
* Nawazuddin Siddiqui - cameo al telefono

Regia: Vikramaditya Motwane
Soggetto: Avinash Sampath (*****)
Sceneggiatura: Avinash Sampath, Vikramaditya Motwane
Dialoghi: Anurag Kashyap (****)
Colonna sonora: Alokananda Dasgupta (anche il commento musicale), Rakhis, Nuka (Anushka Manchanda). Jukebox. I miei brani preferiti: Khalaas, di Nuka e Rakhis, interpretato fra gli altri dallo stesso Anil Kapoor; e Duniya Badi Gol, di Alokananda Dasgupta (potete ascoltarlo nel Jukebox).
Anno: 2020

RASSEGNA STAMPA/VIDEO

* I take my work seriously, not myself, intervista concessa da Anil Kapoor a Scroll.in, nella quale, a proposito della scazzottata con Anurag, l'attore dichiara: 'Other filmmakers have big budgets, but here with limited time and money, we were trying to achieve something of a certain quality. We came a day early, rehearsed, trying to make it look real and not choreographed, and yet not injure ourselves. The toughest part was the physicality, according to Anurag. I am 60-plus. He is 45-plus. He feels I am least very, very fit, but he is not. He has promised that he will get back to shape so that we can do many more films together'.
* Video della zuffa televisiva
* Anil Kapoor & Anurag Kashyap exchange houses, esilarante video promozionale
* AK vs AK: Behind the scenes, video promozionale nel quale Motwane mi viene in soccorso e definisce la pellicola un real action thriller. Il filmato contiene dichiarazioni rilasciate da tutto il cast.
* Aggiornamento del 27 aprile 2023 - Vikram, et al, intervista concessa da Motwane a Mayank Shekhar, Mid-Day: '“It’s just such a great one-line idea. Which is what excites you most. As a young filmmaker, you fight the fact that the idea of your film should be encapsulated into one, single line. As you grow older, you realise that one, single line is what drives you forward. Writer Avinash Sampath, who’s now become a good friend of mine, sent the script to us. He’d written it for Aamir [Khan] first. I was sure Aamir is never gonna do it, so let’s not even try! There is Akshay Kumar, who we did approach, and it was a very interesting meeting - I mean, he didn’t sort of outrightly say, ‘Get out of my office,’ but it was close enough! For a while, I was making it with Shahid [Kapoor], which kind of happened, and then it didn’t. The [actor] AKs kept changing. The [director] AK, that is Anurag Kashyap, was a constant. He’s a fantastic actor.” Well, Kashyap says he sucks at acting! “I think he is fab. In fact, everybody on the AK set was talking about Anil Kapoor. I think Anurag, especially in the last scene, is incredible. You actually tear up, when shit happens to him”.'

CURIOSITÀ

* Il metacinema non finisce mai ed esonda dallo schermo: AK vs AK è stato trasmesso in streaming da Netflix (con sottotitoli anche in italiano) a partire dal 24 dicembre 2020, 64mo (avete letto bene) compleanno di Anil e giorno nel quale si svolge la trama. L'appartamento di Kashyap ripreso nel film è quello reale. La casa di Anil è un set.
* AK vs AK è la prima pellicola realizzata dalla nuova casa di produzione di Motwane, ed è stata girata in soli 21 giorni.
* Nel soggetto originario, era previsto il duo Shahid Kapoor-Anurag Kashyap. Il titolo era AK vs SK. Mira, la moglie di Shahid, la donna rapita. Sembra che Shahid avesse iniziato le riprese, ma in seguito, per motivi di conflitto di date con altri progetti, Shahid fu costretto ad abbandonare il set.
* Riferimenti al cinema indiano: una valanga. Ne cito alcuni: gli attori Dilip Kumar, Taapsee Pannu, Arjun Kapoor, Janhvi Kapoor; i registi Yash Chopra, Karan Johar, Abhinav Kashyap, Shyam Benegal, Anurag Basu, Madhur Bhandarkar, Vishal Bhardwaj, Guru Dutt, Anees Bazmee, S. Shankar; i film Gangs of Wasseypur - e vari lavori diretti o prodotti da Kashyap -, Mr. India, Mashaal, Dabangg, Besharam, Takht (pellicola di Karan Johar in fase di progetto), Woh 7 Din, Kaagaz Ke Phool, Bhavesh Joshi Superhero, Nayak; la canzone My name is Lakhan.
* Riferimenti all'Italia: Venezia (nel senso di festival).