Ci voleva Nagraj Popatrao Manjule, in prestito dall'industria marathi, per scuotere la produzione popolare hindi e ricordare al suo pubblico che sì, anche i marginalizzati dalit possono essere gli eroi di un film non d'autore. E ci voleva Amitabh Bachchan, lassù, dalle vette irraggiungibili della sua leggendaria carriera, in un corposo ruolo di supporto, per amplificare il messaggio infischiandosene dello sdegno di coloro che tollerano le discriminazioni castali.
Jhund non è impeccabile, ma il suo significato, soprattutto nel contesto attuale, va oltre i meriti artistici. È una pellicola in larga parte emozionante, ricca di metafore (volontarie e non) e di sfumature - mai imposte, mai urlate -, diretta da un regista proveniente da una comunità tribale, e interpretata da uno stuolo di giovani attori non professionisti che vivono nello slum nel quale è stata girata.
Da dove comincio?
Forse dal fatto che c'è qualcosa di ipnotico e di galvanizzante nell'ammirare su grande schermo ragazzi scalzi che, con palloni di fortuna, si abbandonano completamente al gioco del calcio. Qualcosa che riconcilia. Una gioia infettiva.
Difetti e pregi si susseguono in tumultuosa alternanza. Concessioni ad un'estetica più formulaica, qualche forzatura, qualche imperfezione, e sequenze di pura poesia, dettagli che stringono il cuore.
Il soggetto, già articolato di suo, genera una sceneggiatura che spazia dal cinema di intrattenimento a quello impegnato, una sceneggiatura senza freni, forte di una storia che ha tantissimo da raccontare, con numerosi eventi secondari accompagnati alla porta che rientrano incuranti dalla finestra. La sceneggiatura sembra uno sfogo, espressione di una grafomania che non è patologia piuttosto impeto geniale. È il voler comunicare tutto approfittando dell'occasione - che potrebbe essere unica. Sceneggiatura non inappuntabile però interessante, che regala un primo tempo estremamente coinvolgente, nel solco del miglior genere sportivo, e un secondo tempo, serio e minimalista, che comincia dove gli altri film sportivi si concludono, che non si accontenta dell'esaltazione di un risultato impossibile raggiunto ma lascia il campo da gioco e torna alla vita quotidiana, per lanciare altre sfide e segnare nuove e più importanti vittorie.
La regia, altrettanto scaltra, circuisce il pubblico, lo lusinga offrendogli intrattenimento puro, costruito con mestiere, con il bonus di qualche inserto meno leggero. Lo spettatore si innamora dei personaggi, ormai è bendisposto nei loro confronti, segue anche le vicende riflessive, non respinge la denuncia, ed ecco come Manjule, in sordina, infila il pallone in porta.
La narrazione è in continuo movimento: entra ed esce dallo slum, dal campo di calcio, dall'interiorità dei protagonisti. Il ritmo è impresso da un montaggio di altissima qualità (confido in un National Award, accontentatemi) e da una colonna sonora - canzoni e commento - che intuisce e rispecchia in ogni singola nota lo stato d'animo e i pensieri dei personaggi.
Il cast è affollato, con un nugolo di ruoli microscopici ad arricchire la trama. Don, il protagonista, è un giovane dalit per nulla angelico, che non chiede empatia o comprensione, che si mostra per ciò che è, però è abbastanza furbo da saper riconoscere e da non lasciarsi sfuggire un'opportunità. Il suo processo di formazione è esemplare, una formazione che gli porta in dote un'identità, una prospettiva, e che gli salva la vita. Ankush Gedam sfodera una sicurezza e una presenza scenica, una mescolanza di verità, forza e fragilità che cattura. Anche i suoi compagni, in un tripudio di capigliature dai colori vivaci - simbolo di autoaffermazione: guardatemi, esisto -, lottano per conquistare una visibilità da sempre negata e il diritto di avere delle possibilità. Don e la sua gang vengono rappresentati con gli stessi stratagemmi estetici degli eroi hindi tradizionali. I giovani attori, quasi tutti non professionisti ed esordienti, sono stupendissimi - e il piccolo Kartik Uikey è il più stupendissimo del lotto. Vijay, personaggio interpretato da Amitabh Bachchan, rimane giustamente defilato: per una volta il salvatore di casta alta non è il protagonista. Big B regala con stoica volontà una performance misurata, anche se, essendo DIO, risulta sempre difficile imbrigliarne il carisma.
Jhund è un dito medio contro le discriminazioni e i pregiudizi. Intenerisce, diverte, entusiasma. In India lo sport nazionale è il cricket, ma Jhund è forse ad oggi la miglior pellicola indiana sul calcio. Racconta la storia non di un uomo bensì di un progetto e delle persone a cui è destinato. La biografia di Vijay Barse, così come l'argomento sportivo, costituiscono solo un pretesto, e la presenza di Amitabh Bachchan un detonatore. Inoltre con Jhund l'industria cinematografica popolare hindi aderisce ad una forma di resistenza, sgretolando audacemente gli stilemi imposti dall'ideologia dominante.
Jhund è il nuovo che irrompe: Don si scontra con Vijay in una delle sequenze iniziali, e il testimone passa dall'angry young man degli anni settanta al dalit incazzato nero (e ne ha tutte le ragioni) di oggi.
Diciamolo pure: Manjule ha compiuto un vero miracolo.
TRAMA
I ragazzi dello slum di Gaddi Godam, a Nagpur, vivono di espedienti e furti, sniffano ciò che trovano, si azzuffano, non hanno sogni né prospettive. Gaddi Godam confina con un istituto scolastico privato. Un giorno Vijay, insegnante di educazione fisica prossimo alla pensione, assiste ad una partita di calcio improvvisata nello slum, e rimane colpito dall'assoluto abbandono con cui i ragazzi giocano. Decide così di allenarli gratuitamente.
ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE
* Le travolgenti sequenze che accompagnano i titoli d'apertura (e il commento musicale).
* La partita di calcio fra i ragazzi dello slum (urla di approvazione per gli outfit) e gli studenti. Venti minuti di euforia pura.
* I ragazzi si raccontano a Vijay, senza filtri, con inquietante, cupa atonalità. La sensazione è che le loro storie siano reali, non frutto di un copione.
* La sequenza dell'Ambedkar Jayanti, perché forse unica nel panorama hindi. Con Big B che omaggia rispettosamente la gigantografia di Bhimrao Ramji Ambedkar. Segnatevelo.
LA BATTUTA MIGLIORE
* Il piccolo Kartik chiede: Cosa significa Bharat [India]? La risposta: Bharat è il nostro Gaddi Godam. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
RECENSIONI
Mid-Day: ***
'Totally love the title, Jhund. It literally means a pack, in reference to animals, usually. They’re anonymous (to humans), by nature. By which one implies here: a large group of equally replaceable, generic, invisible, voiceless men and women. That is precisely what the poor in India (or Third World in general), look like, when observed from a distance. In fact that’s probably the point of this picture itself - to put a face to the faceless. (...) Writer-director Nagraj Manjule zooms in, allowing the camera to linger on some faces, for just a little bit longer - just so they register among audiences. (...) Bachchan, who’s dominated India’s popular culture as himself for so long, manages to so convincingly hide behind a character still - among this jhund that look like Nagpur’s TikTok stars to me - is a huge feat for the almost-octogenarian superstar. He rarely takes the spotlight. (...) What you observe throughout are strong yet subtle statements on caste and religion, identity and politics, anonymity and hierarchies. Few contemporary, entertaining filmmakers so accurately survey India’s under-classes as Manjule. (...) This film feels like a lived experience'.
Mayank Shekhar, 04.03.22
Mint:
'Jhund (...) is a terrifically proficient film - with the most dazzling editing I’ve seen in recent Hindi cinema - but I love it because of the way it made me feel. (...) Manjule deftly plays with our preconceived notions, steering the ball away from easy judgement. (...) The film looks electrifying. Cinematographer Sudhakar Yakkanti Reddy shoots the film with verité rawness, but editors Kutub Inamdar and Vaibhav Dabhade cut it like a music video: dramatically contrasting action sequences are cross-cut expertly, characters on the run experience perspective-shifts to rival those of the audience, and there is a generous, romanticised use of slow-motion. The football sequences are all heart, and the big match halfway through the film is a stunning crowdpleaser. Manjule is, after all, using a feel-good template to make his points. (...) This is lump-in-throat storytelling, and Manjule smashes it, aided by a crackling ensemble cast. (...) Bachchan performs with exceptional restraint. (...) Jhund caught me off-guard. It lowered my defenses. It scored'.
Raja Sen, 12.05.22
Film Companion:
'It is, in form, a sports biopic that's more concerned with the pragmatism of playing. (...) Most of the second half (...) deals with the logistics of being seen rather than the trials of triumph. (...) This is all very thought-provoking - but only on paper. (...) At no point does this translate into an engaging viewing experience. The film goes on and on and on, as if to imply: If you find it so tiring to watch, imagine how tiring it is to be them. The film has no primary narrative, which is fine in terms of depicting the plurality of caste discrimination and cultural oppression. But the result is also a disjointed, distracted and self-indulgent story. (...) Disparate genres seem to be stitched together in an effort to mean something. You sense Manjule's vision is necessary and important - especially within the context of commercial Hindi cinema's notorious caste blindness - but the realization of those ideas lacks rhythm. (...) This [Bachchan] is a curiously inert performance; the veteran actor seems to be stuck in a film that's both star-struck and satisfied with his mere presence. (...) I wonder if Manjule's vision has been compromised by the pressure of making a 'Bollywood' film. (...) Here it's not subtext but blatant text. (...) The script derives comedy, as opposed to humour, from the attitude of the teens. They're looked at through the lens of the professor and, by extension, the average multiplex viewer - with wonder, fascination and an urge to rehabilitate. (...) Jhund (...) keeps expanding horizontally instead of growing vertically, adding instead of merging. (...) Jhund is (...) largely challenging to watch and intermittently challenging to reflect on'.
Rahul Desai, 04.03.22
Cinema Hindi: ****
Punto di forza: la rivoluzione nella scelta del protagonista, la resistenza ai dettami correnti. Sceneggiatura interessante, regia astuta. Mix riuscitissimo di generi: sportivo, biografico, sociale. Retorica nazionalista assente. Primo tempo eccitante. Dialoghi sferzanti, ironici, talvolta amari. Il regista non teme, nel secondo tempo, di rallentare il ritmo, perché è qui che raggiunge il suo scopo: per i ragazzi dalit le sfide non si limitano al campo da gioco, la loro vita è una sfida continua. Tutte la scene di gioco, di azione e di inseguimento sono girate con mestiere. Le riprese nello slum fuggono veloci senza indugiare su sporcizia e povertà, e mostrano anche vitalità e operosità. Cast pazzesco. Montaggio da pluripremiare. Colonna sonora.
Punto debole: il secondo tempo è lento, e non piacerà a tutti. La vicenda del ragazzo che tenta il suicidio è trattata in modo frettoloso. Alcune scene si interrompono bruscamente. Il sermone in tribunale - però ci viene risparmiato quello nell'intervallo della partita. Il flirt fra Don e la studentessa è forzato.
SCHEDA DEL FILM
Cast:
* Amitabh Bachchan - Vijay Borade, insegnante di educazione fisica
* Ankush Gedam (attore non professionista) - Ankush alias Don
* Priyanshu Kshatriya (attore non professionista) - Babu, amico di Don
* Kartik Uikey (attore non professionista) - Kartik, amico di Don
* Rinku Rajguru - Monica
* Arjun Radhakrishnan - Arjun, figlio di Vijay Borade
* Nagraj Popatrao Manjule - Hitler Bhai
Soggetto, sceneggiatura, dialoghi e regia: Nagraj Popatrao Manjule
Colonna sonora: Ajay-Atul. Commento musicale Saket Kanetkar. La vibrante colonna sonora riflette perfettamente il carattere dei personaggi. Segnalo tutti i brani: Aaya Ye Jhund Hai, Lafda Zhala, Laat Maar e Baadal Se Dosti. I testi di Amitabh Bhattacharya e di Ajay-Atul sono significativi. Anche il commento musicale è trascinante, ma per gustarvelo dovete vedere il film.
Fotografia: Sudhakar Yakkanti Reddy
Montaggio: (*****) Kutub Inamdar, Vaibhav Dabhade
Traduzione del titolo: branco, orda. Vedi anche l'articolata traduzione proposta da Mayank Shekhar nella recensione sopra riportata.
Anno: 2022
CURIOSITÀ
* Vijay Borade, interpretato da Amitabh Bachchan, si ispira alla figura di Vijay Barse, insegnante di educazione fisica, fondatore dell'ONG Slum Soccer. A Nagpur, nel 2001, mentre si riparava dalla pioggia, Barse notò un gruppo di ragazzi dello slum giocare a calcio con una palla di fortuna, e gli venne l'idea di coinvolgerli in quella disciplina sportiva per tenerli lontani dal crimine e dalle dipendenze. Iniziò così ad allenarli per un paio d'ore ogni giorno. La sua dedizione - anche in termini finanziari - causò frizioni in famiglia: il figlio Abhijeet decise di trasferirsi negli USA, ma nel 2006 tornò a Nagpur per collaborare col padre.
* Bhimrao Ramji Ambedkar, politico indiano di estrazione dalit, si è battuto strenuamente per i diritti degli intoccabili. Nel 1956, a Nagpur, Ambedkar organizzò una cerimonia pubblica per celebrare la conversione al buddhismo sua e dei suoi sostenitori. In Jhund alcuni personaggi adottano la formula di saluto Jai Bhim, istituita in suo onore, al posto della più comune Jai Hind. L'Ambedkar Jayanti è la festa pubblica che si celebra ogni anno, il 14 aprile, in occasione dell'anniversario della nascita di Ambedkar. Le processioni più importanti si svolgono a Mumbai e a Nagpur.
* Nagraj Popatrao Manjule, regista pluripremiato ai National Award, è stato il conduttore della quarta stagione dell'edizione marathi di Kaun Banega Crorepati?. Possiede una squadra di wrestling. Proviene da una comunità tribale. Jhund segna il suo debutto (con un lungometraggio - qualche mese prima era stata distribuita in streaming la serie Unpaused. Naya Safar, per la quale Manjule aveva diretto un episodio) nell'industria cinematografica hindi.
* Film che trattano lo stesso tema: Inshallah, Football (kashmiri, urdu, inglese), documentario premiato col National Award, alla cui produzione ha collaborato Giulia Achilli. Il modesto Jungle Cry racconta la storia di giovanissimi giocatori di rugby provenienti da comunità tribali - Jhund mostra come Jungle Cry avrebbe potuto essere con una sceneggiatura più coraggiosa. Sarpatta Parambarai (tamil, boxe) descrive in modo efficace il contesto nel quale si muove il protagonista, che è un dalit. Per il gioco del calcio: Golondaaj (bengali), l'acclamato Sudani From Nigeria (malayalam, premiato col National Award), il campione d'incassi tamil del 2019 Bigil, Dhan Dhana Dhan Goal, il delizioso Tu Hai Mera Sunday, Argentina Fans Kaattoorkadavu (malayalam). Di prossima distribuzione, Maidaan con Ajay Devgan. Se siete interessati all'argomento della discriminazione castale nel cinema indiano: Welcome to Bollywood: caste e genere NRI.
GOSSIP & VELENI
* Lo scorso novembre Priyanshu Kshatriya è stato purtroppo arrestato con l'accusa di furto.
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