16 dicembre 2013

ORISSA




A metà strada tra un film in costume e un village movie d’impronta tamil Orissa è una pellicola piuttosto anomala nello scenario del cinema malayalam e forse per questo non è stata accolta con troppo calore.  M.Padhmakumar compie  un suggestivo viaggio nel tempo, un percorso fatto di ricordi che corre sui binari del treno e dal Kerala raggiunge l’Orissa. Tra spontaneo realismo e studiata estetica cinematografica il film ricostruisce un’epoca prendendo spunto dalla voce del paesaggio e da suggestivi versi poetici.

TRAMA
Christhudas (Unni Mukundan) e sua moglie Suneyi (Sanika Nambiar) visitano lo stato dell’Orissa dopo aver trascorso gran parte della propria vita in Kerala. La donna ricerca le sue origini ma i ricordi dell’infanzia vengono sovrastati dallo spettro di troppi eventi dolorosi: la morte della madre, le persecuzioni da parte di una famiglia nobiliare, la volontà di fuggire al destino assegnatole in voce ad antiche pratiche e rituali.

La storia è equilibrata e limita bene i suoi argini senza strafare, ci sono lacrime e grida e poi attimi di intensa bellezza. Si racconta di una duplice fuga, per amore e da regole sociali crudeli, da pratiche religiose che sottobanco legittimavano la prostituzione. La protagonista ha un destino già deciso dall’infanzia, divenire sposa della divinità nel Jagannath Temple, al servizio dei rituali ma anche schiava sessuale della famiglia più ricca del villaggio. A distanza di alcuni decenni, fortunatamente, la vicenda di Suneyi è per le nuove generazioni  solo un ricordo ma fa effetto pensare che la pratica delle devadasi è stata considerata illegale solo a partire dal 1988.
Il film è ricco di dettagli e ci trasporta in una diversa realtà riprodotta con virtuosismo tecnico e gusto per il bello: immagini, sfondi, musiche, versi, la bellezza è ovunque, nella descrizione delle vesti ricamate, della regalità degli arredi, nell’incedere delle percussioni, negli eleganti passi di danza, nel rosso e nell’oro, nella nebbiolina del calar della notte, nella sua realtà ci immergiamo completamente. La natura si trasforma con gli stati d’animo dei protagonisti, alberi in fiore, l’erba, le piogge torrenziali, grappoli d’uva matura che invitano il tocco della mano, ma anche sabbia, alberi scheletrici, polvere, edifici in rovina, pietre, un’impietosa siccità. Per raccontare il passato solo una tavolozza di colori caldi che danno vita alla terra arida, alle passioni e al pericolo, mentre la freddezza delle tinte con cui il regista ci racconta il presente non suggerisce tristezza e rigore ma stabilità, sicurezza,  tranquillità.
La sceneggiatura è una collezione di attimi ben studiati che scatenano spesso emozioni contrastanti, versi si alternano ai dialoghi ma c'è anche spazio per dei brani musicali perfettamente integrati nella narrazione. La storia è drammatica eppur viene raccontata in modo da non rendere la visione del film un’esperienza sconvolgente quanto sensoriale, la fotografia crea una gradevole patina vintage che al film dona molto e ne esalta i contenuti, già di per se appaganti. Titoli come Orissa sono la prova che non solo il cinema malayali pensa e produce ogni anno ottimi spunti narrativi ma anche che si sta prestando maggiore attenzione alla forma estetica, allo stile e alla confezione globale dei film.

Il mio giudizio sul film : **** 4/5
ANNO: 2013
LINGUA : Malayalam
REGIA: M. Padhmakumar

CAST:
Sanika Nambiar ………………… Suneyi
Unni Mukundan …………….. Christhudas
Tanushree Gosh .................. Meerabhai
Sanjeev Chakraborty .............. Pradhan
Kanika .................... Chandrabhaga


COLONNA SONORA: Raathesh Vegha
PLAYBACK SINGERS: Karthik, Chinmay, Haricharan, Rahul Nambiar, P.Jayachandran, Thulasi Yatheendran

10 dicembre 2013

MIRCHI




 Come salire sulle montagne russe, alcuni si divertono e continuano la corsa ad occhi aperti, altri stringono i pugni e gridano “mai più!!”. Mirchi è un film così, si susseguono numerosi personaggi, luoghi, situazioni, succede l’impossibile e tra salite e discese la storia cavalca un binario vertiginoso (sperperando nel frattempo manciate di denaro). E’ quindi un bel film o un contenitore stracolmo sul punto di scoppiare? Al termine della visione scegliete la prima o la seconda risposta ma nell’arco di 2 ore e 47 minuti è certo che non vi annoierete.

TRAMA
Manesa (Richa Gangopadhyay), studentessa universitaria in Italia, deve far ritorno al suo villaggio in Andhra Pradesh ma sente che le mancheranno la libertà e la spensieratezza sperimentate al fianco di Jay (Prabhas) il ragazzo del quale si è innamorata. La famiglia della ragazza è benestante ma circondata da problemi e piuttosto tradizionalista, Manesa scalpita e Jay cerca di capire come migliorare la vita di tutti e istaurare anche nei parenti più difficili una mentalità rilassata a moderna. 

Un film ? Direi più che altro una saga, una fusione di diverse puntate di un serial, o forse un kolossal musicale che cerca di trattenere l’attenzione del pubblico il più a lungo possibile.  Prima di arrivare al finale si fa un giro enorme e il titolo Mirchi (peperoncino) potrebbe suggerire tutto oppure niente. Solo l’ennesimo speziato masala movie?  Anche no, e per diversi motivi l’esperimento mi è piaciuto.
In realtà la pellicola si compone di due parti nettamente divise che la rendono imprevedibile ma anche discontinua, non facciamo in tempo ad affezionarci ad una protagonista e ad un personaggio che tutto viene bloccato sul più bello e ci si deve abituare a nuovi volti e nuovi nomi.  Dopo quasi due ore di patrimonio assoluto di Richa Gangopadyay ho iniziato a pensare che nel leggere sulla copertina del dvd il nome di Anushka Shetty avevo visto male.  La storia di Manesa  e Jay intrattiene e delizia, poi invece arriva dell’altro, non migliore né peggiore, semplicemente del tutto diverso. Premetto che adoro  le interpretazioni e la personalità di Anushka  ma questa volta sono rimasta delusa nel vedere una seconda storia, fin troppo seria, prendere il posto di una più spensierata e frizzante che fino a quel momento mi aveva ampiamente soddisfatta.
Dei difetti però ci si scorda in fretta perché Mirchi è potenzialmente nato per piacere, oltre che belle canzoni orecchiabili e deliranti video (da segnalare “Yahoon Yahoon”  girato in Versilia e diverse città toscane come Certaldo, Siena, Lucca e San Gimignano)  il film propone qualche giusta riflessione sociale mescolata qua e la’ dentro una storia romantica e graziosa.  Spunti interessanti (ai quali ho applaudito) sono ben integrati dentro una confezione classica, apparentemente innocua e in linea con la tradizione,  tutto è perfettamente somministrabile senza urtare la sensibilità di nessuno ma abbastanza forte da suggerire all’orecchio qualcosa. 
Promosso per le furbe intuizioni, lo stile,  il ritmo e le locations italiane. (Bentornato Prabhas! Dopo il bellissimo Varsham avevo il dubbio di averti perso per strada)

Il mio giudizio sul film : ***  3/5

ANNO: 2013
LINGUA: Telugu
TRADUZIONE DEL TITOLO : Peperoncino
REGIA :  Koratala Siva

CAST:
Prabhas ………………….. Jay
Richa Gangopadhyay ………………………… Manesa
Anushka Shetty …………………………. Vennela
Sathyaraj …………………. Deva
Brahamanandam …………………. Veera Pratap
Sampath Raj …………….. Uma
Nandhiya …………………… Lata

COLONNA SONORA :  Devi Sri Prasad
PLAYBACK SINGERS : Mika Singh, Chinna Ponnu, Devi Sri Prasad, Vijay Prakash, Anitha, Jaspreet Jasz, Kailash Kher, Suchitra, Geetha Madhuri.

QUALCOS’ALTRO:

06 dicembre 2013

MARYAN




Maryan e' un film che non capita di vedere tutti i giorni, e che forse non tutti i giorni potremmo seguire allo stesso modo e con la stessa partecipazione. Un inno alla forza di volontà che si divide tra due locations estreme, l’oceano e il deserto, davanti alle quali anche l’individuo più forte finisce per sentirsi perso o poco più grande di niente, ma è proprio davanti alle avversità che l’essere umano scopre di avere notevoli risorse, molte delle quali ancora inesplorate. Splendido debutto per il regista Bharat Bala che, ispirato da un evento di cronaca, modella un film eccezionale incentrato sul più forte di tutti gli istinti: l'autoconservazione.

TRAMA
Maryan (Dhanush), un pescatore di Kanyakumari, è cresciuto sfidando ogni giorno l’oceano ma l’amore per Panimalar (Parvathi Menon) e il bisogno di maggiori risorse economiche lo spingono ad accettare un lavoro temporaneo in Sudan. Il suo contratto volge al termine e il ragazzo si prepara a tornare a casa quando la sua jeep viene assaltata da un gruppo di ribelli, Maryan riesce miracolosamente a fuggire ma davanti a lui solo il deserto…

Lo straordinario Dhanush, duramente messo alla prova dal copione, subisce una serie di trasformazioni fisiche e continua ad esplorare i diversi meccanismi del dolore, le reazioni, le debolezze umane, gli incubi, le ombre. I film che l’attore sceglie di interpretare sembrano aggiungere mano a mano tasselli di un mosaico molto complesso il cui tema e'  il dark side che si cela dentro ognuno di noi. Se Mayakkam Enna e 3 mostravano l’abbandono e l’isolamento nella sofferenza Maryan si concentra invece sulla forza di volontà e sembra suggerire che forse non siamo consapevoli delle potenzialità del nostro corpo e della nostra mente. Parvathi Menon (Poo, City of God) regala una performance strepitosa ed arriva a rivaleggiare con Dhanush cercando di rubargli la scena, il suo personaggio è audace, sincero, portato sullo schermo con naturale spontaneità e fascino. Tra i due è connessione immediata, una lotta di talenti, un avvincente incontro.
L’amore diviene l’ispirazione, la scintilla che rigenera nel protagonista nuove energie, la motivazione che lo spinge ad andare avanti e gestire il dolore, la fame e la stanchezza. Tipico dei film tamil è narrare di sentimenti che faticano a nascere e ad esprimersi, ma, nel momento in cui iniziano a pulsare, non si corrompono né risentono del passare del tempo. Se i personaggi scelgono di credere in qualcosa non abbandonano la propria strada e la propria scelta, sia quel che sia. Maryan sfida l’ostilità della natura, il deserto e lo spettro della solitudine, abbandonato a se stesso prende coscienza dalla propria fragilità ma anche del suo potenziale, il desiderio di tornare a casa e rivedere Panimalar costruisce un miraggio che lo allevia dall’agonia e lo rende forte a tal punto da sfidare le sue paure e divenire immortale.
Considerando la trama del film come un esperimento di laboratorio ne emerge che l'uomo e' un animale sociale, che ha bisogno del contatto umano, l'attaccamento dal quale il protagonista voleva proteggersi diviene la sua salvezza nel momento in cui si ritrova solo, schiacciato dal silenzio, in una realtà fisica opposta alle sue abitudini e impossibile da gestire. Come molte delle migliori pellicole tamil, Maryan è angosciante e costruita per indurre sofferenza piuttosto che intrattenimento e sollievo, ogni istinto, ogni rabbia, ogni emozione vengono narrati come la vita vuole, senza elaborazioni di copione, senza furbe reinterpretazioni, acqua che trabocca da un bicchiere stracolmo. L’Africa e il Tamil Nadu, come tutto il resto del mondo, appaiono popolati da gente di ogni tipo, e se da un lato ci sono coloro che attaccano, dall’altra c’è chi tende la mano ed è pronto ad aiutare. Il realismo abbraccia una poesia delle immagini e dell'innocenza, dalle piu piccole azioni e' possibile rintracciare la natura stessa degli individui, riconoscerne la loro purezza o al contrario la perversione. Le note di A.R. Rahman accompagnano dolcemente la storia e la accarezzano, mitigandone anche i momenti più drammatici. 


Il mio giudizio sul film : ****1/2  4,5 /5

ANNO: 2013
LINGUA : Tamil
TRADUZIONE DEL TITOLO:  L’immortale
REGISTA : Bharat Bala

CAST:
Dhanush …………… Maryan
Parvathi Menon …………. Panimalar
Salim Kumar …………….Thomayya
Appukutty ……………. Sarakkai

COLONNA SONORA :  A.R. Rahman
PLAYBACK SINGERS:  A.R. Rahman, Yuvan Shankar Raja, Swetha Mohan, Vijay Prakash, Javed Ali, Haricharan, Shaktrishree Gopalan, Chinmayee, Blazee

QUALCOS’ALTRO:
Bharat Bala ha creato la drammatica vicenda di Maryan ispirato dal racconto di un ex-prigioniero dei soldati bambini in Sudan tenuto in ostaggio per ventun giorni il quale riuscì a scappare e a sopravvivere ad una disperata corsa nel deserto fino al villaggio più vicino. L’uomo, che lavorava in un impianto petrolifero a Darfur, fece ritorno a Chennai e raccontò la sua storia alla stampa.  Il regista narrò la trama a Dhanush, che ancor prima di leggere la sceneggiatura, accettò di essere il protagonista del film.
Anche se la storia è ambientata in Sudan le riprese africane del film si sono svolte in Namibia, in Liberia, nelle isole Andamane e nel deserto di Kucch in Gujarat.
Dhanush è autore del testo della canzone “Kaadal Raasa Naan” cantata da Yuvan Shankar Raja.